Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26031 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26031 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
COGNOME NOME n. a Frosinone il 29/6/1965
avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma in data 19/3/2025
dato atto che si è proceduto a trattazione con contraddittorio cartolare, ai sensi dell’art. 611, commi 1 e 1- bis , cod. proc. pen.;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Cons. NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria del difensore dell’indagato, Avv. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza il Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Frosinone che, in data 27/2/2025, aveva applicato nei suoi confronti la misura degli arresti domiciliari in
quanto indagato per i delitti di rapina aggravata, sequestro di persona e porto illegale in luogo pubblico di una pistola.
Ha proposto ricorso per cassazione il difensore del COGNOME, Avv. NOME COGNOME il quale ha dedotto con unico, articolato, motivo il vizio cumulativo di motivazione, la violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 191, 273, comma 1, 348, comma 2, lett. a) e 354 cod. proc. pen.
Il difensore sostiene che i giudici cautelari hanno reso una motivazione lacunosa e carente circa le ragioni per cui hanno ritenuto infondati i motivi di riesame dedotti nella memoria depositata in data 13 marzo 2025. In particolare, l’ordinanza impugnata ha assertivamente affermato l’integrità della catena di custodia relativa alle fascette repertate in assenza di elementi da cui desumere le modalità di conservazione delle stesse, considerato che il sequestro non era stato oggetto di rituale convalida e che, solo dopo molti giorni, su uno di detti elementi era stata individuata una piccola porzione di un guanto in lattice dalla quale era stato tratto un campione biologico ricondotto all’indagato. Aggiunge il ricorrente che non esiste in atti un riscontro fotografico del luogo di rinvenimento del reperto né un’annotazione di polizia giudiziaria che descriva le modalità di acquisizione dello stesso, segnalando, altresì, che gli operanti non avevano formulato in sede di informativa richiesta di accertamenti tecnici, intervenuta solo in data 6 novembre 2024, con la conseguenza che nella specie è impossibile ricostruire la catena di custodia rispetto all’elemento investigato, non essendo state osservate le modalità operative dettate dall’art. 81 disp. att. cod. proc. pen. e non potendosene escludere la contaminazione. Inoltre, anche i rilievi della polizia giudiziaria risultano lacunosi e inosservanti delle modalità prescritte dall’art. 354 cod. proc. pen., circostanza che incide in senso negativo sulla garanzia di immutabilità del reperto. Le carenze ed omissioni lamentate, ad avviso del difensore, comportano l’inutilizzabilità del reperto stesso ma su detti profili l’ordinanza impugnata ha reso una motivazione solo apparente, svalutando in maniera illogica i rilievi formulati in ordine: all’incompatibilità dell’uso della fascette di cui si discorre con la ricostruzione dell’episodio effettuata dalla persona offesa; al difetto di congruenza della descrizione degli autori con l’età e la corporatura dell’indagato, alla mancata acquisizione dei tabulati telefonici e delle immagini dell’impianto di videosorveglianza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
I rilievi della difesa seguono una duplice direttrice: da un lato, l’inutilizzabilità del reperto costituito dalle fascette rinvenute sul luogo della rapina, su una delle quali è stato rilevato materiale organico il cui DNA è risultato corrispondente al genotipo dell’indagato, dall’altro, l’asserita incompletezza del quadro investigativo in ragione delle incongruenze ricostruttive emergenti dalle dichiarazioni della persona offesa e della mancata acquisizione di tabulati e immagini di videosorveglianza. In particolare, il ricorrente lamenta, a ragione e con valenza assorbente, che il Collegio cautelare non ha adeguatamente valutato le doglianze difensive in punto di ritualità dell’acquisizione del reperto analizzato e di integrità della catena di custodia, limitandosi ad affermazioni assertive sul punto.
1.1. Va preliminarmente evidenziato che, nella specie, la stessa difesa non dubita dell’avvenuto sequestro ad opera della polizia giudiziaria delle fascette, utilizzate per immobilizzare la vittima e rinvenute in terra -alla stregua di quanto attestato dai Carabinieri di Ceccano nel verbale del 17/9/2024, ore 22,19- nei pressi dell’ufficio di pertinenza del distributore di benzina in cui fu consumata la rapina. Particolarmente significativa risulta la circostanza che l’individuazione del reperto e la sua apprensione avvenne mentre personale del Nucleo Radiomobile di Frosinone assumeva sul posto informazioni in ordine alla dinamica dell’occorso dalla vittima. Il verbale richiamato dà atto cumulativamente del sequestro di poco successivo del veicolo della persona offesa con il quale i rapinatori si erano allontanati per poi abbandonarlo in territorio del Comune di Arnara.
