Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19461 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19461 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 31/05/1967 avverso la sentenza del 26/03/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni della difesa di COGNOME Francesco, Avvocato NOME COGNOME
COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME per il tramite del difensore, ricorre avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 26 marzo 2024 che, in riforma della sentenza del Tribunale di Locri – che, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione tra i fatti di cui ai capi a) e b), aveva condannato l’imputato alla pena di mesi sei di reclusione, assolvendolo in ordine alla accusa di cui all’art. 371-bis cod. pen. contestata al capo c), in quanto non punibile ex art. 384 cod. pen. -, ha rideterminato la pena in mesi cinque di reclusione in ordine a due ipotesi di favoreggiamento ex art. 378 cod. pen. commesse, rispettivamente il 18 ottobre e il 7 novembre 2016.
NOME COGNOME sentito nell’ambito del procedimento n. 473/17 RGNR DDA mod. 21 a carico di NOME COGNOME indagato in ordine a lesioni aggravate prodotte
per mezzo di arma da fuoco ai danni del medesimo COGNOME riferiva di essersi ferito accidentalmente, in tal modo ostacolando le indagini ed aiutando lo stesso NOME COGNOME ad eludere le investigazioni.
La Corte d’appello, che ha riformato la decisione in punto di pena avendone rilevato il calcolo errato, ha ritenuto che le dichiarazioni rese il 18 ottobre e il novembre 2016 da parte del Lucà, occasioni in cui affermava che le ferite erano riconducibili ad una errata manovra effettuata con il trattore durante l’esecuzione di lavori in campagna e di aver raggiunto da solo l’ospedale, integrassero i delitti di favoreggiamento contestato. La versione è stata ritenuta inverosimile in quanto smentita dal contenuto dei referti medici che davano conto delle lesioni provocate per mezzo di arma da fuoco, dalle immagini delle telecamere poste a presidio dell’Ospedale che lo ritraevano quale trasportato da altra persona (salvo poi prendere la guida del mezzo nell’imminenza dell’arrivo) e dal contenuto delle captazioni immediatamente eseguite, che davano conto delle motivazioni e dell’identità dell’autore del gesto.
La Corte di appello ha ritenuto sussistenti entrambe le contestazioni di cui ai capi a) e b), integrando anche le seconde dichiarazioni, rese alcuni giorni dopo a Padova, ove era stato ricoverato d’urgenza per le gravi ferite riportate, il delitto di favoreggiamento non scriminato ex art. 384 cod. pen., tenuto conto che le stesse erano caratterizzate da un contenuto autonomo, parzialmente difforme, ma tale da ostacolare le indagini in corso.
2. NOME COGNOME deduce quattro motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo si deducono vizi di motivazione della decisione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. quanto a consapevolezza da parte del COGNOME di essere stato attinto da colpi d’arma da fuoco.
Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito in ordine alla consapevolezza di essere stato attinto da tre distinti colpi – si deduce – contrastano con il fatto che gli stessi erano stati prodotti, come dichiarato dal teste qualificato in udienza, da un’unica rosata proveniente da un fucile da caccia che avrebbe potuto attingere da lontano il ricorrente. Anche il contenuto delle captazioni che ebbero ad interessare la sorella NOME COGNOME (in ordine all’azione che si assumeva essere riconducibile ad un mafioso che vantava pretese su un terreno) è stato smentito dalla testimonianza della donna che, escussa nel corso del processo, ha riferito che le conversazioni intercettate fossero delle personali congetture.
2.2. Con il secondo motivo si deducono vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. quanto alla idoneità delle dichiarazioni rese a ledere il bene giuridico tutelato dall’art. 378 cod. pen., avendo la Corte di appello omesso di vagliare la loro concreta incidenza.
2.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 384 cod. pen. in ordine al capo b).
Osserva la difesa che, contrariamente a quanto enunciato in sentenza, al momento delle dichiarazioni rese ai Carabinieri di Padova il 7 novembre 2016, sussisteva il concreto pericolo di essere incriminato per favoreggiamento personale alla luce delle precedenti dichiarazioni rese ai carabinieri di Bianco il 18 ottobre precedente. Illogica, pertanto, risulta la motivazione resa sul punto dalla Corte di appello, che ha ritenuto come dette dichiarazioni fossero difformi e autonome rispetto a quelle precedenti, affermazione apodittica che non spiega il motivo per cui, a fronte di precedenti propalazioni in ordine agli stessi fatti da parte del Lucà, possa essere attribuita una distinta rilevanza alla loro lieve difformità.
