Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31290 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31290 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALERMO il 05/08/1977
avverso l’ordinanza del 07/03/2025 del TRIBUNALE di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che chiede dichiararsi inammissibile il ricorso come da requisitoria scritta, e si oppone all’acquisizione della documentazione prodotta con i motivi nuovi.
uditi i difensori del ricorrente:
L’avvocato NOME COGNOME insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso. L’avvocato NOME COGNOME insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata, i l Tribunale del riesame di Palermo ha rigettato il ricorso, proposto ai sensi dell’art. 3 09 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di quella stessa città, che ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME siccome gravemente indiziato dei delitti di cui agli artt. 416bis cod. pen. (con ruolo di promotore), 4 l. n. 401 del 1989, 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990; 629 cod. pen. (capi 1, 5, 7, 10, 15, 17, 24, 25, 26, e 35 della provvisoria incolpazione) per essere state ravvisate le esigenze cautelari di cui alle lett. a) e c) dell’art. 274 cod. proc. pen., ricorrendo la duplice presunzione di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. –
Ricorre per cassazione l’indagato, con il ministero del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME il quale svolge un motivo unico, di seguito enunciato nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
Denuncia la insussistenza di un grave quadro indiziario in relazione al reato di cui all’a rt. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, contestato al capo 35 della provvisoria incolpazione, relativamente al sodalizio dedito al narcotraffico, che il ricorrente avrebbe diretto unitamente al fratello NOME.
L ‘ordinanza impugnata non avrebbe dimostrato l’esistenza di un ulteriore e autonomo consesso criminale, rispetto al sodalizio mafioso di cui al capo 1, di cui il traffico di stupefacenti costituisce uno dei core business , omettendo il confronto con la possibilità che il COGNOME abbia posto in essere meri delitti scopo del sodalizio mafioso, senza costituire prima e dirigere poi un gruppo dedito al narcotraffico.
L ‘avv. COGNOME , con P.E.C. del 18 luglio 2025, ha proposto motivi nuovi con i quali insiste nel denunciare il vizio di motivazione apparente relativamente al delitto associativo di cui all’art. 74 cit., evidenziando come analogo limite presentava già l’ordinanza genetica del G.I.p. cosicchè, conclude, neppure leggendo unitamente i due provvedimenti, è possibile rinvenire la sussistenza di gravi indizi dell’esistenza di uno stabile accordo illecito e della disponibilità da parte del sodalizio, con sufficiente stabilità, di risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo.
Ha depositato motivi nuovi, inviati con PEC del 22 luglio 2025, anche il nuovo difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME
4.1. Con il primo motivo nuovo, denuncia la inutilizzabilità delle intercettazioni effettuate mediante captatore informatico sulla base della propugnata interpretazione della disciplina del regime temporale quanto ai presupposti per la autorizzazione delle intercettazioni con tale modalità. In fatto, deduce, che il procedimento deve considerarsi iscritto il giorno 22 aprile 2021, data della iscrizione del nominativo del primo degli odierni indagati, quello di NOME COGNOME nel registro delle notizie di reato, a cui ha fatto seguito l’iscrizione di tutti gli altri co-indagati, compreso il ricorrente (iscritto il 21 dicembre 2022). Eccepisce, pertanto, la nullità del provvedimento del GIP, che ha autorizzato nel 2022 l’intercettazione di NOME COGNOME mediante captatore informatico, in quanto privo di una motivazione puntuale sui seguenti punti: – gravi indizi di reato, assoluta indispensabilità per la prosecuzione delle indagini, specifica necessità di utilizzo del captatore informatico, come richiesto dal d.lgs. 29 dicembre 2017 n. 216, e successive modifiche, che si applica ai procedimenti iscritti dal 1^ settembre 2020. Erroneamente, quindi, i giudici di merito avrebbero ritenuto applicabile, nella fattispecie in esame, la previgente disciplina, secondo la in terpretazione offerta dalle Sezioni unite ‘Scurato’.
Richiamato l’approdo delle Sezioni Unite ‘COGNOME‘ con riguardo al concetto di procedimento, e propugnata l’insussistenza di un collegamento tra le notizie di reato iscritte in precedenza nel procedimento R.G.N.R. 7506/2017 e quelle che hanno giustificato lo sviluppo delle indagini a carico degli odierni indagati, c onclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata, stante la nullità del decreto autorizzativo del 12 ottobre 2022, R.I.T. 3123/2022, per totale mancanza di motivazione, e la conseguente inutilizzabilità dei risultati acquisiti a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 271 cod. proc. pen.
Quanto alla prova di resistenza, sostiene che, espunti dal compendio indiziario i dialoghi intercettati mediante il captatore informatico autorizzato con decreto n. 3123/2022 RIT, l’ordinanza impugnata , richiamandosi quasi integralmente a quella del G.I.P., resta sprovvista di elementi probatori utili a dimostrare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di NOME COGNOME relativamente all’esistenza di una autonoma associazione dedita al narcotraffico e al ruolo apicale dallo stesso ivi rivestito.
4.2. Con un secondo motivo nuovo, eccepisce la inutilizzabilità, nei confronti di NOME COGNOME, di tutte le captazioni svolte successivamente al 21 dicembre 2023. Sostiene che il nominativo del ricorrente è stato iscritto nel registro notizie di reato, nel procedimento n. 7506/2017 R.N.R., in data 21 dicembre 2022, per il delitto di cui all’art. 416 -bis cod. pen. (all. 17), trovando applicazione, nei suoi confronti, il regime anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 150/2022 ; pertanto, secondo la previsione ratione temporis vigente, il termine di durata massima,
all’epoca fissato in dodici mesi, sarebbe scaduto il 20 dicembre 2023. Il pubblico ministero non ha chiesto per lui proroghe dei termini di durata delle indagini, e a tanto consegue l ‘ inutilizzabilità delle intercettazioni successivamente svolte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso non è fondato.
2.Come premesso, la Difesa di NOME COGNOME con il ricorso inoltrato con P.E.C. del 9 maggio 2025, ha formulato un unico motivo di ricorso, censurando la motivazione dell’ordinanza impugnata con riguardo alla affermata sussistenza (nei termini indiziari rilevanti nel giudizio incidentale in questione) del delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990.
