Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28569 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28569 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
Sul ricorso presentato da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Verbania il 14/11/1976, avverso l’ordinanza del 18/03/2025 del Tribunale del riesame di Verbania
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Cons. NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della D.ssa NOME COGNOME che concluso per il rigetto del ricorso. Udito, per l’imputato, l’Avv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi al ricorso chiedendone l’accoglimento.
PREMESSO IN FATTO
Con ordinanza in data 18/03/2025, il Tribunale del riesame di Verbania confermava il decreto di sequestro preventivo emesso in data 06/02/2025 dal Tribunale di Verbania, avente ad oggetto un immobile corpo del reato di cui agli artt. 480 cod. pen., 44 lett. e) d 380/2001.
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ex/
Avverso detta ordinanza propone ricorso il Lecchi.
2.1. Con un primo motivo lamenta violazione di legge e segnatamente degli articoli 321 e 324, comma 7, e 309, comma 9, cod. proc. pen., sotto forma di mancanza di motivazione.
Va premesso che il GIP ha ravvisato la sussistenza del fumus del reato di cui all’articolo 44 lettera a), e non c), d.P.R. 380/2001.
Nel caso in esame i lavori erano ultimati, era stata presentata la dichiarazione di fine lav per cui non sussisteva il pericolo di aggravare le conseguenze del reato.
Il Tribunale del riesame, a fronte dalla espressa censura difensiva, ha ritenuto che periculum sussistesse in relazione al «possibile» aumento del carico urbanistico e alle altr conseguenze della condotta, sottratta a qualunque controllo pubblico, l’aumento del quale va però effettuato in concreto, non in astratto.
Inoltre, la motivazione in ordine al periculum deve essere resa anche in riferimento ai reati paesaggistici.
2.2. Con un secondo motivo lamenta violazione di legge e segnatamente degli articoli 321, 324, comma 7, e 309, comma 9, cod. proc. pen..
Il Tribunale del riesame ritiene che il sequestro avrebbe dovuto essere disposto anche ai sensi dell’articolo 321, comma 2, cod. proc. pen., trattandosi di confisca obbligatoria ex art. comma 2 d.P.R. 380/2001, ma in tal modo va ultrapetita, in quanto il sequestro era stato chiesto solo per il comma 1 dell’art. 321 cod. proc. pen..
2.3. Con un terzo motivo lamenta violazione di legge in riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Il Riesame sbaglia nel considerare la seconda relazione agronomica sostanzialmente uguale alla prima, mentre le due differivano in quanto la seconda era stata integrata con l’individuazio dell’intervento nel piano paesistico territoriale.
2.4. Con il quarto motivo denuncia violazione di legge in relazione al fumus commissi delicti relativo all’articolo 44 lettera a) d.P.R. 380/2001.
Il Tribunale del riesame ritiene che non competesse al tecnico comunale rilasciare il tito edilizio in quanto solo la Giunta regionale potrebbe adeguare il piano paesistico territoriale, an ove sbagliato.
In realtà il permesso di costruire rilasciato al Lecchi è conforme agli strumenti pianificazione regionali approvati nel 2007, ed è stata seguita la procedura indicata dal pun 5.1.9. dell NDA del PRGC, il quale prevede l’acquisizione di una relazione agronomica asseverata, come è stato fatto per due volte, e in esito a tale procedura è stato regolarmente rilascia permesso di costruire.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Per ragioni di coerenza sistematica, saranno trattate prima le doglianze relative al fumus e quindi quella relativa al periculum.
Il Collegio sottolinea, in via preliminare, che la non conformità dell’atto autorizzativ normativa che ne regola l’emanazione (ossia alle disposizioni legislative statali e regional materia urbanistico edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici) può essere rilevata soltanto se l’atto è illecito e, cioè, frutto di attività criminosa, ma anche nell’ipot l’emanazione dell’atto medesimo è espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge o nel caso di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere (Sez 3, n. 37847 del 14/5/2013, Sonni, Rv. 25697101, cit.; Sez. 3, n. 40425 del 28/9/2006, Consiglio, Rv. 23703801, cit.), senza che rilevi, in proposito, la «macroscopica illegittimità» dell’atto 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170 – 01).
