Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14037 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14037 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in Cina il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/09/2024 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 25 settembre 2024 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, decidendo sulla richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME, confermava il decreto emesso il 24 agosto 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo di una pluralità di immobili, fra i quali quello nella disponibilità del ricorrente, al quale erano stati contestati i reati di cui a artt. 44, 93 e 95 del d.p.r. n. 380/2001, 1161 cod. nav., 633 e 639-bis cod. pen. e 181 del d.lgs. n. 42/2004, per avere il medesimo costruito l’immobile fatto oggetto di sequestro in assenza di un titolo abilitativo e in zona sottoposta
a vincolo paesaggistico, nonché su area appartenente al demanio marittimo ovvero al comune di Castel Volturno.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il NOME, per il tramite del suo difensore, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva violazione di legge in relazione all’art. 321 cod. proc. pen. e difetto di motivazione, assumendo che il Tribunale aveva omesso di motivare in merito alla sussistenza del periculum in mora, omettendo in particolare di spiegare in quali termini la libera disponibilità dell’immobile in capo al ricorrente avrebbe potuto aggravare o protrarre le conseguenze del reato in termini di aumento del carico urbanistico; deduceva inoltre che nel caso di specie il pericolo che la libera disponibilità del bene in sequestro potesse aggravare o protrarre le conseguenze del reato era insussistente, considerato che l’immobile era utilizzato dal ricorrente per pochi mesi l’anno, nel periodo estivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
In tema sequestro preventivo di bene immobile nell’ipotesi di reati edilizi, con particolare riguardo alla sussistenza del requisito del periculum in mora, secondo il consolidato orientamento del Giudice di legittimità la valutazione dell’indispensabilità dell’ordine di sgombero dell’immobile sottoposto a sequestro preventivo dev’essere effettuata tenendo conto anche del concreto aggravio del “carico urbanistico” che lo stesso, pur se ultimato, comporta, in ragione dell’incidenza sul regolare assetto del territorio (v., in tal senso, espressiva di un orientamento costante, Sez. 3 n. 15637 del 13/03/2024, P.M. c. Spiezia, Rv. 286173 – 02).
Orbene, nel caso di specie il giudice della cautela ha reso, in merito alla sussistenza del requisito del periculum in mora, adeguata motivazione, affermando che l’aggravio del carico urbanistico è conseguente all’aumento del traffico veicolare, degli scarichi fognari e della conseguente contaminazione ambientale, derivante anche dall’uso di accessori solitamente utilizzati in un immobile destinato a civile abitazione, ancorché abitato solo nel periodo estivo, circostanza quest’ultima che, ragionevolmente, può valere solo a diminuire tale aggravio, ma non a eliminarlo.
Ai fini della valutazione della sussistenza del periculum in mora il Tribunale ha ulteriormente argomentato considerando anche il pericolo per la libera
fruibilità dell’area demaniale da parte della collettività, pericolo derivant dall’occupazione abusiva della detta area, aspetto con il quale il ricorrente non
si è confrontato, che risulta idoneo a giustificare la necessità del sequestro.
2. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle
ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15/01/2025