Causa di non punibilità e condotta abituale: i limiti secondo la Cassazione
L’istituto della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, previsto dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per il principio di proporzionalità della pena. Tuttavia, il suo accesso non è incondizionato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come la presenza di una ‘condotta abituale’, desunta anche da precedenti per reati della stessa indole, costituisca un ostacolo insormontabile all’applicazione del beneficio.
I fatti di causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. I motivi del ricorso si basavano su due punti principali: l’asserita intervenuta prescrizione del reato e il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. L’imputato sosteneva che il tempo trascorso avesse estinto il reato e che, in ogni caso, la natura dell’illecito contestato meritasse l’applicazione del beneficio di cui all’art. 131-bis c.p.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. I giudici hanno respinto entrambe le doglianze del ricorrente, condannandolo al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa dei presupposti sia della prescrizione sia della non punibilità.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha smontato le argomentazioni difensive con motivazioni precise e nette.
La questione della prescrizione
In primo luogo, è stato chiarito che il calcolo del termine di prescrizione non era corretto. A causa dell’applicazione della recidiva, il termine non era quello ordinario, bensì quello esteso a dieci anni. Tale termine non era ancora decorso al momento della decisione, rendendo la relativa eccezione palesemente infondata.
Il diniego della causa di non punibilità per condotta abituale
Il punto centrale della pronuncia riguarda il diniego della causa di non punibilità. La Corte ha rilevato due profili di criticità. Innanzitutto, la censura non era stata nemmeno formulata nel precedente grado di giudizio (l’appello). In secondo luogo, e in modo dirimente, il motivo era manifestamente infondato nel merito. L’imputato, infatti, annoverava plurimi precedenti penali per appropriazione indebita. Secondo la Corte, tali reati, pur essendo formalmente diversi da quello contestato (ex art. 334 c.p.), sono da considerarsi ‘della stessa indole’. Questa pluralità di precedenti ha permesso ai giudici di ritenere sussistente una ‘condotta abituale’, la quale, ai sensi dello stesso art. 131-bis c.p., impedisce il riconoscimento della particolare tenuità del fatto. La tendenza a commettere illeciti con caratteristiche simili dimostra una propensione a delinquere che rende il fatto non più ‘occasionale’ e, quindi, non meritevole del beneficio.
Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la valutazione per la concessione della causa di non punibilità non si limita all’episodio singolo, ma si estende alla storia criminale complessiva dell’imputato. La presenza di precedenti penali, soprattutto se per reati ‘della stessa indole’, può configurare una ‘condotta abituale’ che esclude a priori l’applicazione del beneficio. Questa decisione sottolinea come la non punibilità sia riservata a condotte veramente sporadiche e lievi, e non a chi manifesta una persistente inclinazione a violare la legge penale, anche attraverso la commissione di illeciti formalmente diversi ma sostanzialmente affini.
Perché il motivo di ricorso sulla prescrizione è stato ritenuto infondato?
La Corte ha stabilito che, a causa dell’applicazione della recidiva, il termine di prescrizione del reato era di dieci anni. Tale termine non era ancora decorso al momento della decisione, rendendo l’eccezione manifestamente infondata.
È possibile ottenere il beneficio della non punibilità per particolare tenuità del fatto se si hanno precedenti penali?
No, se i precedenti penali indicano una ‘condotta abituale’. Nel caso di specie, i plurimi precedenti per reati ‘della stessa indole’ (appropriazione indebita) sono stati considerati sufficienti a dimostrare una condotta abituale, ostativa al riconoscimento del beneficio previsto dall’art. 131-bis del codice penale.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che il ricorso non venga esaminato nel merito. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47477 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47477 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO EMILIA il 22/04/1967
avverso la sentenza del 16/05/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
“N,
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminato il ricorso di COGNOME NOME
OSSERVA
Ritenuto che il motivo di ricorso con cui si deduce l’intervenuta prescrizione è manifestamente infondato, tenuto conto che, alla luce dell’applicata recidiva, il reato prescrive con il decorso di dieci anni (25 febbraio 2025), termine ad oggi non perento;
rilevato che la censura in ordine al dedotto mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. non risulta essere stata formulata in sede di gravame, dovendosi, nondimeno, rilevare la manifesta infondatezza del motivo in ragione dei plurimi precedenti penali per fatti di appropriazione indebita – che rispetto al reato contestato ex art. 334 cod. pen. sono da ritenersi fattispecie della stessa indole – che fanno ritenere sussistent la condotta abituale ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/11/2024