2.1. Successivamente, l’avv. NOME COGNOME nuovo difensore del ricorrente, nominato il 10 aprile 2025 (con contestuale revoca dell’avv. NOME COGNOME ha depositato, con P.E.C. del 22 luglio 2025, motivi nuovi con i quali ha eccepito, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni eseguite mediante captatore informatico, disposte nei confronti di NOME COGNOME con il decreto rit. nn. 3123/2022, nonché di tutte quelle svolte successivamente al 20 dicembre 2023.
2.2. Prima di affrontare tali aspetti, deve premettersi che i motivi nuovi a firma dell’avvocato COGNOME nuovo difensore del ricorrente, presentati nei termini di cui agli artt. 585, comma 4, e 611, comma 1, cod. proc. pen., sono da considerarsi ammissibili, pur essendo stati formulati da un difensore diverso da quello che ha presentato il motivo originario, poiché, per un verso, i motivi sono stati depositati da un difensore regolarmente nominato; per altro verso, la loro proposizione non integra l’esercizio di un nuovo potere di impugnazione, quanto piuttosto la facoltà, riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, di approfondire le doglianze già avanzate con l’atto di impugnazione.(Sez. 1, n. 24690 del 16/11/2022 (dep. 2023) Rv. 284832).
Non potrebbe, infatti, dirsi consumato, con la presentazione del ricorso, il potere di impugnazione, dal momento che i motivi nuovi non presentano natura di impugnazione. Altrimenti argomentando, dovrebbe pervenirsi alla conclusione da respingere, invece, perché contraria ai principi sul diritto di difesa – che il ricorrente potrebbe essere privato della facoltà di proporre motivi nuovi per ragioni connesse alle sue scelte difensive, quali la revoca dei precedenti difensori e la nomina di difensori diversi. Diversa, ovviamente, l’ipotesi di motivi nuovi depositati da un terzo difensore, ciò che non è consentito, in assenza della revoca di alcuno di quelli precedenti (Sez. 2, n. 56337 del 25/09/2018).
2 .3. Sempre in via preliminare, è necessario replicare all’obiezione del Procuratore generale, che si è opposto all’acquisizione della documentazione prodotta con i motivi nuovi , di cui ha chiesto l’espunzione sul rilievo che avrebbero dovuto essere prodotti con i motivi originari di ricorso.
2.3.1. Con il motivo aggiunto, il ricorrente eccepisce la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni autorizzate con il decreto rit. 3123 del 2022, facendo leva essenzialmente sul mancato rispetto dei contenuti minimi del decreto e dei relativi obblighi motivazionali ex art. 266 e 267 cod. proc. pen., nonché sulla inosservanza dell’art. 268, commi 3 e 3 -bis cod. proc. pen..
2.3.2. Effettivamente, nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3 n. 209 del 17/09/2020 (dep. 2021) Rv. 28104702), si afferma che, in tema di ricorso per cassazione contro i provvedimenti sulla libertà personale, l’art. 311, comma 4, cod. proc. pen. consente in via eccezionale, prima dell’inizio della discussione, la presentazione di motivi nuovi riguardanti capi o punti della decisione già oggetto di impugnazione ma non autorizza la produzione di documenti, che resta disciplinata dalle regole generali concernenti il procedimento di legittimità, secondo le forme previste dall’art. 127 del codice di rito (art. 311, comma quinto, stesso codice). Ne consegue che le produzioni documentali integranti il novum eccezionalmente autorizzato devono intervenire al più tardi con una memoria depositata nella cancelleria della Corte di Cassazione cinque giorni prima dell’udienza, secondo le regole generali sul procedimento di legittimità ai sensi degli artt. 127 e 311, comma 5, cod. proc. pen. (cfr. S ez. 3 n. 209 del 17/09/2020 (dep. 2021 ),Rv. 281047; Sez. 3, n. 12641 del 05/02/2013, Rv. 255118; Sez. F, n. 34554 del 25/07/2003, Rv. 228393).
2.3.3. Nondimeno, nel caso di specie, con il motivo aggiunto, il ricorrente eccepisce l ‘ inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni autorizzate con il decreto rit. 3123 del 2022, facendo leva essenzialmente sul mancato rispetto dei contenuti minimi del decreto e dei relativi obblighi motivazionali ex art. 266 e 267 cod. proc. pen., nonché sulla inosservanza dell’art. 268, commi 3 e 3 -bis cod. proc. pen..
2.3.4. Tra le questioni rilevabili officiosamente , ai sensi dell’art. 609 cod. proc. pen., in ogni stato e grado del procedimento, e quindi, anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, rientra pacificamente la declaratoria di inutilizzabilità di prove acquisite in violazione dei divieti di legge. (Sez. 3 n. 32866 del 29/04/2021, Rv. 281880029).
2.3.5. In corrispondenza del potere officioso di Giudice, sta il potere della parte di eccepire, per la prima volta, dinanzi al giudice di legittimità, anche oralmente durante la discussione, la inutilizzabilità c.d. ‘patologica’ . In tal caso, affinchè
l’eccezione risulti ammissibile , il principio a cui fare riferimento è quello a tenore del quale, nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o di inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale (perché appartenenti ad altro procedimento o anche – qualora si proceda con le forme del dibattimento – al fascicolo del pubblico ministero), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione, si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative addotte a fondamento del vizio processuale (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244329).
Questo comporta che, nel caso di specie, ai fini dell’ammissibilità dell’eccezione di inutilizzabilità c.d. patologica delle intercettazioni, i termini per l’allegazione documentale sono i medesimi previsti per l’eccezione di inutilizzabilità.
2.3.6. Ne segue che i motivi nuovi proposti dall’avvocato COGNOME laddove deducono la inutilizzabilità delle intercettazioni acquisite contra legem , sono ammissibili.
2.3.7. Vale la pena di chiarire fin d’ora che non si pone, rispetto a tale eccezione, un problema di c.d. prova di resistenza, né assume rilievo chiarire se spetti al giudice, che rilevi ex officio, una inutilizzabilità per violazione di legge (c.d. patologica), sperimentarla o se essa debba gravare anche in tal caso sulla parte: nel caso di specie, infatti, di tale onere si è fatta carico la difesa nell’introdurre il motivo aggiunto.