La circostanza che il pubblico ministero abbia provveduto alla convalida facendo riferimento esclusivamente all’autovettura e a quanto in essa contenuto è da ascrivere attendibilmente a mera svista, non rinvenendosi nel provvedimento del 19 settembre 2024 alcun elemento che autorizzi a ritenere che l’inquirente abbia escluso rilievo investigativo alle fascette rinvenute. Pertanto, nella specie, deve trovare applicazione il principio costantemente affermato da questa Corte secondo cui la mancata convalida del sequestro operato dalla polizia giudiziaria ex art. 355 cod. proc. pen. – non incide sull’utilizzazione a fini probatori delle cose sequestrate ma soltanto sulla possibilità di mantenimento del sequestro stesso: la convalida – i cui eventuali vizi devono essere fatti valere con le impugnazioni previste dagli artt. 324 ss. cod. proc. pen. – ha, infatti, la funzione di legittimare la sottrazione del bene sottoposto a sequestro alla sfera di appartenenza del proprietario o di chi ne abbia la disponibilità e non già di permettere l’utilizzazione processuale del bene sottoposto alla misura cautelare (Sez. 6, n. 4328 del 02/03/1999, COGNOME, Rv. 213659-01; in senso conforme, Sez. 1, n. 1708 del 10/01/1995, COGNOME, Rv. 200974-01; Sez. 3, n. 1030 del 05/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209506-01). I richiamati princìpi costituiscono diretta derivazione dell’insegnamento di Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, COGNOME, Rv.
204644-01 che, affrontando la diversa ma contigua questione delle ricadute di una perquisizione illegittima sull’utilizzabilità del sequestro di cose pertinenti a reato, hanno dettato un criterio di portata generale laddove hanno statuito che l’inosservanza delle formalità prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo non è, di per sé, sufficiente a rendere quest’ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal primo comma dell’art. 191 cod. proc. pen.
1.2. Chiarito, pertanto, che -alla stregua delle risultanze investigative- le fascette c.d. stringitubo sono state tempestivamente individuate e sequestrate al momento del primo accesso della polizia giudiziaria sul luogo della rapina e che alcun rilievo in punto di inutilizzabilità può connettersi alla mancata espressa convalida del provvedimento, i giudici cautelari -pur avendo riconosciuto che la positiva comparazione tra il DNA estratto dal reperto e quello dell’indagato costituisce l’evidenza esclusiva posta a fondamento della gravità indiziaria- non hanno fornito adeguata risposta alle deduzioni difensive in ordine all’integrità della catena di custodia del reperto stesso.
1.3. La documentazione della catena di custodia, consistente nella tracciabilità di tutti i passaggi che la fonte di prova biologica ha subìto dall’individuazione, al repertamento, alle modalità di conservazione fino alla sottoposizione a specifiche indagini forensi, costituisce imprescindibile presupposto perché gli esiti degli accertamenti tecnici possano essere assunti in fase dibattimentale e nel contraddittorio tra le parti quale affidabile prova scientifica. La rigorosa osservanza nella fase dell’acquisizione della traccia biologica dei protocolli di settore è, infatti, funzionale ad assicurare la genuinità della stessa, eliminando il rischio di inconsapevoli contaminazioni o di degradazione e alterazione per fattori ambientali.
Si tratta di questione di certo non nuova e inedita se il Consiglio d’Europa il 10 febbraio 1992 indirizzava agli Stati membri specifiche raccomandazioni con riguardo ‘all’utilizzazione dell’analisi dell’acido deossiribonucleico (dna) nell’ambito del sistema giudiziario penale’, auspicando a livello internazionale l’adozione di procedure uniformi e affidabili quanto agli esiti. In detta ottica, opera nel contesto europeo, quale organismo tecnico di riferimento del Consiglio, di Europol, Interpol e del Gruppo di cooperazione delle Polizie Europee, l’RAGIONE_SOCIALE (European Network of Forensic Science Institute), che annovera tra le sue articolazioni un gruppo di lavoro sulla scena del crimine incaricato dell’elaborazione di linee guida in materia di indagini forensi, che prevedono l’adozione di specifici protocolli per ciascun tipo di traccia e l’individuazione delle regole precauzionali da adottare per preservarne la genuinità.
