Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35916 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35916 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 02/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 02/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Monti il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 14/05/2020 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Ministero, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14/05/2020, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere condannava NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’articolo 5, lettera d), l. 283/1962, commesso il 28/11/2017, alla pena di euro 3.000,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza l’imputato propone appello, convertito dalla Corte di appello di Napoli in ricorso per cassazione con ordinanza in data 7 maggio 2025.
2.1. Con il primo motivo chiede dichiararsi la nullità della sentenza ai sensi dell’articolo 175 cod. pen., non avendo la sentenza di primo grado concesso il beneficio della non menzione, pur debitamente richiesto assieme alla sospensione condizionale della pena.
2.2. Con il secondo motivo, chiede dichiararsi nulla la sentenza per violazione dell’articolo 131bis cod. pen., su cui non vi Ł motivazione nonostante ne fosse stata richiesta l’applicazione.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in relazione ai criteri di valutazione della prova del reato contestato.
In data 17 settembre 2025 l’AVV_NOTAIO, per l’imputato, depositava conclusioni scritte in cui insisteva per l’accoglimento del ricorso, limitandosi tuttavia a riportarsi ai motivi di impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
Preliminarmente, il Collegio deve valutare l’astratta ammissibilità come ricorso dello strumento di impugnazione prescelto (appello).
In proposito, Ł assolutamente consolidato e dev’essere qui ribadito il principio secondo cui, in tema di impugnazioni, allorchØ un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, a norma dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonchØ l’esistenza di una voluntas impugnationis , consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente (Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, COGNOME, Rv. 220221; Sez. 5, n. 7403/2014 del 26/09/2013, COGNOME, Rv. 259532; Sez. 1, n. 33782 del 08/04/2013, COGNOME, Rv. 257117.
Tuttavia, questa Corte (Sez. 3, n. 1589 del 14/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277945 – 01; Sez. 3, n. 14720 del 13/03/2024, Tricomi, n.m.; Sez. 3, n. 29218 del 02/07/2025, COGNOME, n.m.) ha anche affermato che Ł inammissibile l’impugnazione proposta con mezzo di gravame diverso da quello prescritto, quando dall’esame dell’atto si tragga la conclusione che la parte abbia effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di gravame non consentito dalla legge.
Laddove, invece, il mezzo di impugnazione abbia le caratteristiche, sostanziali e formali, dello strumento di rivalutazione processuale esperibile, in via astratta, di fronte al giudice prescelto, ed emerga in termini di chiarezza che esso sia stato consapevolmente utilizzato per come lo stesso appare dalla parte ricorrente, non entra in gioco la tematica relativa all’incompetenza del giudice adito, essendo questo astrattamente competente, ma esclusivamente la questione della inammissibilità del mezzo di impugnazione effettivamente e consapevolmente adottato dalla parte ricorrente. In una tale fattispecie non viene, quindi, in discussione la necessità di procedere alla trasmissione degli atti al giudice competente, ma solo la valutazione della ammissibilità o meno nel caso concreto del mezzo processuale da parte del giudice in astratto competente per quello.
Valutazione che, quanto al caso di specie, deve essere espressa in termini di astratta ammissibilità del ricorso, avendo il ricorrente dedotto vizi coltivabili in sede di legittimità, ancorchØ (erroneamente) indirizzati alla Corte di appello, con i limiti che si vedranno, tuttavia, ai parr. 6 e 7.
Sempre in via preliminare, il Collegio rammenta che ai sensi dell’articolo 568, comma 5, cod. proc. pen., «l’impugnazione Ł ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l’ha proposta. Se l’impugnazione Ł proposta a un giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente».
Pertanto, la inammissibilità, dichiarata dalla Corte di appello di Napoli con ordinanza in data 7 maggio 2025, non implica consunzione del potere di impugnazione del ricorrente, ma sta solo ad indicare, sia pure impropriamente (posto che la Corte partenopea si sarebbe dovuta limitare a trasmettere gli atti a questa Corte di cassazione) l’inammissibilità della impugnazione dinanzi a «quel» giudice, in quanto inappellabile.
Ciò posto, nel merito il ricorso Ł inammissibile.
Il Collegio, per ragioni di coerenza logica che vedono l’eventuale insussistenza del fatto logicamente precedere la valutazione sulla sussistenza di una causa di non punibilità e di un beneficio di legge, prenderà in esame per primo il terzo motivo di ricorso, afferente ad un lamentato vizio di motivazione in relazione ai criteri di valutazione della prova del reato contestato.
Tanto premesso, il terzo motivo Ł inammissibile.
