Carenza di Interesse Espulsione: Inutile il Ricorso se la Pena è Finita
Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione affronta un’importante questione procedurale: cosa succede al ricorso contro un provvedimento di espulsione quando, nelle more del giudizio, il ricorrente finisce di scontare la sua pena? La risposta della Corte è netta e si fonda sul principio della carenza di interesse espulsione, dichiarando l’impugnazione inammissibile. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione e le sue implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
Un cittadino straniero proponeva ricorso in Cassazione avverso un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che aveva disposto nei suoi confronti l’espulsione come misura alternativa alla detenzione, ai sensi dell’art. 16, comma 5, del Testo Unico sull’Immigrazione (d.lgs. n. 286/1998).
Mentre il ricorso era pendente dinanzi alla Suprema Corte, si verificava un evento decisivo: il ricorrente veniva scarcerato per aver terminato di scontare la sua pena detentiva. Questo fatto nuovo, esterno al procedimento di impugnazione, ne ha determinato l’esito finale.
La Sopravvenuta Carenza di Interesse e la Decisione
La Corte di Cassazione, una volta accertato che il ricorrente aveva completato l’espiazione della pena il 4 marzo 2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione risiede nella “sopravvenuta carenza d’interesse”.
Il ricorrente, infatti, non aveva più alcun interesse concreto e attuale a ottenere una pronuncia sull’illegittimità dell’ordinanza di espulsione, poiché quella misura non poteva più essere eseguita. La logica è semplice: se l’espulsione è un’alternativa alla detenzione in carcere, essa ha senso solo finché la detenzione è in corso. Una volta che la persona è tornata in libertà per fine pena, la misura alternativa perde la sua stessa ragion d’essere.
Le Motivazioni della Corte sulla Carenza di Interesse Espulsione
La Corte ha argomentato la sua decisione basandosi su ragioni sia sistematiche che testuali. L’espulsione in questione ha una natura ontologicamente alternativa alla pena e il suo scopo primario è quello di decongestionare gli istituti penitenziari. Pertanto, deve essere disposta ed eseguita mentre l’espiazione della pena è ancora in atto.
I giudici hanno richiamato precedenti giurisprudenziali che confermano questo orientamento. La pena principale, una volta interamente eseguita, si è estinta per una causa (la sua completa esecuzione) che precede e annulla la possibilità di applicare la misura alternativa. La norma prevede che, in caso di rientro illegittimo in Italia entro dieci anni, riprenda l’esecuzione della pena. Tuttavia, sottolinea la Corte, non può “riprendere” l’esecuzione di una pena che è già stata interamente scontata.
Un altro punto rilevante toccato dalla Corte riguarda le spese processuali. La declaratoria di inammissibilità per sopravvenuta carenza d’interesse non ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese né di una sanzione pecuniaria. Questo perché non si configura un’ipotesi di soccombenza, neppure virtuale, dato che l’esito del processo non dipende da una valutazione del merito del ricorso, ma da un evento esterno e successivo.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La decisione chiarisce un principio fondamentale: l’efficacia dell’espulsione come misura alternativa è strettamente legata alla pendenza della pena detentiva. Se il condannato viene scarcerato per fine pena prima che l’espulsione venga eseguita o che il relativo ricorso venga deciso, la misura diventa ineseguibile e qualsiasi impugnazione perde di interesse.
Questa pronuncia ha importanti riflessi pratici. Da un lato, conferma la funzione deflattiva della misura, limitandone l’applicazione al solo periodo di detenzione. Dall’altro, stabilisce che in casi di carenza di interesse espulsione di questo tipo, la parte che ha proposto il ricorso non subirà conseguenze economiche, in quanto l’esito non è determinato da un torto o una ragione nel merito delle sue doglianze, ma da un evento fattuale che svuota di contenuto la controversia.
Perché il ricorso contro l’ordinanza di espulsione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, poiché il ricorrente ha terminato di scontare la sua pena detentiva prima che la Corte potesse decidere. Di conseguenza, non aveva più un interesse concreto a far annullare un provvedimento che non poteva più essere eseguito.
Cosa accade a un’ordinanza di espulsione come misura alternativa se il detenuto viene scarcerato per fine pena?
L’ordinanza di espulsione diventa ineseguibile. Essendo una misura alternativa alla detenzione, il suo scopo è sostituire il carcere. Una volta che la pena detentiva è conclusa, la misura alternativa perde la sua funzione e non può più essere applicata.
In caso di inammissibilità per carenza di interesse, il ricorrente deve pagare le spese del procedimento?
No, in questo specifico caso la Corte di Cassazione ha stabilito che la sopravvenuta carenza di interesse non comporta la condanna alle spese del procedimento né al pagamento di sanzioni. Questo perché non si tratta di una soccombenza nel merito, ma di un esito determinato da un evento esterno alla volontà delle parti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34606 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34606 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
1
p,
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso proposto da NOME COGNOME e l’ordinanza impugnata.
L’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse.
Nelle more del giudizio di legittimità è terminata l’espiazione della pena detentiva sostituita con l’impugnata espulsione prevista dall’art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998.
Dal certificato del DAP risulta che il ricorrente è stato scarcerato per fine pena il 4 marzo 2024.
La disposta espulsione dello straniero non è più eseguibile trattandosi di una misura alternativa alla detenzione prevista allo scopo di ridurre la popolazione carceraria.
A sostegno di tale conclusione militano ragioni sistematiche, sorrette da dati testuali.
L’espulsione di cui trattasi, infatti, proprio per la sua natura ontologicamente alternativa alla pena, richiede che sia disposta ed eseguita allorché l’espiazione di quest’ultima sia ancora in atto all’interno dello stabilimento carcerario (Sez. 1, n. 28714 del 09/10/2020, Ech Charef), il cui decongestionamento rappresenta la ratio fondamentale dell’istituto. La pena è estinta, del resto, ai sensi dell’art. comma 8, T.U. imm., decorsi dieci anni dall’espulsione, purché essa evidentemente- non si sia già estinta in precedenza per un qualsiasi altro motivo, quale quello della sua completa esecuzione. E, in caso di rientro illegittimo dello straniero condannato nel territorio dello Stato entro dieci anni, la norma dispone che riprenda l’esecuzione della pena, ma è chiaro che non può riprendere l’esecuzione di una pena già interamente eseguita, «senza considerare che il termine di dieci anni comincia a decorrere dal momento dell’esecuzione del provvedimento di espulsione, che nel caso di specie non v’è stata né potrebbe mai esservi» (in Sez. 5, n. 35750 del 29/05/2007, Deda, Rv. 237709-01).
La sopravvenuta carenza d’interesse alla definizione del ricorso non comporta condanna né alle spese del procedimento, né al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, in quanto non configura un’ipotesi di soccombenza della parte, neppure virtuale (Sez. U, n. 7 del .25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208166; Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017, dep. 2018, Rezmuves, Rv. 272308)
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Così deciso, in Roma 1 luglio 2024.