2.4. Con il quarto motivo si deduce l’omessa valutazione dei presupposti per ritenere applicabile lo stato di necessità, tenuto conto che, secondo quanto emergente dalle indagini relative al procedimento nel quale le dichiarazioni sono state rese, l’attentato a Lucà è da attribuire ad ambienti di criminalità organizzata; detta evenienza avrebbe dovuto condurre i Giudici di merito ad accertare d’ufficio se le presunte reticenze attribuite al ricorrente potessero essere riconducibili alla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da violente ritorsioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo, con la necessità di annullare la sentenza senza rinvio limitatamente al delitto di cui al capo b), essendo il ricorso, nel resto, inammissibile.
Manifestamente infondati e generici risultano il primo ed il secondo motivo con cui, complessivamente, si censura l’integrazione del delitto di favoreggiamento attraverso le dichiarazioni dei ricorrente.
Sulla base delle emergenze probatorie puntualmente enunciate e richiamate dalle decisioni di merito, la sentenza impugnata ricostruisce, con linearità e completezza, i fatti occorsi al Lucà, rilevando come costui fosse stato ferito gravemente da più proiettili (indifferente se con un unico o più colpi) sparati da un fucile che lo aveva attinto a parti vitali del corpo che era inverosimile ascrivere, come sostenuto nel corso delle indagini dal ricorrente, ad una manovra effettuata durante lo svolgimento di lavori nei campi con il trattore (mezzo sul quale, nonostante l’accurato controllo, non non veniva rinvenuta alcuna traccia di sangue). Parimenti inverosimile, secondo la sentenza, doveva ritenersi la
circostanza che egli non si fosse accorto di essere stato attinto da colpi sparati da un’arma da fuoco.
La Corte di appello ha dato conto dei plurimi elementi da cui emergeva come il ricorrente ed i familiari fossero a conoscenza dell’identità del responsabile dell’attentato e delle motivazione alla base del gesto; ha svolto, quindi, pertinenti riferimenti al contenuto delle intercettazioni, ha confutato la ricostruzione dei fatti del Lucà anche grazie alla visione delle immagini delle telecamere poste a presidio della struttura ospedaliera che, in aperto contrasto con quanto dal medesimo riferito, lo ritraevano mentre veniva accompagnato in ospedale da altro soggetto, ritenendole sufficienti a dare conto, con valutazione in fatto in questa sede insindacabile, che il COGNOME avesse volontariamente mentito agli inquirenti per impedire l’identificazione dell’autore del gesto ai suoi danni e la ricostruzione dei fatti che lo avevano interessato quale persona offesa, in tal modo ponendo in essere il delitto di favoreggiamento contestato.
Giuridicamente corretta risulta la conclusione cui è pervenuta la Corte di appello là dove, proprio sul presupposto che soggetto attivo del delitto di favoreggiamento personale può essere anche la persona offesa del reato presupposto (Sez. 6, n. 31168 del 09/05/2023, COGNOME, Rv. 285083 – 01), ha ritenuto che il delitto fosse integrato attraverso il valorizzato contributo comunque fornito all’autore del reato consumato in suo danno, idoneo a cagionare la lesione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 378 cod. pen.
Indeducibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. risulta il quarto motivo con cui si contesta l’omessa applicazione dell’esimente dello stato di necessità, causa di giustificazione che – si assume – la Corte di appello avrebbe dovuto applicare d’ufficio.
Seppure questa Corte ha avuto modo di statuire che, ai fini del riconoscimento di una causa di giustificazione o di una causa di esclusione della colpevolezza, l’onere di allegazione gravante sull’imputato opera in relazione ai presupposti fattuali dell’esimente che rientrino nella sfera personale di conoscenza del medesimo, venendo meno ove le circostanze conosciute o conoscibili “ex actis” consentano al giudice di svolgere anche autonomamente il relativo apprezzamento (Sez. 6, n. 27411 del 20/06/2024, COGNOME, Rv. 286826 – 02), nel caso in esame il ricorrente non ha mai prospettato di essere stato costretto a rendere dichiarazioni mendaci per la necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, insistendo in tutte le fasi processuali nel sostenere la veridicità della versione che lo aveva visto vittima di un incidente sul lavoro mentre era alla guida di un trattore.
Al cospetto di una versione resa nelle distinte fasi processuali e finalizzata ad avvalorare il carattere accidentale dell’occorso, il motivo, sottratto al previo necessario vaglio da parte della Corte di appello, risulta generico e perlustrativo in quanto meramente ipotetico, non essendo certo sufficiente, onde fondare il timore di ripercussioni gravi alla persona, il fatto che le indagini afferenti all’attentato fossero condotte dalla Procura distrettuale antimafia.
Fondato risulta, invece, il terzo motivo, con cui si contesta – sul presupposto della sussistenza dell’esimente di cui all’art. 384 cod. pen. – la responsabilità in ordine al favoreggiamento contestato al capo b), integratasi attraverso le ulteriori dichiarazioni rese dal COGNOME ai Carabinieri del Comando Provinciale di Padova in ordine agli stessi fatti e nell’ambito del medesimo procedimento.
4.1. Deve essere richiamato il principio di diritto, ormai consolidato, secondo cui la causa di esclusione della punibilità prevista per chi ha commesso il delitto di favoreggiamento per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento alla libertà personale o all’onore opera anche nelle ipotesi in cui il soggetto agente abbia reso mendaci dichiarazioni per evitare un’accusa penale a proprio carico, essendo irrilevante l’esistenza di altre e diverse possibilità di difesa (Sez. 6, n. 52118 del 02/12/2014, COGNOME, Rv. 261668 – 01).
A differenza di quanto previsto dall’art. 54 cod. pen., che disciplina la causa di giustificazione dello stato di necessità, la causa di esclusione della colpevolezza di cui all’art. 384, comma primo, cod. pen., basata sulla inesigibilità di contegni autolesivi, è applicabile anche quando la situazione di pericolo per la libertà o l’onore proprio o dei propri congiunti sia stata volontariamente cagionata dall’autore del reato, il quale abbia agito per evitare un procedimento penale a proprio carico (Sez. 6, n. 51910 del 29/11/2019, COGNOME, Rv. 278062; Sez. 6, n. 20454 del 04/03/2009, COGNOME, Rv. 244389 – 01; quanto all’applicazione della medesima esimente in ipotesi di frode processuali cfr. Sez. 6, n. 15327 del 14/02/2019, COGNOME, Rv. 275320 – 01).
4.2. Ciò premesso in ordine alla generale possibilità di applicare l’esimente di cui all’art. 384, comma primo, cod. pen. al contegno del soggetto agente che rende mendaci dichiarazioni per evitare un’accusa penale a proprio carico, si osserva come sia proprio questa la situazione in concreto venutasi a creare allorché NOME COGNOME rendeva dichiarazioni in ordine agli stessi fatti ai Carabinieri di Padova dopo essere stato sentito dai Carabinieri della Stazione di Bianco alcuni giorni prima.
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Apodittica, pertanto, risulta l’affermazione secondo cui i fatti sarebbero tra loro autonomi, quasi che eventuali discrepanze tra le due distinte dichiarazioni
possano assumere rilevanza in ordine al dato che vedeva comunque il ricorrente essere chiamato a rendere dichiarazioni onde far luce, in entrambe le occasioni, in
merito ai fatti ed all’identità degli attentatori che ebbero a ferirlo gravemente con un’arma da fuoco.
Fermo restando che entrambe le dichiarazioni erano caratterizzate dalla reticenza del ricorrente in ordine agli eventi che lo avevano interessato, risulta
chiaro che eventuali discrepanze e differenze tra le due propalazioni avvalorerebbero, semmai, la sua volontà di giustificare la prima versione per
evitare, in ipotesi di loro differente contenuto, di essere sottoposto a procedimento penale per il reato in seguito effettivamente contestatogli. Qualora il Lucà avesse
reso dichiarazioni conformi alle risultanze delle indagini avrebbe, invero, ammesso di aver in precedenza commesso il delitto di favoreggiamento personale, finalità
che la citata esimente, per come interpretata da questa Corte, intende scongiurare.
Emerge, pertanto, come la condotta di NOME COGNOME consistita nel rendere analoghe dichiarazioni ai Carabinieri di Padova, rientri nell’ambito di applicazione dell’esimente di cui all’art. 384, comma primo, cod. pen., con la necessità di annullare senza rinvio la .sentenza impugnata limitatamente al capo b) ed assolvere il ricorrente perché il fatto non costituisce reato.
Da quanto sopra evidenziato consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso in ordine al reato di cui al capo a) e la rideterminazione della pena ex art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., in mesi quattro di reclusione, pena cui si perviene eliminando la pena di un mese di reclusione applicata a titolo di continuazione per il fatto di cui al capo b).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al delitto di favoreggiamento di cui al capo 2) perché il fatto non costituisce reato.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto e ridetermina la pena in mesi quattro di reclusione.
Così deciso il 09/04/2025.