Ciò premesso, ragioni di ordine logico-sistematico impongono di affrontare in primo luogo il tema posto dai motivi aggiunti a firma dell’avvocato COGNOME
Con tali motivi, come si è premesso, la difesa eccepisce la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni autorizzate con i decreti rit. nn. 3619 e 3620 del 2024 e con i decreti rit. nn. 2872 e 3123 del 2022, che non presenterebbero i contenuti minimi né rispetterebbero i relativi obblighi motivazionali declinati negli artt. 266 e 267 cod. proc. pen., altresì dolendosi della inosservanza dell’art. 268, commi 3 e 3bis cod. proc. pen.
La risoluzione delle questioni sollevate dal ricorrente postula l’individuazione della disciplina applicabile, tenuto conto di una pluralità di aspetti, costituiti dalla natura del fatto-reato oggetto dei decreti di intercettazione, dalla tipologia di intercettazione disposta attraverso il captatore informatico, dalla normativa di riferimento secondo la regola temporale dettata dagli interventi legislativi che si sono susseguiti.
In estrema sintesi e nell’ottica qui in rilievo , può fin d’ora osservarsi che la normativa diverge se vengono in esame delitti di criminalità organizzata, o determinati reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, o altri
reati; se il c.d. trojan horse viene impiegato per la captazione di conversazioni o flussi di comunicazioni oppure per effettuare intercettazioni ambientali anche in luoghi di privata dimora; se si tratta di intercettazioni relative a procedimenti iscritti entro o dopo il 31 agosto 2020.
3.1. Quanto al primo profilo, è sufficiente osservare che i decreti oggetto di ricorso sono stati emessi in relazione al delitto di cui all’art. 416 -bis cod. pen. riferito alla famiglia mafiosa operante nel mandamento palermitano denominato “NOME COGNOME“, quale articolazione territoriale di ‘cosa nostra’.
Il reato posto a base della captazione rientra indubbiamente nella nozione di ‘delitto di criminalità organizzata’ governato dalle norme speciali dettate dall’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 203 del 1991.
Tale norma, in deroga alla disciplina ordinaria, richiede che sussistano ‘sufficienti indizi’ di reato (invece di “gravi indizi”) e che l’intercettazione sia ‘necessaria’ per lo svolgimento delle indagini (invece che “assolutamente indispensabile”); essa prevede, inoltre, che, quando si tratta di intercettare comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati dall’articolo 614 del cod. pen., ‘l’intercettazione è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l’attività criminosa’ (mentre l’attività criminosa in corso costituisce presupposto per autorizzare le intercettazioni ordinarie all’interno dei luoghi di privata dimora, che, in quanto tali, godono di tutela privilegiata).
Da tale ultima notazione discende che, nel caso di delitti di criminalità organizzata, non si pongano particolari esigenze di tutela rispetto alle peculiarità del captatore informatico, tant’è che, già prima della espressa regolamentazione di cui al d. lgs. n. 216 del 2017, le Sezioni Unite ‘ Scurato’ della Corte di cassazione avevano riconosciuto la legittimità dell’installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata (e solo in questi), giacché per essi è consentita la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione e indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto (Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, Rv. 266905 – 01).
Va aggiunto – attenendosi alle categorie impiegate dal d. lgs. n. 216 del 2017 -che quello previsto dall’art. 416 -bis cod. pen., oltre a classificarsi come delitto di criminalità organizzata, rientra nel novero dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3bis cod. proc. pen.
3.2. Sul secondo profilo va evidenziato che il captatore informatico non è altro che uno strumento messo a disposizione dalla moderna tecnologia, attraverso il quale è possibile effettuare una intercettazione di qualunque tipologia (Sez. 5, n. 31606 del 30/09/2020, COGNOME, non massimata).
La peculiarità – e conseguente problematicità – dell’intercettazione di cui si discute sta nel fatto che il soggetto intercettato può recarsi, portando con sé l’apparecchio elettronico nel quale è stato installato il “captatore”, nei luoghi di privata dimora di altre persone, così dando luogo a una pluralità di intercettazioni domiciliari (cfr. in motivazione Sezioni Unite Scurato cit.).
Problematicità che, tuttavia, nel caso di delitti di criminalità organizzata non ricorre alla luce dello speciale regime che governa le intercettazioni ex art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, ritenuto compatibile sia con la Carta costituzionale sia con i principi sovranazionali (cfr. in motivazione Sezioni Unite Scurato cit.).
3.3. Il terzo profilo riguarda il regime temporale.
3.3.1. Va, preliminarmente, chiarito che il presente scrutinio viene condotto nella prospettiva dei reati di criminalità organizzata, mentre, trattandosi di tema estraneo al processo, si tralasciano le complesse scansioni temporali di operatività della disciplina del captatore per i reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, se non per rimarcarne, quando occorre, differenze e affinità rispetto alle problematiche in rilievo (per i reati contro la pubblica amministrazione si rimanda a Sez. U civ., n. 741 del 15/01/2020, Rv. 656792 03; Sez. 6, n. 9158 del 30/01/2024, COGNOME, Rv. 286117 e tra le ultime Sez. 6, n. 33017 del 11/07/2024, Monticelli, non massimata).
3.3.2. Nella prospettiva -qui di rilievo -dei reati di criminalità organizzata -il percorso legislativo si trova analiticamente tracciato nella sentenza delle Sezioni Unite ‘ COGNOME ‘ (n. 36764 del 18/04/2024).
In questa sede è sufficiente ricordare che il parametro di riferimento, per l’applicazione del novum , non è più costituito «dai provvedimenti autorizzativi emessi», ma dai «procedimenti penali iscritti» dopo un dato termine, alla fine individuato in quello del 31 agosto 2020.
Rispetto a tale parametro, può richiamarsi la disamina svolta dalle citate Sezioni Unite ‘ COGNOME (cfr. § 9 del considerato in diritto):
la «norma transitoria regola i tempi di entrata in vigore di un intero “corpo normativo”: una disposizione, cioè, che regola la successione di norme in tema di presupposti di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova, di modalità di documentazione delle attività captative, di conservazione del materiale, di procedimentalizzazione della selezione dei dati probatori raccolti, di utilizzabilità della prova, anche in un “diverso procedimento”»;
tale disposizione «deve quindi essere interpretata in senso unitario, cioè facendo riferimento ad un unico criterio, capace di regolamentare sul piano temporale, l’entrata in vigore della “riforma” nel suo complesso, cioè in relazione a tutti i distinti profili del “procedimento di intercettazione” su cui il legislatore è intervenuto».