Pertanto, nell’ipotesi in cui il provvedimento amministrativo (sussista ma) sia illegit esso non può che ritenersi sostanzialmente mancante, in quanto l’atto è stato emanato in assenza dei presupposti legali per la sua emanazione.
In tal caso, pertanto, è corretta la contestazione dell’art. 44, lett. b) d.P.R. 380 del non risultando invece applicabile l’ipotesi di cui alla lettera a) del medesimo articolo, di meramente residuale (Sez. 3, n. 31282 del 24/05/2017, COGNOME, Rv. 270276 – 01, in motivazione).
Tanto premesso, il Collegio evidenzia che la prima e la quarta doglianza sono inammissibili in quanto, sotto l’ombrello della violazione di legge e dell’assenza di motivazio in realtà censurano un vizio di motivazione, a fronte di una completa motivazione resa da provvedimento impugnato in relazione alla sussistenza del fumus dei reati contestati (v. pag. 45 dell’ordinanza, in cui si dà atto della macroscopica illegittimità del provvedime autorizzatorio, rilasciato pochi mesi dopo un precedente diniego – da parte di altro tecni comunale – a situazione normativa immutata e a fronte di una incompetenza per materia dell’amministrazione comunale).
Va infatti ribadito secondo cui, a norma dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazio materia di misure cautelari reali è ammesso soltanto per violazione di legge, per quest dovendosi intendere – quanto alla motivazione della relativa ordinanza – soltanto l’inesistenza la mera apparenza (v., ex multis, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710 01; Sez. 3, n. 35133 del 07/07/2023, Messina, n.m.; Sez. 3, n. 385 del 6/10/2022, COGNOME Rv. 283916).
In tale categoria rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenz di una motivazione meramente apparente, ma non l’illogicità manifesta o la contraddittorietà, l quali possono essere denunciate nel giudizio di legittimità soltanto tramite il motivo di ricors art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. (v., ex plurimis, sez. 5, 11 gennaio 2007, n. 8434,
Rv. 236255; sez. 6, 21 gennaio 2009, n. 7472, Rv. 242916; Sez. U., n. 5876 del 28 gennaio 2004, COGNOME, Rv. 226710).
Le doglianze sono pertanto inammissibili in quanto proposte per motivi non consentiti dalla legge.
La terza dogliànza, relativa al fumus dell’elemento psicologico del reato, è manifestamente infondata.
Come noto, in sede cautelare reale, il difetto dell’elemento soggettivo deve essere d «immediato rilievo» (v. Corte cost., ord. n. 153 del 2007; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014, Di Rv. 259337 – 01; Sez. 1, n. 21736 del 11/05/2007, COGNOME, Rv. 236474 – 01), circostanza non sussistente nel caso in esame, posto che l’ordinanza impugnata, a pagina 5, da conto della sussistenza in concreto di plurimi elementi che inducono a propendere per la partecipazione del ricorrente alle condotte contestate, primo fra tutti la riproposizione della medesima istanz pochi mesi dal rigetto della prima a situazione giuridica e fattuale immutata.
La circostanza che la seconda relazione agronomica contenga delle piccole differenze rispetto alla prima, nulla sposta in concreto, trattandosi in ogni caso di eventuale vizio di motivazi che non può essere dedotto in questa sede.
Del pari, trattandosi di sequestro preventivo c.d. «impeditivo», adottato cioè ai sensi comma 1 dell’art. 321 cod. proc. pen., non rileva in alcun modo chi sia l’autore del fatto pe quale si procede, prevalendo su tutte l’oggettiva finalità cautelare perseguita dal provvediment
E’ stato infatti affermato che, in tema di misure cautelari reali, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa e non reato e il suo autore, sicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose di proprietà di un terzo, estraneo all’illecito e in buona fede, nel caso in cui la loro libera disponib idonea a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (Sez. 3, n. 24065 11/04/2024, Scossa, Rv. 286552 – 01).
5. Le doglianze relative al periculum in mora sono inammissibili.
La sussistenza del periculum in mora in riferimento al reato edilizio è stata in concreto ravvisata dal provvedimento gravato nel ventilato aumento del «carico urbanistico» e nelle ulteriori conseguenze dovute all’uso ed al godimento dell’opera abusiva al di fuori di og controllo prescritto in relazione della tutela degli interessi pubblici coinvolti (così richiama principi stabiliti da Sez. 3, n. 9058 del 22/01/2003, Rv. 224173; Sez. 3, n. 42717 d 10/09/2015, Rv. 265195).
Il ricorrente ha censurato, anche nella discussione orale, che il Tribunale del riesame no avrebbe in concreto indicato in cosa consisterebbe il paventato aggravio del carico urbanistico.
5.1. Va preliminarmente rammentato che, ove anche dimostrata l’ultimazione delle opere, ciò non implicherebbe l’insuscettibilità dell’opera a essere sottoposta a sequestro preventivo sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen..
Ed infatti, questa Corte ha affermato (Sez. 3, n. 20866 del 13/02/2020, Graziano, n.m.; Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Rv. 268812) che il sequestro preventivo di opere costruite abusivamente è ammissibile anche nell’ipotesi in cui l’edificazione sia ultimata, fermo restand l’obbligo di motivazione del giudice circa le conseguenze ulteriori sul regolare assetto territorio rispetto alla consumazione del reato; Sez. 2, n. 17170 del 2 /04/2010, Rv. 24685 Sez. 3, n. 4745 del 12/12/2007, Rv. 238783).
In proposito va considerato che, secondo la giurisprudenza di questo Consesso, al giudice spetta di valutare in quale misura si sia verificata «la reale compromissione degli intere attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la dis attuale della cosa da parte dell’indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore le del bene giuridico protetto, ovvero se l’attuale disponibilità del manufatto costituisc elemento neutro sotto il profilo della offensività» (Sez. 3, n. 170 del 13/12/2017, dep. 20 Monaco, n.m.).
L’obbligo di motivazione deve riguardare in particolare le conseguenze della libera disponibilità del bene sul regolare assetto del territorio (Sei. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Giu Rv. 268812), ciò che può assumere carattere pregiudizievole anche nel caso di utilizzo dell’opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenz volumetrica tale da determinare comunque un’incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell’aumentata esigenza di infrastrutture e di collettive correlate (Sez. 3, n. 42717 del 10/09/2015, Buono e a., Rv. 265195).
5.2. Per quanto in particolare concerne l’aggravio del c.d. «carico urbanistico», il ricorre lamenta l’astrattezza della motivazione del Tribunale verbanese.
5.2.1. Sul punto, il Collegio rammenta che la nozione di «carico urbanistico» è stat originariamente approfondita da Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003, Innocenti, Rv. 223722, secondo cui essa «deriva dall’osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. “primario” (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno “secondario” di ser (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, se idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all’insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell’attività da c svolte. Quindi, il carico urbanistico è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario c domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazion che è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: a) negli standards urbanistici di cui al D.M. 2.4.1968 n. 1444 che richiedono l’inclusione, nella formazione de strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle va
zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che su costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quell opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell’esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (art. 26 L. N. 47/1985 e art. 4 comma 7 I. 493/1993) che non comportano la creazione di nuove superficie utili, ferma restando la destinazione dell’immobile; nell’esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (art. 10 L. n. 47/1985 e art. 4 L. 493/1993)».
Il Consiglio di Stato, a sua volta, ha di recente precisato (Sez. VI, n. 3326 del 16 ap 2025) che «l’accertamento del maggior carico urbanistico, che giustifica la necessità de permesso di costruire e la corresponsione dei relativi oneri di urbanizzazione, assolve al prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico c riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizz più intensamente quelle già esistenti. La nozione di cui si discute è dunque una nozione relazionale, e precisamente differenziale: l’incremento del carico urbanistico si accerta infat relazione a un supposto aumento di esternalità negative sull’area considerata, conseguente al mutamento di destinazione d’uso, rispetto agli effetti prodotti dalla destinazione precedent Sulla base dell’indirizzo esegetico consolidato seguito dalla giurisprudenza amministrativa, deve affermare che l’aumento dello stesso si verifica quando la modifica della destinazione funzionale dell’immobile determina un’attrazione per un maggior numero di persone, con la conseguente necessità di un utilizzo più intenso delle urbanizzazioni esistenti».
La natura «relazionale» del concetto di carico urbanistico è stata recentemente ribadita anche da questa Corte, secondo cui «costituisce carico urbanistico l’effetto prodott dall’insediamento primario in termini di domanda di strutture e di opere collettive in dipendenz del numero delle persone insediate su un determinato territorio, sicché, ai fini della verific fase cautelare, del pericolo del suo aggravio per effetto della costruzione realizzata, dev’esse compiuta una valutazione dinamica delle conseguenze dell’attività edilizia sul territorio, avend riguardo anche all’incidenza delle opere in precedenza edificate sulla stessa area, le c dimensioni possono costituire un valido elemento per apprezzare l’impatto complessivo dell’immobile» (Sez. 3, n. 16085 del 13/02/2025, COGNOME, Rv. 287986 – 01).
5.2.2. L’«incidenza» delle opere abusive sul carico urbanistico (Sez. 3, n. 6599 de 24/11/2011, dep. 2012, Susinno, Rv. 252016, non massimata sul punto) va valutata avendo riguardo agli indici della consistenza dell’insediamento edilizio, del numero dei nuclei famili della «dotazione minima» degli spazi pubblici per abitare nonché della domanda di strutture e di opere collettive; Sez. 3, n. 825 del 04/12/2008, Rv. 242156 e «deve essere rapportata all’aspetto strutturale e funzionale dell’opera abusiva» (Sez. 3, n. 170 del 2018, Monaco, cit.)
Essa potrebbe emergere, ad esempio, «mediante concreta e sostanziale alterazione dell’originaria consistenza del manufatto in funzione di volumetria, destinazione d’uso o effett utilizzo, tale da comportare un mutamento divergente dalle esigenze urbanistiche valutate nei confronti dello strumento urbanistico e di pianificazione comunale, in riferimento soprattutto standard urbanistici previsti dal D.M. 1444/68 (Sez. 3, n. 36104 del 22/9/2011, COGNOME, Rv. 251251)».
La citata sentenza COGNOME evidenzia che anche la «metratura» degli immobili preesistenti all’ultima edificazione fornisce dati sufficienti e idonei a calcolare il complessivo impatto immobili (compreso l’ultimo in ordine di tempo) sul carico urbanistico gravante sull’area essendo evidente che anche la realizzazione di una sola unità abitativa in più non può che aumentare la domanda di ulteriori servizi (si pensi, a titolo di puro esempio, all’incidenza che hanno le supe degli immobili ai fini del calcolo del quantum della tassa sui rifiuti (c.d. “TARI”) e del cos relativo servizio di smaltimento; art. 1, commi 639 e segg., legge b. 147 del 2013). Del rest l’art. 3 D.M. n. 1444 del 1968 àncora le dotazioni minime inderogabili di spazi pubblici e priv per ogni singolo abitante (da insediare o già insediato) in termini di metri quadri a disposizi di ciascuno di essi. Dunque, è evidente che la maggiore o minore dimensione dello spazio abitativo concorre a definire il fabbisogno di opere di urbanizzazione primaria e secondaria ch la realizzazione dell’immobile inevitabilmente comporta. Non a caso l’incidenza degli oneri d urbanizzazione prima e secondaria è parametrata anche all’ampiezza e all’andamento demografico dei comuni e ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dell 41-quinquies I. n. 1150 del 1942 (art. 16, comma 4, d.P.R. n. 380 del 2001).
Analogamente, si è ritenuto (Sez. 3, n. 42717 del 10/09/2015, Buono, Rv. 265195 – 01) che «è legittimo il sequestro preventivo di un immobile abusivo ultimato anche nel caso di utilizz dell’opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti u consistenza volumetrica tale da determinare comunque un’incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell’aumentata esigenza di infrastruttur opere collettive correlate».
Ancora, si è stabilito che solo il cambio di destinazione d’uso fra categorie edilizie omogen non necessita di permesso di costruire (in quanto non incide sul carico urbanistico), mentre allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee (come nel caso in esame), così come tra locali accessori e vani ad uso residenziale, integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con consegue assoggettamento al regime del permesso di costruire, per cui «il cambio di destinazione d’uso tra locali accessori e vani ad uso residenziale integra una modificazione edilizia con eff incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire, e ciò indipendentemente dall’esecuzione di opere» (Sez. 3, n. 11303 del 04/02/2022, Turrin, Rv. 282929 – 01. Per la giurisprudenza amministrativa, v. T.A.R. Salerno, sez. 14/05/2018, n.742; T.A.R. Lazio, sez. IL 26/07/2018, n.8452).
Si è in altra pronuncia evidenziato (Sez. 3, n. 23139 del 21/03/2019, Formisano, n.m.) che nel concetto di «costruzione» rientra ogni intervento edilizio che abbia rilevanza urbanistica quanto incide sull’assetto del territorio ed aumenta il c.d. «carico urbanistico» e tali sono p «piani interrati», cioè sottostanti al livello stradale, che devono essere computati a volumetrici (Sez. 3, n. 11011 del 9/7/1999, COGNOME, Rv. 214273).
Da ultimo, questa Corte ha ritenuto che il periculum in mora richiesto ai fini del sequestro preventivo di un manufatto abusivo ultimato, ubicato in zona agricola, può essere legittimamente motivato con l’aggravio del carico urbanistico che le opere determinano, come «desumibile dalla loro consistenza e destinazione d’uso, oltre che dalla destinazione urbanistica dell’area su c insistono», trattandosi di elementi idonei a fornire un’oggettiva indicazione dell’incid dell’intervento sulle esigenze urbanistiche di zona (Sez. 3, n. 8671 del 15/02/2024, Alcamo, Rv. 285963 – 01).
5.2.4. Dalle pronunce sopra elencate si ricava il principio secondo cui i/ carico urbanistico costituisce un concetto non «statico», ma «relazionale» e il relativo aggravio deve essere · valutato in modo dinamico avuto riguardo alle conseguenze dell’attività edilizia sul territ Esso consiste nell’effetto incrementale prodotto dall’insediamento primario in termini di domanda di strutture e di opere collettive in relazione al numero delle persone insediate su un determina territorio, il che si verifica, a titolo esemplificativo, in caso di concreta e sostanziale alt dell’originaria consistenza del manufatto in termini di metratura, volumetria e destinazione d’u tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee (come tra locali accessori e vani ad uso residenziale, il passaggio di destinazione d’uso da agricola a residenziale, ecc.), ovver anche nel caso di utilizzo dell’opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquand manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un’incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell’aument esigenza di infrastrutture .e di opere collettive correlate.
5.3. Tuttavia, il Collegio evidenzia che la giurisprudenza di cui sopra concerne l’ipotesi cui le opere risultino ultimate.
Nel caso in esame, invece, a fronte della motivazione fornita dal provvedimento genetico, in cui il GIP ha giustificato l’esistenza del periculum in mora sulla considerazione della mancata ultimazione dei lavori, il ricorrente, al fine di attestare detta ultimazione, in sede di ries allegato una mera segnalazione certificata di agibilità (come espressamente chiarito dall’ordinanza impugnata), documento che, in quanto proveniente dall’imputato e non dall’amministrazione competente, non può attestare oggettivamente l’intervenuta ultimazione dei lavori medesimi (non chiarisce, ad esempio, come sia stato possibile ultimare i lavori su u immobile sottoposto a sequestro), circostanza che rende comunque generica la doglianza originaria.
Questa Corte ritiene infatti che il difetto di motivazione del provvedimento di secondo grado in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può for
oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibil originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700 – 01).
In tal caso si parla di «inammissibilità originaria» (nella specie per genericità), cui conse nonostante la proposizione del gravame, il passaggio in giudicato della sentenza di merito (Sez. 5, n. 4867 del 29/11/2000, COGNOME, Rv. 219060 – 01, ma il proincipio può essere esteso anche alla fase cautelare), posto che essa colpisce l’impugnazione nel suo momento iniziale, con la conseguenza che non si instaura il rapporto processuale di impugnazione (Sez. 1, n. 13665 del 12/11/1998, COGNOME, Rv. 212023 – 01).
In caso di immobile in corso d’opera, costituisce pertanto sufficiente giustificazione sequestro preventivo la necessità di interrompere la permanenza del reato, impedendo che venga portato a compimento.
La doglianza è pertanto inammissibile.
6. La inammissibilità della censura di cui sopra proietta i suoi effetti anche sulla censu relativa al periculum in mora in relazione al reato di cui all’articolo 181 d. Igs. 42/2004.
Va infatti rammentato che il reato di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, 42, se commesso mediante la realizzazione di lavori che comportino una modifica funzionale di destinazione d’uso di un bene gravato da vincolo paesaggistico, ha natura permanente, e si consuma con l’esaurimento della condotta, o con il sequestro del bene ovvero, in mancanza, con la sentenza di primo grado, quando la contestazione è di natura «aperta» (Sez. 3, n. 43173 del 05/07/2017, COGNOME, Rv. 271336 – 01).
L’assenza di prova in ordine alla ultimazione dei lavori determina quindi l’inammissibili anche della doglianza in parola.
7. Sotto altro punto di vista, se coglie nel segno il ricorrente laddove evidenzia c l’impossibilità per il Tribunale del riesame di fondare la misura cautelare reale su un titolo di da quello dell’ordinanza genetica, come quando, in sede di riesame del sequestro preventivo disposto ai sensi del comma 1 dell’art. 321 cod. proc. pen., confermi la misura per finalità confisca ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, «atteso che in tal modo lo stesso non si limi – com’è nel suo potere – ad integrare la motivazione del decreto impugnato, ma sostanzialmente adotta un diverso provvedimento di sequestro in pregiudizio del diritto al contradditto dell’interessato» (così, da ultimo, Sez. 6, n. 15852 del 28/02/2023, COGNOME, Rv. 284598; i precedenza, per analoghe situazioni di mutamento del titolo posto a base del sequestro, v. Sez. 3, n. 31369 del 27/04/2021, COGNOME, Rv. 281944; Sez. 6, n. 3771 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272194; Sez. 6, n. 53453 del 16/11/2016, COGNOME, Rv. 269498; Sez. 5, n. 54186 del 22/09/2016, COGNOME, Rv. 268748), tuttavia, nel caso di specie, l’inammissibilità del motiv
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ricorso relativo al periculum in mora
determina l’impossibilità per il ricorrente di ottenere un esito positivo, con conseguente inammissibilità della doglianza per mancanza di interesse.
Secondo !Insegnamento di questa Corte, infatti, (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv.
271227 -01; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267723 – 01), l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnata
laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, no può comportare l’annullamento della decisione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando,
per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreg
l’impianto della decisione.
8. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’on delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della
Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 61 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/07/2025.