Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1466 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1466 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nata a Roma il 13/07/1981 avverso l’ordinanza del 28/08/2023 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che conclude per il rigetto del ricorso; lette le conclusioni degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che insistono per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza emessa in data 28 agosto 2023, e depositata in data 31 agosto 2023, il Tribunale di Roma, pronunciando in sede di riesame, ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere, con riferimento al reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990.
Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’attuale ricorrente in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 30 del 1990, per aver illecitamente detenuto, il 9 agosto 2023, in concorso con il convivente, considerevoli quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina e del tipo hashish. Ha inoltre esposto le ragioni per le quali debbono ritenersi sussistenti sia le esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. pro pen., sia l’indispensabilità dell’applicazione della misura della custodia in carcere.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME articolando due motivi.
Con il primo motivo di ricorso, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 273, comma 1, lett. c), 275, commi 1, 2 e 3, e 192 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta gravità del fatto ed alla conseguente indispensabilità di applicazione della custodia cautelare in carcere. Si deduce, in primo luogo, che l’ordinanza impugnata dispone una misura cautelare sproporzionata alla gravità del fatto e alla personalità criminale della stessa indagata. Si premette che il fatto, per come ricostruito, evidenzia solo un «puerile e grossolano tentativo di occultare lo stupefacente». Si osserva, poi, che il giudizio sulla sua gravità e sulla personalità dell’indagata è fondato su valutazioni contradditorie, ad esempio perché la condotta della donna è definita dapprima un gesto «di istinto» e poi «astuta», nonché su ipotesi meramente congetturali, come quando adombra una collaborazione nelle operazioni di confezionamento della droga e di tenuta della contabilità. Si deduce, in secondo luogo, che è stato eluso l’obbligo di motivazione imposto dall’art. 275, comma 3, prima parte, cod. proc. pen., a fronte della richiesta difensiva di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari applicati presso l’abitazione dei genitori dell’indagata, c l’applicazione delle modalità di controllo a distanza di cui all’ari:. 275-bis cod. proc. pen. Si rileva che l’ordinanza impugnata erroneamente ha trascurato l’efficacia coercitiva e deterrente della misura degli arresti domiciliari, specie se applicata in un luogo estraneo ai fatti, in considerazione della effettiva condotta dall’attuale ricorrente, nonché dell’assenza di elementi di collegamento della stessa con circuiti criminali, e di precedenti penali o di pendenze giudiziarie a suo carico. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 273, lett. c), e 275, comma 3-bis, cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione, a norma dell’artt. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta inadeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari con l’applicazione delle misure di controllo previste dall’art. 275-bis cod. proc. pen. Si
deduce che il Tribunale, ai fini del giudizio sulla richiesta difensiva di sostituzio della misura cautelare applicata dal GIP con quella degli arresti domiciliari presso l’abitazione dei genitori, con applicazione dei presidi di controllo indicati dall’a 275-bis cod. proc. pen., ha omesso di considerare la reale consistenza della condotta dell’indagata e la personalità della stessa per come emerge dagli atti. Si rileva, poi, che il Tribunale non ha spiegato perché la contestuale applicazione degli arresti domiciliari in luogo estraneo ai fatti e del c.d. “braccialetto elettroni sia misura non idonea ad impedire all’indagata contatti con clienti e fornitori.
In replica alla requisitoria del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato memoria. Nell’atto, si evidenzia come il primo motivo di gravame proposto non solleciti una rivalutazione del merito della vicenda, ma si limiti a richiedere u riesame della corretta applicazione delle norme di legge in tenia di criteri di scelta della misura cautelare e della congruità della motivazione offerta dal Tribunale ordinario di Roma in ordine alle richieste difensive finalizzate ad ottenere la sostituzione della misura cautelare carceraria con quella degli arresti domiciliari.
In data 8 novembre 2023, poi, l’avvocato NOME COGNOME ha depositato copia dell’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Roma del 3 novembre 2023, con la quale, nei confronti della ricorrente, la misura della custodia in carcere è stata sostituita con quella degli arresti domiciliari presso l’abitazione dei genitori.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Le censure esposte nel ricorso, infatti, contestano l’ordinanza impugnata in relazione al profilo della adeguatezza della misura della custodia in carcere con esclusivo riferimento alle valutazioni espresse dal Tribunale in tema di inidoneità degli arresti domiciliari presso l’abitazione dei genitori della ricorrente, pur presidiata dal c.d. “braccialetto elettronico”.
In particolare, anche le doglianze contenute nel primo motivo, sebbene rubricate in termini generali: «Mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta gravità del fatto ed alla conseguente applicazione della custodia cautelare in carcere in luogo di una misura meno afflittiva», svolgono considerazioni specifiche solo con riferimento alla mancata sottoposizione della ricorrente alla misura degli arresti donniciliari, mentre nulla osservano con riguardo alla eventuale praticabilità di altre e meno gravose misure.
Di conseguenza, l’avvenuta sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti donniciliari presso l’abitazione dei genitori della ricorren
deve ritenersi pienamente satisfattiva dell’interesse dalla stessa perseguito mediante la proposizione dell’impugnazione in esame.
Deve escludersi, poi, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di somme a favore della cassa delle ammende.
Invero, in forza di insegnamento ripetutamente ribadito anche dalle Sezioni Unite, alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione per il venir meno dell’interesse alla decisione sopraggiunto alla sua proposizione non consegue la condanna del ricorrente né alle spese del procedimento, né al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, in quanto non si configura una ipotesi di soccombenza della parte, neppure virtuale (così Sez. U, n. 31524 del 14/07/2004, COGNOME, Rv. 228168-01, e Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, COGNOME, Rv. 208166-01, ma anche Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017, dep. 2018, Rezmuves, Rv. 272308-01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Così deciso il 10/11/2023