È necessario, dunque, comprendere cosa debba intendersi per ‘procedimento’ (che deve essere iscritto entro una determinata data), tenuto conto che la scelta finale del legislatore è caduta su tale parametro, ritenuto preferibile rispetto a quello, individuato inizialmente, della data di emissione del decreto autorizzativo. Come ricordano le Sezioni Unite COGNOME, l’avere riguardo «alla data di iscrizione del procedimento, piuttosto che alla data di emissione del decreto autorizzativo, appare molto più razionale poiché quest’ultimo criterio avrebbe determinato una commistione di disciplina applicabile alle operazioni di captazione già in corso nello stesso procedimento alla data di efficacia delle nuove disposizioni, con effetti di disordine e di incertezza» (§ 10).
3.3.3. Fermo, come detto, che, nella specie, viene in rilievo il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen., la successione normativa conduce alla seguente ricostruzione -riguardata sotto l’angolo prospettico devoluto con il motivo aggiunto di ricorso, afferente ai presupposti e ai contenuti del decreto autorizzativo del GIP:
Per i procedimenti iscritti entro il 31 agosto 2020, ovvero prima della operatività delle norme di espressa regolamentazione dettate dal d. lgs. n. 216 del 2017, opera la normativa originaria di cui agli artt. 266, 267, 268 cod. proc. pen. con le deroghe, per la criminalità organizzata, contenute nell’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991 convertito dalla legge n. 203 del 1991, come declinate dalle già ricordate Sezioni Unite ‘ COGNOME ‘ (cfr. Sez. 5, n. 33138 del 28/09/2020, COGNOME, Rv. 279841 01): l’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l’installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico è consentita nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata per i quali trova applicazione la disciplina di cui all’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto. Circa gli oneri motivazionali del decreto autorizzativo la Corte ha sottolineato che, in considerazione della forza intrusiva del mezzo usato, la qualificazione del fatto reato, ricompreso nella nozione di criminalità organizzata, deve risultare ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari, evidenziati nella motivazione del provvedimento di autorizzazione in modo rigoroso.
Per i procedimenti iscritti dal 1° settembre 2020 è applicabile, invece, il d. lgs. n. 216 del 2017 e successive modifiche e integrazioni.
La codificazione legislativa ha confermato che il captatore è solo uno strumento attuativo suscettibile di realizzare le varie tipologie di intercettazioni ( in primis, quelle tra presenti mediante l’attivazione del microfono).
L’art. 266, comma 2, prima parte, cod. proc. pen. consente, in via generale, che l’intercettazione di comunicazioni tra presenti possa essere eseguita «anche mediante l’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile»; rimane invariata la seconda parte del comma 2, per cui l’intercettazione nei luoghi di privata dimora è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.
A questa regola generale deroga il successivo comma 2bis , il quale tiene conto delle speciali discipline a cui soggiacciono le intercettazioni ambientali sia nei delitti di criminalità organizzata ( ex art. 13 d.l. n. 152 del 1991 conv. dalla legge n. 203 del 1991 – cfr. sopra) sia, in forza di successiva (parziale) estensione, nei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (si rimanda a Sez. 6, n. 9158 del 30/01/2024, COGNOME NOME, Rv. 286117 per l’analisi della successione di leggi e in particolare del disposto dell’art. 6 d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, e della modifica di cui all’art. 1, comma 3, legge n. 3 del 2019).
Il citato comma 2bis cod. pen. recita: «L’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3bis e 3quater , e, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4».
Se ne ricava che:
la regola generale per cui le intercettazioni ambientali (eseguite o meno mediante captatore informatico) possono essere effettuate nei luoghi di privata dimora, soltanto se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa;
la deroga -valevole per i procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3bis e 3quater nonché per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni -in forza della quale l’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita anche nei luoghi di privata dimora, indipendentemente dal ritenuto svolgimento di attività criminosa;
nell’ambito della deroga, la condizione -imposta solo per i ridetti delitti contro la pubblica amministrazione -che occorre la previa indicazione delle ragioni che giustificano l’utilizzo del captatore anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale.
Pertanto, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, tale ultima condizione si riferisce esclusivamente ai reati contro la pubblica amministrazione, non anche a quelli di criminalità organizzata citati nella prima parte del comma 2bis .
In tal senso depongono la genesi, la lettera e la struttura della norma.
Invero, il comma 2bis è stato inserito nel corpo dell’art. 266 proc. pen. dall’art. 4, comma 1, lettera a), n. 2 del d. lgs. n. 216 del 2017 secondo cui: “dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: «2bis . L’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3 bis e 3 quater »”.
Questa parte della norma è sempre rimasta inalterata; mentre è stata più tormentata la formulazione della seconda parte della norma, quella dedicata ai delitti contro la pubblica amministrazione, su cui il legislatore è ripetutamente intervenuto.
In particolare, l’inciso in esame (“previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale”) è frutto di una modifica introdotta dalla legge n. 7 del 2020, in sede di conversione del d.l. n. 161 del 2019.
L’art. 1, comma 1, della citata legge stabilisce che: «Il decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge».
Tra le modifiche previste nell’allegato vi è quella che interviene sull’art. 2, comma 1, lettera c) del decreto-legge nel senso di prevedere che, all’art. 266, comma 2bis cod. proc. pen., le parole: «e per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4» sono sostituite dalle seguenti: «e, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4».
Si tratta quindi, all’evidenza, di un intervento mirato proprio ed esclusivamente sui delitti contro la pubblica amministrazione, che lascia indenne, recependola in toto , l’originaria previsione riferita ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3bis e 3quater .
Soccorrono, nel medesimo senso, la struttura e la lettera della norma. Dapprima, infatti, si afferma che “è sempre consentita” l’intercettazione a mezzo captatore
per i reati di cui all’articolo 51, commi 3bis e 3quater , cod. proc. pen. e solo successivamente, quando viene regolato l’utilizzo dello strumento investigativo per i delitti contro la pubblica amministrazione, si richiede la «previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale». La disposizione normativa, anche nella sua stratificazione temporale, si articola in due segmenti: il primo riferito ai reati di cui all’art. 51, commi 3 -bis e 3quater, e il secondo -separato dal primo, anche a livello semantico, dall’uso di una “prima” virgola seguita dalla congiunzione “e” -concernente i delitti contro la pubblica amministrazione. L’interpretazione del testo è agevolata dall’uso della virgola parentetica, che, collocata dopo la congiunzione ‘e’ nonché prima e dopo l’inciso ‘previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale’, delimita chiaramente ai soli reati della seconda parte l’ambito applicativo dell’onere motivazionale aggiuntivo. Anche la punteggiatura, pertanto, concorre a svolgere una funzione esplicativa e restrittiva, escludendo i reati di criminalità organizzata dalla necessità di una motivazione più pregnante per l’uso del captatore in luoghi di privata dimora.
Il d. lgs. n. 216 del 2017 è intervenuto anche sull’art. 267 cod. proc. pen. e, per quanto qui interessa, sul comma 1 del citato articolo, prevedendo, in via generale e senza distinzioni, che, quando, nell’intercettazione tra presenti, si autorizza l’impiego del captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, il decreto del GIP deve «indicare le ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini».
Si è stabilito, quindi, che, qualunque sia il reato per il quale si procede (e quindi anche nel caso di delitti di criminalità organizzata), il giudice deve dare conto, nella stessa motivazione del provvedimento autorizzativo, della necessità di impiegare il captatore informatico per effettuare le intercettazioni tra presenti.
In dottrina, si parla efficacemente di “decreto rafforzato” o di “motivazione rafforzata”, per sottolineare l’intento legislativo di offrire, per tal via, una maggiore garanzia, in ragione della più significativa invasività nella sfera della riservatezza che il nuovo mezzo tecnologico consente rispetto agli strumenti tradizionali.
Il comma 2bis dell’art. 1 d.l. 10 agosto 2023, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2023, ha modificato il comma 1 dell’art. 267 cod. proc. pen. nel senso di rafforzare ulteriormente l’intensità del vaglio giudiziale e il relativo impegno motivazionale: si richiede che il decreto di autorizzazione del GIP contenga una «autonoma valutazione», da svolgersi «in concreto», delle ragioni che rendono necessario l’impiego di tale strumento. Non è prevista una specifica norma transitoria (come invece accade per il comma 2-
quater relativo alle modifiche all’art. 270 cod. proc. pen., rispetto alle quali il comma 2quinquies evoca il canone dei “procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”).
L’interpretazione dell’obbligo di “autonoma valutazione” e del riferimento a un vaglio “in concreto” può giovarsi dell’ampia elaborazione giurisprudenziale maturata sull’omologo requisito richiesto per le misure cautelari dall’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen. Secondo le pronunce di questa Corte la prescrizione non è incompatibile con una motivazione che richiami per relationem gli elementi emersi nel corso delle indagini e segnalati negli atti di polizia giudiziaria e nella richiesta del pubblico ministero, purché il giudice dia conto del proprio esame critico dei predetti elementi e delle ragioni per cui egli li ritenga idonei a supportare l’adozione del provvedimento di intercettazione. Tali requisiti impongono al giudice di esplicitare le ragioni per cui egli ritiene di poter attribuire, al compendio indiziario, un significato coerente all’integrazione dei presupposti normativi per l’adozione del provvedimento, ma non implicano la necessità di una riscrittura “originale” di tali elementi, si da far ritenere legittima la motivazione per relationem che risponda ai predetti parametri decisionali di ordine normativo (cfr. tra le altre in relazione all’art. 292 cod. proc. pen. Sez. 5, n. 11922 del 02/12/2015 dep. 2016, COGNOME, Rv. 266428 – 01).
La seconda parte dell’art. 267, comma 1, cod. proc. pen. esclude, invece, espressamente, i delitti di criminalità organizzata -nonché quelli dei pubblici ufficiali (e incaricati di pubblico servizio) contro la pubblica amministrazione puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni -dall’obbligo, imposto in tutti gli altri casi, di indicare i luoghi e il tempo, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono. Il che si raccorda con la circostanza che, a mente dell’art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen., per i delitti esclusi dal ridetto obbligo l’intercettazione ambientale è sempre consentita anche nei luoghi di cui all’art. 614 cod. pen.
In conclusione, secondo le linee appena tracciate, nel caso di delitti di criminalità organizzata ricompresi nel novero dell’art. 51 comma 3bis cod. proc. pen., l’unica significativa differenza tra il regime previgente, nella interpretazione fornita dal diritto vivente, e quello successivo, derivante dalla introduzione di norme ad hoc , verte precipuamente sul contenuto del decreto che autorizza l’intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico: il provvedimento del GIP deve, ora, esporre «con autonoma valutazione le specifiche ragioni che rendono necessaria, in concreto, tale modalità per lo svolgimento delle indagini».
Requisito questo non richiesto in precedenza (cfr. Sez. 5, n. 31849 del 28/09/2020, COGNOME, Rv. 279769 – 01).
3.3.4. A questo punto della disamina, e in considerazione della successione normativa descritta, si rende essenziale definire cosa debba intendersi per “procedimento” iscritto entro una certa data (o, con diversa visuale, a partire da una certa data) considerato che il codice di rito impiega il termine “procedimento” secondo accezioni non univoche (cfr. sul punto in motivazione Sez. U, n. n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo).
Sul tale tema si erano già soffermate le Sezioni Unite ‘ COGNOME ‘, che si mostrano consapevoli delle difficoltà interpretative nel caso in cui «due o più procedimenti, con una diversa data di iscrizione, antecedente e successiva alla data di efficacia delle nuove disposizioni, siano riuniti, ovvero nel caso in cui all’iscrizione di alcuni reati, avvenuta prima del 31 agosto 2020, ne facciano seguito in epoca successiva altre, aventi ad oggetto nuovi titoli di reato».