4.1. Quanto all’ ubi constistam del reato contestato (impiegare nella preparazione,
vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari in «cattivo stato di conservazione»), il Collegio evidenzia che, sotto un profilo lessicale, con il termine «conservazione» si deve intendere sia «l’effetto del conservare» (ossia il mantenimento delle caratteristiche iniziali dell’alimento), che «l’atto e il modo di conservare» (e cioŁ le attività dirette ad assicurare tale mantenimento); parimenti, con l’espressione «stato di conservazione» vanno indicati tanto il «risultato dell’attività di mantenimento», quanto «le condizioni presenti per ottenere il risultato stesso» (così Sez. U, n. 443 del 19/12/2001, dep. 2002, Butti, Rv. 220717; Sez. 3, n. 22632 del 15/05/2025, COGNOME, in corso di massimazione).
Inoltre, lo stesso aggettivo «cattivo» può essere inteso sia quale «’predicativo dell’oggetto’ e cioŁ delle sostanze alimentari, sia come ‘complemento di modo’, che indica la maniera in cui si compie l’azione espressa dal verbo».
In altri termini, con la locuzione in parola si possono intendere sia le «caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari», sia «le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza» (così anche Sez. 3, n. 16347 del 11/01/2021, Tagliavia, Rv. 281034 – 01), riferendosi l’illecito a sostanze alimentari «mal conservate, e cioŁ preparate, confezionate o messe in vendita senza l’osservanza delle prescrizioni dirette a prevenire il pericolo di una loro precoce degradazione, contaminazione o comunque alterazione del prodotto» (Sez. 3, n. 33313 del 28/11/2012, dep. 2013, Rv. 257130 – 01).
Tale soluzione ermeneutica deriva anche da una lettura sistematica dell’articolo 5 in parola, in cui la lettera b), a differenza delle ipotesi previste nelle lettere a) c) e d), che si riferiscono alle sostanze alimentari già private delle sostanze nutritive, viziate o alterate (con cariche microbiche superiori ai limiti consentiti e sostanze insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione), non può che riferirsi, anche alla non buona conservazione sotto il profilo igienico – sanitario.
Secondo la piana giurisprudenza della Corte, inoltre, il giudice può apprezzare il cattivo stato di conservazione degli alimenti senza necessità di prelievo di campioni e di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, essendo lo stesso ravvisabile, in particolare, nel caso di evidente inosservanza delle cautele igieniche e delle tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione (Sez. 3, n. 20937 del 26/04/2021, Ipito, Rv. 281651 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2690 del 06/12/2019, dep. 2020, Barletta, Rv. 278248).
4.2. Nel caso oggetto dell’odierno scrutinio, a pag. 3 della sentenza impugnata il giudice di primo ha chiarito che, dalla deposizione del teste COGNOME, dirigente veterinario della RAGIONE_SOCIALE, si evince che presso la ditta «RAGIONE_SOCIALE, gestita dall’imputato, veniva rinvenuto un soppalco adibito alla insaccatura di carne suina (pag. 3), con aggiunta di additivi (del tipo nitriti e solfiti) e all’interno di un laboratorio privo dei requisiti igienico-sanitari previsti dalla legge e totalmente invaso dalla sporcizia (quale segatura e mozziconi di sigaretta).
Tale valutazione fa buon governo del principio espresso da questa Corte secondo cui «in tema di reati alimentari, la previsione di cui all’art. 5, lett. d), della legge 30 aprile 1962, n. 283 costituisce una norma di chiusura con la quale il legislatore ricomprende nell’ambito della disposizione incriminatrice le sostanze alimentari ‘comunque’ nocive, indipendentemente dall’essere le stesse insudiciate, già alterate o invase da parassiti, al fine
di evitare che il prodotto giunga al consumo con gli attributi della nocività per non essere state assicurate le cure igieniche imposte dalla sua natura» (Sez. 3, n. 51591 del 28/09/2017, COGNOME, Rv. 271817 – 01).
Quanto, poi, alla presenza di «sporcizia», trattasi di valutazione di fatto non contestabile in sede di legittimità, con conseguente inammissibilità della relativa censura.
4.3. La doglianza, che si limita a contestare una non illogica valutazione di fatto effettuata dal giudice del merito, Ł pertanto inammissibile.
Il primo e il secondo motivo, pur se astrattamente ammissibili in quanto volti a censurare un difetto di motivazione, sono in concreto inammissibili per mancanza di specificità.
Quanto alla seconda doglianza, relativa alla mancata applicazione dell’articolo 131bis cod. pen., il Collegio ribadisce l’orientamento della Corte secondo cui, in tema di particolare tenuità del fatto, la motivazione può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice d’appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, Epidendio, Rv. 275635 – 02).
Tuttavia, il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la rilevata presenza di numerosi precedenti penali non possono costituire implicita motivazione del mancato accoglimento della richiesta dell’imputato di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, atteso che i parametri di valutazione previsti dal comma primo dell’articolo 131-bis c.p. hanno natura e struttura oggettiva (pena edittale, modalità e particolare tenuità della condotta, esiguità del danno), mentre quelli da valutare ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche sono prevalentemente collegati ai profili soggettivi del reo (Sez. 3, n. 32015 del 29/03/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 605 del 03/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278095 – 01; Sez. 5, n. 45533 del 22/07/2016, COGNOME, Rv 268307).
