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Carenza di interesse: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale avverso la concessione di un permesso premio a un detenuto. La decisione si fonda sulla sopravvenuta carenza di interesse, poiché il detenuto aveva già usufruito del permesso al momento della decisione. L’impugnazione, non potendo produrre alcun effetto pratico, è stata considerata priva di una condizione essenziale di ammissibilità.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Carenza di Interesse: Quando un Ricorso Diventa Inutile

Nel diritto processuale, ogni azione legale, inclusa un’impugnazione, deve essere sorretta da un interesse concreto e attuale. Ma cosa accade se, nel tempo necessario a discutere il ricorso, la situazione di fatto si modifica al punto da rendere la decisione del giudice priva di effetti pratici? La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, affronta proprio questo tema, dichiarando un ricorso inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. Il caso riguardava un permesso premio già goduto dal detenuto, rendendo l’impugnazione del Pubblico Ministero un puro esercizio teorico.

I Fatti del Caso

Un detenuto, condannato per reati di particolare gravità legati alla criminalità organizzata, otteneva un permesso premio dal Magistrato di Sorveglianza. Contro questa decisione, il Pubblico Ministero proponeva reclamo al Tribunale di Sorveglianza, che tuttavia lo respingeva, confermando la concessione del beneficio.

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello decideva quindi di presentare ricorso per Cassazione, lamentando che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato la pericolosità sociale del detenuto e il rischio di ripristino dei collegamenti con l’associazione criminale di appartenenza. Tuttavia, nelle more del giudizio di legittimità, emergeva un fatto decisivo: il detenuto aveva già usufruito non solo del permesso contestato, ma anche di altri permessi successivi.

La Questione della Carenza di Interesse nell’Impugnazione

Il cuore della questione giuridica non risiede più nel merito della concessione del permesso, ma in un presupposto processuale fondamentale: l’interesse ad impugnare. Secondo l’articolo 568, comma 4, del codice di procedura penale, l’interesse è una condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione. Questo interesse non può essere una mera pretesa teorica all’astratta osservanza della legge, ma deve tradursi nella possibilità di ottenere un risultato pratico e vantaggioso dall’eventuale accoglimento del ricorso.

Nel caso specifico, l’obiettivo del Procuratore era impedire che il detenuto uscisse dal carcere. Poiché il permesso era già stato interamente goduto, un’eventuale sentenza di annullamento da parte della Cassazione sarebbe stata ‘inutile’, in quanto non avrebbe potuto rimuovere gli effetti già prodotti dal provvedimento impugnato. Di conseguenza, l’interesse del Pubblico Ministero da concreto e attuale era divenuto astratto e sopravvenuto.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, aderendo alle conclusioni conformi del Procuratore generale e del difensore. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: l’interesse ad impugnare deve esistere non solo al momento della proposizione del gravame, ma deve perdurare per tutta la durata del processo.

L’eventuale accoglimento del ricorso del Procuratore si sarebbe risolto in una mera affermazione di un principio di diritto, ma senza alcuna conseguenza concreta. La decisione non avrebbe potuto influenzare né la situazione passata (il permesso già goduto), né necessariamente quelle future, poiché ogni nuova richiesta di permesso premio viene valutata autonomamente sulla base della situazione del momento. Pertanto, venendo meno la possibilità di ottenere un effetto pratico favorevole, è venuta meno la stessa ragione d’essere dell’impugnazione. La Corte ha specificato che l’impugnazione deve sempre mirare a eliminare un pregiudizio concreto, non a ottenere una pronuncia di valore puramente teorico.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cardine del nostro ordinamento processuale: la giustizia non si occupa di questioni accademiche. Un processo, e in particolare un’impugnazione, è uno strumento per risolvere controversie reali e attuali. Quando l’esito di un giudizio non può più incidere sulla realtà pratica delle parti, si verifica una carenza di interesse che rende l’azione inammissibile. La decisione sottolinea l’importanza dell’economia processuale e della necessità che le impugnazioni siano finalizzate a un risultato tangibile, evitando di impegnare le risorse della giustizia per questioni ormai superate dai fatti.

Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per carenza di interesse?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile per carenza di interesse quando il suo eventuale accoglimento non comporterebbe alcun vantaggio pratico, concreto e attuale per la parte che lo ha proposto, poiché la situazione di fatto è mutata in modo tale da rendere la decisione priva di effetti reali.

Perché il ricorso del Procuratore contro il permesso premio è stato respinto?
È stato dichiarato inammissibile perché il detenuto aveva già interamente usufruito del permesso premio oggetto del ricorso. Di conseguenza, annullare il provvedimento che lo aveva concesso non avrebbe prodotto alcun effetto concreto, facendo venir meno l’interesse del Procuratore a una decisione nel merito.

Un appello può essere presentato solo per affermare un principio di diritto?
No. Secondo la sentenza, un’impugnazione non può avere come unico scopo l’affermazione teorica di un principio di diritto. Deve invece mirare a rimuovere un pregiudizio concreto e a costituire una situazione pratica più vantaggiosa per chi impugna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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