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Catena di custodia DNA: annullata misura cautelare

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di arresti domiciliari basata esclusivamente su una prova del DNA. La decisione è stata motivata dalla mancata e adeguata verifica, da parte del Tribunale del Riesame, della corretta catena di custodia DNA del reperto biologico, sollevando dubbi sulla sua integrità e affidabilità come unica fonte di prova.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Catena di custodia DNA: La Prova Regina Sotto Esame

La prova del DNA è spesso percepita come la ‘prova regina’ nei processi penali, un elemento quasi infallibile in grado di risolvere i casi più complessi. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ci ricorda che il suo valore non è assoluto. L’affidabilità del risultato genetico dipende interamente dalla correttezza delle procedure seguite per ottenerlo. In questo caso, la Corte ha annullato una misura di arresti domiciliari proprio perché la catena di custodia DNA del reperto non era stata adeguatamente verificata, mettendo in discussione l’intero impianto accusatorio.

Il Caso: Un’Indagine Basata su un’Unica Traccia

La vicenda riguarda un’indagine per rapina aggravata, sequestro di persona e porto illegale di pistola. Un uomo veniva sottoposto alla misura degli arresti domiciliari sulla base di un unico, decisivo indizio: il suo DNA era stato trovato su una porzione di guanto in lattice adesa a delle fascette utilizzate per immobilizzare la vittima e rinvenute sulla scena del crimine. La difesa ha immediatamente contestato la validità di questa prova, presentando un ricorso al Tribunale del Riesame e, successivamente, in Cassazione. Le obiezioni si concentravano su presunte lacune procedurali: la mancanza di documentazione fotografica del ritrovamento, l’assenza di un’annotazione sulle modalità di acquisizione del reperto e, soprattutto, l’impossibilità di ricostruire in modo certo la catena di custodia DNA.

La Questione Cruciale della Catena di Custodia del DNA

La difesa ha sostenuto che le modalità di raccolta e conservazione delle fascette non garantivano l’integrità del reperto. Non essendo state osservate le procedure standard, non si poteva escludere il rischio di contaminazione o alterazione della traccia biologica. Il Tribunale del Riesame aveva respinto queste obiezioni in modo sbrigativo, affermando l’integrità della catena di custodia senza però fornire una motivazione adeguata a confutare i rilievi difensivi. Secondo i giudici, il fatto che il DNA dell’indagato fosse stato trovato sul reperto era di per sé sufficiente a fondare la gravità indiziaria, ignorando le criticità procedurali sollevate.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente la prospettiva, accogliendo il ricorso della difesa. I giudici supremi hanno sottolineato un principio fondamentale: quando la prova scientifica, come quella del DNA, costituisce l’unico elemento a carico di un indagato, il suo iter formativo deve essere impeccabile e verificabile. La documentazione della catena di custodia DNA — che traccia ogni passaggio del reperto, dalla raccolta all’analisi — è un presupposto imprescindibile per l’affidabilità del risultato. La rigorosa osservanza dei protocolli scientifici internazionali serve proprio a garantire la genuinità della traccia, eliminando rischi di contaminazione.

La Corte ha specificato che il giudice cautelare non può limitarsi a prendere atto del risultato dell’analisi genetica. Deve, al contrario, rispondere puntualmente alle specifiche obiezioni della difesa riguardo l’integrità della prova. Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame aveva fallito in questo compito, fornendo una motivazione solo apparente e illogica. Di conseguenza, ha creato un vulnus, una falla, nella procedura di formazione della prova. Per questo motivo, la Corte ha annullato l’ordinanza e ha rinviato il caso a un nuovo giudizio, imponendo al Tribunale di Roma di valutare con la dovuta attenzione le criticità procedurali relative alla catena di custodia DNA.

Le conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa sentenza riafferma che nel processo penale la forma è sostanza. La correttezza procedurale non è un mero formalismo, ma la garanzia fondamentale per l’attendibilità della prova e la tutela dei diritti dell’indagato. La decisione chiarisce che l’affidabilità giuridica di un’indagine genetica dipende direttamente dalla correttezza del procedimento seguito. Un risultato scientificamente valido può essere giuridicamente inefficace se ottenuto in violazione delle regole che ne disciplinano l’acquisizione. Questo principio è ancora più stringente quando l’esito dell’accertamento tecnico rappresenta l’unica fonte a supporto della gravità indiziaria, come nel caso esaminato.

Una prova basata sul DNA è sempre inattaccabile?
No, la sua affidabilità giuridica dipende in maniera imprescindibile dal rispetto delle regole procedurali e dei protocolli scientifici che ne disciplinano l’acquisizione, la conservazione e l’analisi, specialmente quando rappresenta l’unico indizio.

Cosa succede se la catena di custodia di un reperto biologico non è documentata correttamente?
Se la catena di custodia non è rigorosamente tracciata e documentata, l’esito dell’analisi genetica perde il suo carattere di certezza. Può essere svalutato a mero dato processuale, non sufficiente da solo a fondare un giudizio di gravità indiziaria, a causa del rischio di contaminazione o alterazione del reperto.

La mancata convalida formale di un sequestro da parte del Pubblico Ministero rende la prova inutilizzabile?
No. Secondo la sentenza, la mancata convalida del sequestro non incide sull’utilizzabilità a fini probatori delle cose sequestrate, ma solo sulla possibilità di mantenerle sotto sequestro. L’affidabilità della prova dipende dalla corretta gestione del reperto, non dalla validazione formale dell’atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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