Nel caso in esame, il giudice ha ritenuto di irrogare (pag. 5) la pena di euro 3000 di ammenda «non proprio aderente ai minimi edittali stante l’elevato livello di sporcizia presente nel locale», in tal modo implicitamente (ma chiaramente) escludendo la particolare tenuità della condotta, ossia uno dei c.d. ‘indici-requisiti’ richiesti dalla norma.
L’atto di impugnazione si limita a contestare la mancanza di esplicita motivazione sul punto, ma nulla dice in ordine alle ragioni per cui dovrebbe trovare applicazione la causa di non punibilità invocata, che Ł subordinata alla positiva verifica della sussistenza dei due indici-requisiti costituiti dalla particolare tenuità del fatto e dalla sua occasionalità.
Si Ł infatti evidenziato in giurisprudenza (Sez. 7, Ord. n. 25339 del 24/06/2025, Altivalle, n.m.; Sez. 6, n. 5922 del 19/01/2023, Camerano Spelta Rapini, Rv. 284160) che, in tema di ricorso per cassazione, Ł deducibile il difetto di motivazione della sentenza d’appello (ma il principio trova applicazione anche per la sentenza di primo grado inappellabile) che non abbia rilevato ex officio , alla stregua di quanto previsto dall’art. 129 cod. proc. pen, la sussistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, a condizione che siano indicati i presupposti legittimanti la pretesa applicazione di tale causa proscioglitiva, da cui possa evincersi la decisiva rilevanza della dedotta lacuna motivazionale; elemento non ravvisabile nel caso di specie, in cui il ricorrente non ha allegato alcuna circostanza di fatto astrattamente idonea a giustificare l’applicazione della causa di non punibilità.
La censura Ł quindi generica e inammissibile.
Il primo motivo di ricorso Ł inammissibile per le medesime ragioni.
7.1. Il Collegio ribadisce (Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, Portanome) che il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen. Ł fondato sul principio dell’«emenda», e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale, sicchØ la sua concessione Ł rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, fermo restando tuttavia l’obbligo del giudice di merito di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011 – dep. 20/09/2011, Allegra, Rv. 251509; Sez. 2, n. 6949 del 12/03/1998 – dep. 10/06/1998, Pennisi S, Rv. 211100).
Nel caso di specie, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, pur dando atto della richiesta dei benefici di legge avanzata dall’imputato in sede di conclusioni, nel negare il riconoscimento delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena omette ogni motivazione in punto di non menzione della condanna.
Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 15256 del 19/02/2025, R., in corso di massimazione; Sez. 3, n. 12513 del 13/02/2025, COGNOME, n.m.; Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280244 – 05; Sez. 3, n. 26191 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 276041 – 01), anche in questo caso le ragioni del diniego dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale possono ritenersi implicite nella motivazione con cui il giudice neghi le circostanze attenuanti generiche richiamando i profili di pericolosità del comportamento dell’imputato, dal momento che il legislatore fa dipendere la concessione dei predetti benefici dalla valutazione degli elementi indicati dall’art.133 cod. pen. (n.7794/1989, Rv. 181431 e n. 8308/1984, Rv. 166005; Conf. n. 1540/1969, Rv. 110826).
Ciò, soprattutto, quando la decisione impugnata ha già denegato il simmetrico beneficio della pena sospesa; in questo caso, le ragioni che sottendono il diniego possono sorreggere implicitamente anche il rigetto della seconda istanza, ove il giudice abbia fatto – come nel caso in esame – applicazione dei criteri di cui all’articolo 133 cod. pen..
7.2. Va peraltro evidenziato che, come già visto nel paragrafo che precede, l’obbligo di motivazione del diniego del beneficio della non menzione ricorre solo laddove, con i motivi di impugnazione, siano state dedotte circostanze specifiche che, in base all’art. 133 cod. pen., legittimino la concessione del beneficio stesso (Sez. 3, n. 3431 del 04/07/2012, dep. 2013, Maione, Rv. 254681 – 01).
Tale consolidato orientamento, formatosi in relazione alla sentenza di appello, deve essere applicato anche in riferimento alla sentenza di primo grado in cui, a fronte di una generica richiesta di concessione dei benefici di legge (quale era quella avanzata in sede di conclusioni dalla difesa dell’imputato), non sembra essere necessaria una esplicita motivazione da parte del giudice laddove sia agevolmente possibile, come visto supra , ricavarsi le ragioni del diniego dal complessivo tenore della sentenza in punto di circostanze attenuanti generiche.
Nel caso in esame la doglianza, anzichØ evidenziare le ragioni che consentirebbero il riconoscimento del beneficio alla luce dei parametri stabiliti dall’articolo 133 cod. pen., si Ł limitata a sottolineare l’entità dello scostamento della pena irrogata rispetto al minimo edittale, risultando, di tal guisa, generica e inammissibile.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 02/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME