Causa di Non Punibilità per Furto: Non si Applica tra Conviventi
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema di grande attualità: l’applicabilità della causa di non punibilità prevista per i reati contro il patrimonio commessi in ambito familiare alla figura del convivente. La Suprema Corte, con una decisione netta, ha confermato un orientamento restrittivo, escludendo che il convivente possa beneficiare della tutela prevista dall’articolo 649 del Codice Penale, originariamente pensata per i rapporti coniugali e di stretta parentela. Questo caso offre spunti cruciali per comprendere i limiti dell’interpretazione analogica nel diritto penale e la specificità dei motivi di ricorso.
I Fatti del Caso
Un uomo veniva condannato in primo e secondo grado per una serie di condotte di furto aggravato, tra cui un furto in abitazione, commesse ai danni della propria convivente. La Corte di Appello, pur dichiarando il non doversi procedere per alcuni capi d’imputazione per motivi procedurali (mancanza di querela e separata sede di giudizio), confermava la condanna per i furti, riconoscendo tra di essi il vincolo della continuazione.
L’imputato decideva quindi di presentare ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali: l’errata mancata applicazione della causa di non punibilità e il vizio di motivazione sul calcolo della pena.
La Causa di Non Punibilità e il Ricorso in Cassazione
Il cuore del ricorso verteva sulla presunta violazione dell’articolo 649 del Codice Penale. La difesa sosteneva che la causa di non punibilità, prevista per chi commette reati contro il patrimonio a danno di un coniuge non separato o di altri stretti congiunti, dovesse essere estesa anche al convivente. Secondo questa tesi, l’evoluzione sociale e giuridica della famiglia di fatto imporrebbe un’interpretazione che equipari le due figure.
Il secondo motivo di doglianza riguardava invece la determinazione della pena. Pur avendo la Corte di Appello riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, non aveva operato la conseguente diminuzione della sanzione, un’omissione che la difesa riteneva immotivata.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambi i motivi con argomentazioni chiare e fondate su principi consolidati.
Sul primo motivo, la Corte ha definito la tesi difensiva manifestamente infondata. Ha chiarito che la causa di non punibilità ex art. 649 c.p. è una norma eccezionale, basata su ragioni di opportunità e politica criminale, volte a preservare l’integrità dei rapporti familiari. In quanto norma eccezionale, essa non ammette un’interpretazione analogica. Il legislatore ha elencato tassativamente i soggetti beneficiari (coniuge, ascendenti, discendenti, etc.) e tra questi non figura il convivente. Estendere tale tutela violerebbe il principio di legalità e di tassatività della legge penale. Inoltre, il motivo è stato ritenuto generico perché si limitava a riproporre le medesime argomentazioni già respinte dal giudice d’appello, senza confrontarsi specificamente con la motivazione della sentenza impugnata.
Sul secondo motivo, i giudici hanno evidenziato come il ricorso fosse ugualmente infondato. Dalla lettura della sentenza di secondo grado emergeva chiaramente che la mancata riduzione della pena era dovuta a un giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e le aggravanti contestate. Quando le circostanze di segno opposto si equivalgono, i loro effetti si elidono a vicenda, lasciando la pena base inalterata. Il ricorrente, non contestando questo specifico passaggio logico della sentenza, aveva presentato un motivo di ricorso privo di fondamento.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La decisione della Cassazione ribadisce con forza un principio fondamentale: le norme penali eccezionali, come la causa di non punibilità per reati patrimoniali in famiglia, non possono essere applicate al di fuori dei casi espressamente previsti. La figura del convivente, pur avendo acquisito rilevanza in molti settori dell’ordinamento, rimane distinta da quella del coniuge nel contesto specifico dell’art. 649 c.p.
Di conseguenza, chi commette un furto o un altro reato contro il patrimonio ai danni del proprio convivente non potrà invocare questa speciale immunità e sarà punibile secondo le regole ordinarie. La sentenza sottolinea inoltre l’importanza di formulare motivi di ricorso specifici, che si confrontino puntualmente con le ragioni della decisione impugnata, pena la dichiarazione di inammissibilità.
La causa di non punibilità per reati contro il patrimonio si applica anche al convivente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’articolo 649 del Codice Penale è una norma eccezionale e non può essere interpretata analogicamente per includere la figura del convivente, che non è espressamente menzionata tra i soggetti beneficiari.
Perché il motivo di ricorso sulla causa di non punibilità è stato ritenuto anche ‘generico’?
Perché, secondo la Corte, si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi specificamente con le ragioni esposte nella motivazione della sentenza impugnata, requisito fondamentale per l’ammissibilità del ricorso.
Cosa significa che le attenuanti generiche sono state giudicate ‘equivalenti’ alle aggravanti?
Significa che il giudice ha ritenuto che il peso delle circostanze a favore dell’imputato (attenuanti) fosse pari a quello delle circostanze a suo sfavore (aggravanti). In questo caso, gli effetti delle une e delle altre si annullano a vicenda, e la pena non viene né diminuita né aumentata per effetto di tali circostanze.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20817 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20817 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a QUARTU SANT’ELENA il 05/11/1976
avverso la sentenza del 23/05/2024 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
..
Rilevato che l’imputato COGNOME Stefano ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari che, previa declaratoria di non doversi procedere per il reato di cui al capo b) per mancanza di querela e di cui al capo d) perché separatamente giudicato, ne ha confermato la condanna per le condotte furtive aggravate di cui al capo a) e c) (quest’ultima riqualificata come furto in abitazione), ritenute avvinte dal vincolo della continuazione, compreso il fatto già giudicato separatamente;
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, che si duole della mancata applicazione della causa di non punibilità in senso stretto di cui all’art. 649 cod. pen. per essere il fatto avvenuto a danno della convivente, è manifestamente infondato, in quanto la figura del convivente non è compresa tra quelle prese in considerazione dalla norma e la sua natura di causa di non punibilità in senso stretto (e non di causa di esclusione della colpevolezza) preclude una interpretazione analogica della stessa, in quanto norma eccezionale, fondata su ragioni di politica criminale e di opportunità della pena (cfr. tra le ultime Sez. 2, n. 28049 del 14/06/2024, Rv. 286762 – 01); è, inoltre, generico perché fondato su argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del grave e, pertanto, non specifici. A questo riguardo, va ricordato che Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME Rv. 268823, ha ribadito un principio già noto nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato e che le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato;
Ritenuto che il secondo motivo di ricorso, che si duole del mancato calcolo in diminuzione delle riconosciute circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato in quanto non si confronta con il provvedimento impugnato, dal quale si evince che la mancata riduzione per le generiche riconosciute si deve ad un risultato di equivalenza tra queste e le aggravanti contestate;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 14/05/2025