E risolvono la problematica rimandando alla nozione di ‘procedimento’ come delineata dalle Sezioni Unite ‘ Cavallo ‘ : «da una parte, si è chiarito che si considerano unitariamente i procedimenti quando tra i reati vi sia un rapporto di connessione ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., e, dall’altra, si è sottolineato in dottrina, sono state neutralizzate letture meramente formali dell’art. 270 cod. proc. pen., fondate sulla mera materiale distinzione degli incartamenti, ovvero sulla diversità formale di fascicoli» (§11).
Ergo, sono le stesse Sezioni Unite a rifarsi alla chiave interpretativa offerta dalla precedente sentenza n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, ‘ Cavallo ‘ .
Quest’ultima ha ancorato la nozione di procedimento a un criterio di tipo ‘sostanzialistico’, imperniato cioè sul fatto -reato e sul suo rapporto di connessione qualificata, ex art. 12 cod. proc. pen., con altri fatti-reato; evidenziando, altresì, i limiti del criterio formalistico schiacciato sul «contenitore dell’attività di indagine» e su «fattori relativi alla “sede” procedimentale (unitaria o separata) del tutto casuali – e, dunque, forieri dei dubbi di legittimità costituzionale per violazione del principio di uguaglianza (sotto il profilo del trattamento uguale o diversificato di situazioni, rispettivamente, diverse o uguali) prospettati in dottrina -o, comunque, dipendenti dalle opzioni investigative del pubblico ministero: opzioni certo legittime, ma che non possono svuotare di effettività l’autorizzazione del giudice e il divieto probatorio ad essa correlata» (cfr. § 9).
Nondimeno, non può non osservarsi come l’applicazione della nozione sostanzialistica di procedimento alla regola temporale in esame comporti la difficoltà di raccordarla a un elemento indubbiamente formale quale è la data di “iscrizione” del procedimento.
Ritiene il collegio che tale apparente distonia possa essere risolta assegnandosi valore alla prima data di iscrizione della notitia criminis relativa al fatto-reato
(che sarà poi oggetto di intercettazione) inteso nella sua materialità, indipendentemente dalla iscrizione dei nominativi degli indagati, così da rendere irrilevanti (richiamando gli esempi che si trovano anche nelle Sezioni Unite ‘ Cavallo ‘): il passaggio da ignoti a noti; l’iscrizione di successivi nominativi concorrenti in quel determinato fatto-reato; la riapertura delle indagini; la separazione (Sez. 6, n. 9846 del 24/11/2022, dep. 2023, De COGNOME, Rv. 284256 01) e la riunione dei procedimenti.
In tale ottica, va, dunque, sottolineato come si riveli ininfluente l’iscrizione “soggettiva’ , cioè, quella attinente ai nominativi degli indagati.
Le stesse Sezioni Unite ‘ COGNOME ‘ rimarcano che il legame tra procedimento in senso sostanziale e fatto-reato deve essere inteso nella sua espressione oggettiva, restando irrilevante la posizione soggettiva degli autori: è pacifico che un’intercettazione validamente autorizzata può essere utilizzata nei confronti di qualsiasi persona a carico della quale faccia emergere elementi di responsabilità per quel reato.
Ciò in ossequio al principio generale che presidia la materia delle intercettazioni, in forza del quale l’autorizzazione del giudice concerne uno e più fatti -reato nella loro dimensione oggettiva, mentre sono indifferenti i destinatari del decreto autorizzativo (cfr. sul tema Sez. 5, n. 37697 del 29/09/2021, in motivazione), dato che i presupposti dell’attività di intercettazione attengono all’illecito penale e non alla responsabilità dei singoli concorrenti (cfr. in motivazione Sez. 5 n. 1757 del 17/12/2020, dep. 2021, Lombardo).
Può allora affermarsi, in conclusione, che, nella prospettiva del reato previsto dall’art. 416bis cod. pen., la disciplina del captatore informatico di cui al d. lgs. n. 216 del 2017 si applica ai procedimenti iscritti dal 1° settembre 2020, intendendosi per tali quelli in cui la notizia relativa al fatto-reato è stata iscritta nel registro ex art. 335 cod. proc. pen. a partire da tale data, mentre sono privi di influenza sia la data del decreto autorizzativo sia quella in cui viene iscritto il nominativo dell’indagato.
3.4. È, quindi, dalla combinazione dei tre profili sopra ripercorsi (delitto di criminalità organizzata, iscrizione del procedimento, tipologia delle intercettazioni) che, nel caso concreto, va enucleata la disciplina applicabile.
Detta combinazione deve essere rappresentata dal motivo di ricorso che incorrerà nella sanzione di inammissibilità per genericità quando l’eccezione sia sollevata in assenza di precisa indicazione e specifica allegazione dei dati processuali necessari all’esatto inquadramento del caso.
In tale prospettiva, se è vero che la Corte di cassazione è giudice del fatto processuale, è del pari incontroverso che: non compete alla Corte di cassazione, in mancanza di specifiche deduzioni, verificare se esistano cause di inutilizzabilità
o di invalidità di atti del procedimento che non appaiano manifeste, in quanto implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244328-01); che, nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale, al generale onere di precisa indicazione, che incombe su chi solleva l’eccezione, si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale (Sezioni Unite COGNOME, cit. Rv. 244329 -01).
3.5. Il motivo di ricorso nuovo, formulato dall’avvocato COGNOME non presenta questa specificità e finisce per raggruppare, sotto le medesime questioni, decreti di intercettazione molto diversi tra loro per tipologia e disciplina applicabile ratione temporis .
In merito alle deduzioni veicolate dal nuovo difensore del ricorrente, è bene chiarire che, pur citandosi quattro provvedimenti autorizzativi con i quali il coindagato NOME COGNOME è stato sottoposto ad attività intercettiva (si fa riferimento ai seguenti r.i.t.: n. 2872/2022; 3123/2022; n. 3619/2024; n. 3620/2024), è eccepita la nullità esclusivamente del provvedimento autorizzativo r.i.t. n. 3123/2022.
La disamina si concentrerà, pertanto, su tale ultimo provvedimento pur segnalandosi, con riferimento agli altri tre, quanto segue:
3.5.1. Il decreto rit. n. 2872 del 2022 è un ordinario decreto di intercettazioni telefoniche, rispetto al quale il richiamo, contenuto in ricorso, alla disciplina del captatore informatico non è pertinente.
3.5.2. Il decreto rit. n. 3619 del 2024 autorizza l’intercettazione di flussi di comunicazione informatica e telematica inerenti a un determinato dispositivo elettronico in uso a NOME COGNOME
La tipologia di intercettazione è quella prevista dall’art. 266bis cod. proc. pen., non contempla intercettazioni ambientali e, quanto al contenuto del decreto autorizzativo, non implica nessuno degli oneri argomentativi evocati in ricorso.
3.5.3. Il decreto rit. n. 3620 del 2024 riguarda intercettazioni ambientali da effettuarsi mediante captatore informatico.
Il decreto non chiarisce se le intercettazioni afferiscano a un procedimento iscritto prima o dopo il 31 agosto 2020.
Dalla intestazione del decreto si ricava soltanto un numero di notizia di reato con il relativo anno (16683/2023 RGNR) che pare successivo al 31 agosto 2020; il dato, però, non è dirimente alla luce di quanto esposto nell’inquadramento generale degli istituti, ben potendo trattarsi della iscrizione di quel medesimo fatto-reato, originariamente iscritto nel 2017 (n. 7506/2017 RGNR) interessato
anche dai decreti del 2022, che ha assunto un nuovo numero di registro generale per effetto di successiva separazione.
In ogni caso, anche ad ammettere che torni applicabile la disciplina del d. lgs. n. 216 del 2017, a differenza di quanto sostenuto in ricorso, venendo in rilievo un delitto di cui all’art. 51, comma 3bis cod. proc. pen., il decreto autorizzativo non deve indicare le ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi di privata dimora, né deve precisare i luoghi e il tempo in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono.
La censura, mossa sul punto dal ricorrente, è pertanto infondata.
Opera invece l’obbligo di esporre con autonoma valutazione le specifiche ragioni che rendono necessario, in concreto, l’impiego del captatore per lo svolgimento delle indagini
Con il decreto in rassegna, il GIP ha offerto una motivazione congrua, autonoma e in concreto, così da giustificare il ricorso allo strumento del captatore, lì dove scrive: « ritenuto che l’utilizzo del captatore informatico sul dispositivo elettronico portatile indicato si rende necessario per lo svolgimento delle indagini avuto riguardo, nel caso in esame, alle particolari accortezze poste in essere dai soggetti coinvolti nelle indagini medesime al fine di evitare di esporsi agli accertamenti delle Forze dell’Ordine (cosi evitando, innanzitutto, come già emerso, dialoghi telefonici diretti, se non caratterizzati da linguaggio estremamente criptico, che rinvia ad interlocuzioni di presenza tenute in luoghi che, per le loro caratteristiche, assicurano la riservatezza delle stesse o altrimenti rimandando le comunicazioni a sistemi telematici alternativi); ritenuto, conseguentemente, che la richiesta di intercettazione ambientale mediante captatore informatico inserito nel dispositivo indicato può essere accolta, anche sotto il sopra già richiamato profilo della indispensabilità della medesima ai fini dell’approfondimento delle risultanze investigative sopra riferite non altrimenti acquisibile in ordine ai rapporti effettivamente esistenti tra i soggetti prima indicati ed alle attività delittuose tutte ancora in corso di svolgimento ». Si tratta di motivazione esistente e non affetta da vizi di motivazione, rispondente ai criteri di autonomia della valutazione e di concretezza.
Anche sotto tale profilo, pertanto, la doglianza formulata dal ricorrente risulta destituita di fondamento.
3.5.4. Con riguardo, infine, al decreto rit. n. 3123 del 2022 (indicato soltanto nei motivi aggiunti, e del quale é specificamene eccepita la nullità), esso si riferisce espressamente al proc. n. 7506/2017 RGNR, e autorizza l’intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche e/o telematiche nonché l’intercettazione delle conversazioni o comunicazioni tra presenti attraverso l’impiego di un captatore
informatico da introdurre nel telefono cellulare (specificamente individuato) di NOME COGNOME.
Il decreto autorizzativo si rifà ai principi delle Sezioni Unite ‘ COGNOME ‘ ritenendoli, correttamente, applicabili ai procedimenti iscritti entro il 31 agosto 2020, così dando per presupposto che l’intercettazione, seppure autorizzata nel 2022, concerna un fatto-reato, ricondotto all’art. 416bis cod. pen., iscritto nel registro ex art. 335 cod. proc. pen. entro il 31 agosto 2020.
Questa circostanza processuale non risulta contraddetta dal ricorrente, né smentita attraverso l’indicazione e la produzione di specifici atti processuali. L’onere di specificità e di autosufficienza del ricorso non può dirsi assolto dalla difesa ricorrente, la quale, con i motivi aggiunti – oltre ad avere riversato nel procedimento una mole vasta e indistinta di atti di indagine, così da demandare, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di esaminarli tutti e di individuare quelli, in ipotesi, rilevanti per la decisione – ha formulato, solo in udienza, durante la discussione orale, l’ipotesi che vengano in rilievo due diverse associazioni (quella iscritta inizialmente nel proc. 7506/2017 RGNR, e quella qui contestata nel capo 1), della quale, pe rò, non v’è alcun riscontro di effettività.
Nel primo motivo aggiunto, infatti, la difesa si è doluta che, dagli atti delle indagini posti a disposizione delle parti e del Tribunale, non fosse desumibile per quale (o quali) reati fosse stato iscritto ab origine il procedimento rubricato nel RGNR al numero 7506/2017, cosicchè, non se ne poteva desumere, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite ‘Cavallo’, se sussistessero i presupposti per affermare che si sia trattato del medesimo procedimento.
La tesi che quella contestata al ricorrente costituisca una associazione ulteriore, diversa da quella oggetto della iniziale iscrizione del procedimento è stata, dunque, esternata durante la discussione e resta affidata a una mera, indimostrata, asserzione.
In conclusione, con riguardo al decreto r.i.t. n. 3123/2022, poiché la previsione dell’art. 267, comma 1, cod. proc. pen. – come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, che impone di indicare nel decreto di autorizzazione le “ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini” (a norma dell’art. 9, d.lgs. cit., come modificato, da ultimo, dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70) -si applica ai soli procedimenti iscritti dal 1 settembre 2020, nel caso, come quello in esame, di procedimenti in materia di criminalità organizzata iscritti anteriormente a tale data, per il principio ” tempus regit actum “, deve farsi riferimento alla disciplina previgente che, secondo l’interpretazione fornita dalla sentenza delle Sezioni Unite, ‘ COGNOME‘ non prevede uno specifico onere motivazionale ( Sez. 5 n. 31849 del 28/09/2020, Rv. 279769).
