Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31134 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31134 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
oggi
,
17 SET, 2025
sul ricorso proposto da:
NOME nata ad Aversa (Ce) il 26 febbraio 1969;
IL FUNZIONARI
NOME
avverso la ordinanza n. 2023/65 SIGE del Tribunale di Napoli nord del 12 dicembre 2024;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli nord, agendo in funzione di giudice della esecuzione ha, con ordinanza emessa in data 12 dicembre 2024, rigettato la istanza con la quale NOME ha chiesto, in applicazione dell’art. 673 cod. proc. pen., la revoca della sentenza di condanna a suo carico emessa in data 2 maggio 2022 dalla Corte di appello di Napoli, divenuta definitiva il successivo 20 ottobre 2022 a seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione da quella presentato dichiarata con sentenza di questa stessa III Sezione penale della Corte di cassazione n. 3693 del 2023 (udienza del 20 ottobre 2022)
Premesso che il ricorso presentato dalla Verde era argomentato in funzione della intervenuta entrata in vigore dell’art. 23 del decreto-legge n. 34 del 2023, il quale ha previsto per i reati di cui agli artt. 10-ter e 10quater, comma 1, del dlgs n. 74 del 2000 una causa di non punibilità legata all’avvenuta tempestiva estinzione del debito tributario gravante sul contribuente, il Tribunale, avendo rilevato che attraverso la modifica normativa non era stata disposta alcuna aboliti° criminis essendo stata introdotta esclusivamente una ulteriore ipotesi di non punibilità dei reati dianzi citati, ha rilevato che la fattispecie fosse esulante riaspetto a quella disciplinata dall’art 673 cod. proc. pen., a mente del quale la revoca della sentenza di condanna è consentita solo in caso di abrogazione della norma incriminatrice ovvero di sua dichiarazione di illegittimità costituzionale.
Avverso la predetta ordinanza ha interposto ricorso per cassazione la difesa della COGNOME, osservando che, nella fattispecie, non era stato disposto dal giudice del merito il proscioglimento della medesima in quanto la legislazione all’epoca vigente prevedeva, affinché si verificasse la non punibilità della condotta incriminata, che l’integrale pagamento del tributo e delle altre somme accessorie fosse intervenuto in un momento anteriore alla dichiarazione di apertura del dibattimento in primo grado e non, come invece previsto dalla legislazione sopravvenuta, anteriormente alla pronunzia della sentenza in grado di appello.
Ha aggiunto la ricorrente segnalando il fatto che la interpretazione normativa operata dal Tribunale in funzione di giudice della esecuzione si porrebbe in contrasto coi principi ermeneutici elaborati dalla giurisprudenza della Corte regolatrice, secondo il quale le cause di non punibilità avrebbero efficacia retroattiva, dovendo esse estendersi, trattandosi di normativa più favorevole, anche alle fattispecie realizzatesi anteriormente alla loro entrata in vigore.
Un diverso argomentare, conclude la ricorrente, avallerebbe, rimanendo senza effetto l’avvenuta estinzione del debito tributario da parte della Verde entro i termini temporali previsti dall’art. 23 del citato decreto-legge n. 34 del 2023, una ipotesi di disparità di trattamento in danno della medesima rispetto a chi, trovandosi nelle stesse condizioni, si sia visto riconoscere la causa di non punibilità sol perché il giudizio di appello ancora non era stato celebrato al momento della entrata in vigore della disposizione sopra indicata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è inammissibile e, pertanto, lo stesso per tale deve essere dichiarato.
Non vi è dubbio che la ricorrente articola il suo ricorso sulla base dell’art. 673 cod. proc. pen. del quale la stessa invoca l’applicazione quanto al suo personale caso.
Detta norma, in effetti, prevede che nel caso di abrogazione ovvero di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice in base alla quale è stata pronunziata una sentenza di condanna penale ovvero è stato emesso un decreto penale di condanna divenuto definitivo, il giudice della esecuzione debba revocare il provvedimento con il quale è stata irrogata la condanna, prosciogliendo il condannato non essendo il fatto previsto dalla legge come reato; parimenti il giudice della esecuzione deve provvedere nel caso in cui la sentenza presupposta sia di proscioglimento per estinzione del reato ovvero per mancanza di imputabilità. /4/V
Già la ricostruzione del contenuto normativo della disposizione in questione permetterebbe di escludere la fondatezza del ricorso proposto dalla difesa della Verda e di confermare la correttezza della decisione impugnata assunta dal Tribunale di Napoli nord con il provvedimento oggetto di ricorso.
Infatti, la disposizione cui la predetta difesa si richiama onde invocare l’applicazione del ricordato art. 673 cod. proc. pen., cioè l’art. 23 del decretolegge n. 34 del 2023, convertito con modificazioni con legge n. 56 del 2023, prevede espressamente che “non sono punibili” i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, del dlgs n. 74 del 2000 (quindi anche il reato per il quale è intervenuta la condanna a carico della Verde) nella ipotesi in cui il contribuente provveda a sanare integralmente le morosità tributarie entro determinati termini e secondo determinate modalità, e sempre che le relative
procedure di pagamento si siano esaurite “prima della pronunzia della sentenza di appello”.
Ora, osserva il Collegio – senza dovere entrare nel merito di come la Verde abbia provveduto a pagare le imposte la cui omissione ha cagionato la apertura e la successiva infausta definizione del procedimento penale a suo carico ed in quale misura ciò sia avvenuto ed entro quali termini – che ciò che rileva è che con la ricordata disposizione il legislatore non ha indubbiamente provveduto ad abrogare la disciplina precettiva che sanzionava a livello penale la violazione delle tre disposizioni dianzi ricordate, ma ha semplicemente previsto l’introduzione di una ipotesi di non punibilità di fatti che rimangono per il resto rilevanti a livello penale.
Siffatta distinzione, fra abolítío criminis ed introduzione di una causa di non punibilità, opportunamente valorizzata dal giudice della esecuzione nella ordinanza impugnata, è tale, senza dubbio da escludere la applicabilità al caso di specie dell’art. 673 cod. proc. pen.
D’altra parte, si osserva per completezza argomentativa, analogo fenomeno è quello verificatosi a seguito della introduzione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., in relazione al quale questa Corte ha sostenuto, ed il principio qui deve essere fermamente ribadito anche in relazione ad altra ipotesi di introduzione nell’ordinamento di una causa di non punibilità, che il giudice della esecuzione non può applicare retroattivamente la disciplina di favore della particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bi cod. pen., poiché, trattandosi di causa di non punibilità che non esclude la sussistenza del reato, non può applicarsi la normativa in materia di successione di leggi penali nel tempo di cui all’art. 2 cod. pen. (Corte di cassazione, Sezione I penale, 4 novembre 2016, n. 46567, rv 268069; principi questi confermati anche da Corte di cassazione, Sezione I penale 23 dicembre 2020 n. 37430, rv 280649 e da Corte di cassazione, Sezione I penale, 8 maggio 2020, n. 14161, rv 278973, le quali hanno riaffermato che solo in presenza di una ipotesi di abolítio criminís o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, e quindi, non anche in caso di introduzione di una causa ancorché oggettiva di non punibilità, è possibile ricorrere ex art. 673 cod. proc. pen.. al giudice della esecuzione invocando la revoca della sentenza di condanna).
Non colgono nel segno i richiami ai precedenti giurisprudenziali operati dal ricorrente, riferiti alla introduzìone di altre ipotesi di non punibilità in materi di reati tributari in caso di ravvedimento del contribuente, trattandosi di fattispecie in cui la modifica normativa introduttiva della non punibilità del fatto
era intervenuta anteriormente alla definitività della sentenza dichiarativa della penale responsabilità del soggetto interessato (si vedano, infatti, sia Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 marzo 2017, n. 15237, rv 269653, che Corte di cassazione, Sezione III penale, 15 giugno 2017, n. 30139, rv 270464).
Nessun pregio ha, infine, la doglianza formulata dalla ricorrente difesa in relazione alla pretesa disparità di trattamento che si determinerebbe applicandosi la norma più favorevole alle sole ipotesi in cui ancora non sia stata pronunziata la sentenza di appello; invero, al di là del rilievo, non privo di significato, che nel caso in esame la posizione della Verde non si discosta rispetto a quella dell’ipotetico imputato che, non essendo stata ancora pronunziata la sentenza di appello è, a differenza della ricorrente, ancora nei termini per godere degli effetti della norma più favorevole, solo in funzione dello stato del procedimento penale (anteriore alla pronunzia della sentenza di appello in un caso, posteriore nell’altro) in quanto, con riferimento alla posizione della Verde, al momento in cui è entrata in vigore la norma di favore la sentenza a suo carico già era divenuta definitiva, di tal che non vi era alcun procedimento tuttora pendente nei suoi confronti (elemento questo che si segnala per costituire un fattore di forte discrimine fra le fattispecie ipotizzate), si ricor come, sulla base della consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, la circostanza che, rei – ione temporís, sia applicabile una differente disciplina normativa a situazioni anche analoghe non determina di per sé alcuna disparità di trattamento rilevante ai sensi dell’art. 3 della Costituzione, posto che lo stesso fluire del tempo in cui si collocano storicamente diverse vicende è elemento che giustifica il diverso trattamento legislativo delle stesse. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorso proposto deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e la ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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Così deciso in Roma, il 6 maggio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presid