La giurisprudenza di legittimità con indirizzo largamente maggioritario ritiene che, in tema di indagini genetiche, l’analisi comparativa del DNA svolta in violazione delle regole procedurali prescritte dai Protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonché di ripetizione delle analisi, comporta che gli esiti di “compatibilità” del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante, costituendo essi un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori (Sez. 2, n. 27813 del 20/06/2024, COGNOME, Rv. 286745-01; Sez. 2, n. 38184 del 06/07/2022, Cospito, Rv. 283904-04; Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, COGNOME, Rv. 264863-01). Invero, come condivisibilmente chiarito dalle richiamate pronunce, nel processo penale possono trovare ingresso solo esperienze scientifiche verificate secondo canoni metodologici generalmente condivisi dalla comunità scientifica di riferimento di talché l’utilizzabilità dei risultati della prova scientifica comporta in maniera imprescindibile il rispetto delle regole che ne disciplinano l’acquisizione e la formazione all’interno del processo. Il giudizio di affidabilità degli esiti attinti deve essere pertanto fondato sulla osservanza delle garanzie che presidiano l’iter formativo della prova.
2.1. Con specifico riguardo alle indagini genetiche relative al DNA la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni precisato che, atteso l’elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, le stesse presentano natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 48349 del 30/06/2004, COGNOME, Rv. 231182-01; Sez. 2, n. 8434 del 05/02/2013, COGNOME, Rv. 255257-01); tuttavia, perché possa riconoscersi siffatta valenza è necessario che la custodia del reperto contenente il materiale genetico e la successiva estrazione e comparazione avvenga in conformità alle regole esperienziali codificate e sulla base di premesse fattuali non controverse. Costituendo il giudizio di identificazione ovvero di compatibilità genetica il risultato di una procedura complessa che coniuga attività di ricerca della prova di competenza degli organi inquirenti alle regole scientifiche e tecniche di settore, il recepimento degli esiti attinti nel procedimento cautelare non può prescindere da una verifica, adeguata alle connotazioni e alla fluidità propria della fase, circa la correttezza dell’iter seguito.
Come rimarcato da Sez. 5, n. 36080/2015, cit., l’affidabilità giuridica dei risultati dell’indagine genetica dipende dalla correttezza del procedimento seguìto, le cui regole sono consacrate nei protocolli, che ‘cristallizzando i risultati di collaudate conoscenze, maturate in esito a ripetute sperimentazioni e significativi
riscontri statistici di dati esperienziali’ compendiano gli standard di affidabilità delle risultanze dell’analisi, sia in ipotesi di identità, che di mera compatibilità con un determinato profilo genetico.
2.2. La contraria opinione secondo cui, in tema di indagini genetiche, l’eccepita inosservanza delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e prelievo del DNA, che determinerebbe eventualmente la sua svalutazione indiziaria, non comporta l’inutilizzabilità del dato probatorio ove non si dimostri che la violazione abbia condizionato in concreto l’esito dell’esame genetico comparativo fondante il giudizio di responsabilità (Sez. 6, n. 15140 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 283144-01; Sez. 5, n. 21853 del 27/02/2024 COGNOME, non mass.) non persuade in quanto, l’inosservanza di basilari regole cautelari nella repertazione dei campioni, conformi a quelle asseverate scientificamente a garanzia della genuinità della traccia, costituisce un vulnus alla procedura complessa di formazione della prova, la cui eventuale incapacità di incidere sulla efficacia rappresentativa della stessa non può costituire onere gravante sull’indagato, soprattutto nella fase delle investigazioni e nei casi in cui l’esito dell’accertamento tecnico di parte rappresenti l’unica fonte a supporto della gravità indiziaria.
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame, nonostante gli specifici rilievi della difesa, ha pretermesso ogni verifica riguardo l’osservanza dei protocolli metodologici e ha omesso di chiarire le ragioni che fondano la piena attendibilità degli esiti dell’analisi genetica in un contesto indiziario in cui il dato valorizzato costituisce l’unica emergenza che colloca l’indagato sulla scena del crimine.
Alla luce delle considerazioni che precedono, assorbite le residue doglianze, si impone l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Roma al fine di emendare le criticità rilevate.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Così deciso in Roma il 3 luglio 2025