Causa di non punibilità: quando non si applica per falsa testimonianza
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha chiarito i limiti di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 384 del codice penale in caso di falsa testimonianza. La decisione sottolinea come l’esimente non possa essere invocata se, al momento dei fatti, non sussiste più un legame affettivo o di convivenza tra il testimone e la persona che si intende proteggere. Analizziamo insieme la vicenda e le motivazioni dei giudici.
Il caso: la condanna per falsa testimonianza e il ricorso in Cassazione
Il caso trae origine dalla condanna di una donna per il reato di falsa testimonianza, previsto dall’art. 372 del codice penale. La sentenza, emessa dalla Corte d’Appello, veniva impugnata dall’imputata tramite ricorso per Cassazione. La difesa si basava su un unico motivo: l’errata esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p. Tale norma prevede che non sia punibile chi commette il reato per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore. Secondo la ricorrente, la sua falsa testimonianza era finalizzata a proteggere il suo ex partner.
La decisione della Corte sulla causa di non punibilità
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure sollevate manifestamente infondate e generiche. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello, la quale aveva escluso in modo logico e puntuale l’applicabilità dell’esimente. Di conseguenza, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Le motivazioni: perché la causa di non punibilità non era applicabile?
Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni che hanno portato i giudici a negare l’applicazione dell’art. 384 c.p. La Corte ha evidenziato come la stessa imputata, durante la sua testimonianza, avesse dichiarato di non essere più legata sentimentalmente alla persona che intendeva proteggere. Inoltre, è emerso che i due non erano conviventi all’epoca del fatto.
Questi due elementi sono risultati decisivi. La giurisprudenza, infatti, interpreta la nozione di “prossimo congiunto” in modo rigoroso, richiedendo un legame attuale e concreto, che può essere di natura familiare, affettiva stabile o di convivenza. L’ammissione della stessa imputata ha fatto venir meno il presupposto fondamentale su cui si basa la causa di non punibilità: l’esistenza di un vincolo affettivo talmente forte da giustificare, agli occhi del legislatore, un’azione altrimenti illecita. La motivazione del giudice del gravame è stata quindi ritenuta logica, coerente e puntuale.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: le cause di non punibilità non sono un’esenzione automatica, ma la loro applicazione è subordinata a una verifica rigorosa dei presupposti di legge. Nel caso specifico dell’art. 384 c.p., il legame tra chi commette il reato e chi viene protetto deve essere effettivo e attuale al momento del fatto. Una relazione sentimentale passata o l’assenza di convivenza sono elementi sufficienti per escludere il beneficio. La decisione serve da monito sulla necessità di valutare attentamente tutte le circostanze di fatto prima di invocare una scriminante, la cui applicazione non può fondarsi su legami ormai cessati.
Perché il ricorso dell’imputata è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati e generici, secondo la valutazione della Corte di Cassazione.
Qual è la ragione principale per cui la causa di non punibilità (art. 384 c.p.) non è stata applicata?
La causa di non punibilità non è stata applicata perché la stessa imputata, in sede di testimonianza, aveva dichiarato di non avere più un legame sentimentale con la persona che intendeva proteggere e di non essere convivente con essa all’epoca dei fatti, facendo così mancare il presupposto del “prossimo congiunto” richiesto dalla norma.
A quali conseguenze economiche è andata incontro la ricorrente dopo la decisione?
In seguito alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34080 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34080 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/06/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Ritenuto che non rileva la proclamazione dell’astensione degli avvocati anche per la data odierna in relazione alla procedura non partecipata adottat ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.;
Ritenuto che il motivo dedotto con il ricorso in relazione alla sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 372 cod. pen. è inammissibile perché aven ad oggetto censure manifestamente infondate oltre che generiche.
Considerato, invero, che il giudice del gravame ha motivato in maniera logica, coerente e puntuale l’esclusione della causa di non punibilità di cui all 384 cod. pen. in ragione della stessa dichiarazione della imputata, resa in se di testimonianza, di non essere più legata sentimentalmente al COGNOME e che anche all’epoca del fatto non erano conviventi;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 luglio 2024
Il Con 1 ere estensore
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