3.5.5. Ne consegue la palese infondatezza del motivo anche nella parte in cui sperimenta la prova di resistenza del residuo materiale indiziario – una volta ritenuta la inutilizzabilità dei dialoghi intercettati sull’utenza di NOME COGNOME mediante captatore informatico, come autorizzato con r.i.t. n. 3123/2022 – dal momento che, per quanto detto, le conversazioni che dovrebbero essere estromesse dal compendio probatorio utilizzabile, indicate dal difensore, risultano, invece, legittimamente autorizzate, e pienamente utilizzabili (cfr. in tema di prova di resistenza, per tutte Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416).
4. Tanto detto e osservato con riguardo alla disciplina intertemporale della intercettazione mediante captatore informatico, può essere esaminato il motivo unico del ricorso originario, con il quale la difesa lamenta vizi di motivazione per non essere stata dimostrata la sussistenza di un ulteriore e autonomo consesso criminale rispetto al sodalizio mafioso di cui al capo 1, di cui il traffico di stupefacenti costituirebbe -in ottica difensiva – uno dei core business , cosicchè, si sostiene, il Serio avrebbe posto in essere meri delitti scopo del sodalizio mafioso, senza costituire prima e dirigere poi un consesso dedito al narcotraffico.
4.1. Il motivo non è fondato.
Ribadito come il tratto tipico della fattispecie associativa di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (sussistendo tutti gli elementi costitutivi della associazione per delinquere: un vincolo tendenzialmente permanente o comunque stabile; l’indeterminatezza del programma criminoso; l’esistenza di una struttura organizzativa adeguata allo scopo) risiede nell’elemento organizzativo (Sez. 6, n. 11413 del 14/06/1995, Rv. 203643) e nel profilo teleologico (che, alla luce del particolare allarme sociale derivante dalla struttura e dai suoi fini, giustifica la previsione di un’autonoma figura di reato: Sez. 6, n. 9320 del 12/05/1995, COGNOME, Rv. 202037), va precisato come i rapporti tra l’associazione di stampo mafioso (art. 416bis cod. pen.) e l’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), per come ripetutamente osservato da questa Corte, si strutturano in termini di specialità reciproca (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 270902; Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, COGNOME, Rv. 269668; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, COGNOME, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, COGNOME, Rv. 232302), essendo la prima caratterizzata dal metodo mafioso, assente nella seconda, la quale, invece, contiene in più un elemento specializzante, costituito dalla natura dei reati fine (Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018, dep. 2020, COGNOME,
Rv. 278583; Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278583). E tanto esclude l’applicabilità del principio di specialità, rendendo configurabile il concorso formale tra i due reati ( ex plurimis, Sez. 6, n. 35034 del 18/05/2005, COGNOME, Rv. 232574; Sez. 5, n. 4071 del 19/06/1998, COGNOME, Rv. 211617). In questi termini, le Sezioni Unite ‘Magistris’ hanno affermato che i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi (Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, dep. 2009, Magistris, Rv. 241883; conf. da ultimo, Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018, dep. 2020, Rv. 278583). I due reati tutelano, infatti, beni giuridici in parte diversi: il primo l’ordine pubblico, l’altro, oltre alla tutela dell’ordine pubblico, finalità tipica di tutti i delitti associativi, mira anche alla difesa della salute individuale e collettiva contro l’aggressione della droga e della sua diffusione. E, in effetti, il delitto di cui all’articolo 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 presenta elementi specializzanti rispetto a quello di cui all’articolo 416 cod. pen., perché a tutti gli elementi costitutivi della associazione per delinquere (vincolo tendenzialmente permanente, indeterminatezza del programma criminoso, esistenza di una struttura adeguata allo scopo), aggiunge quello specializzante della natura dei reati fine programmati che devono essere quelli previsti dall’articolo 73 d.P.R. n. 309. Cosicché, se un’associazione viene costituita al solo scopo di operare nel settore del traffico degli stupefacenti, gli agenti non potranno essere puniti a doppio titolo, ovvero per la violazione dell’articolo 416. 1 cod. pen. e dell’articolo 74 del DPR 309/90, mentre se l’associazione ha lo scopo di commettere traffico di stupefacenti ed anche altri reati, è ben possibile che gli agenti vengano puniti per entrambi i reati (Sez. Un. Magistris cit.).
4.2. In linea con tali principi, il Tribunale territoriale ha, in concreto, e logicamente,riconosciuto la configurabilità del concorso tra i reati associativi contestati, in quanto il sodalizio mafioso non si era limitato alla gestione, in forma associativa, del traffico di droga, costituente uno dei comparti illeciti di interesse nevralgico per il sodalizio mafioso, ma, aveva esercitato il proprio predominio anche nei settori delle estorsioni e della gestione abusiva di gioco e scommesse.
E’ stata, inoltre, correttamente, evidenziata la diversità delle strutture organizzative e della componente soggettiva (vedi pagg. 11 e ss. dell’ordinanza impugnata), del resto agevolmente riscontrabile dalla sola lettura dei capi di imputazione nn. 1 e 35. Sul punto, l’ordinanza impugnata ha puntualmente evocato un recente arresto di questa Corte che ha riconosciuto la configurabilità
del concorso tra un’associazione di tipo mafioso e un’associazione per delinquere dotata di un’autonoma struttura organizzativa che, avvalendosi del contributo di sodali anche diversi dai soggetti affiliati al sodalizio mafioso, persegua un proprio programma delittuoso, dalla cui attuazione discende il concomitante conseguimento dell’interesse del clan (Sez. 2, n. 8790 del 06/12/2023 (dep. 2024) Rv. 286005; conf. Sez. 2, n. 41736 del 09/04/2018, M., Rv. 274077 – 02). In sostanza, il Tribunale ha considerato – facendo corretta applicazione del principio di diritto, espressamente richiamato, a tenore del quale i gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare possono dedursi dalla precedente condanna del soggetto per l’adesione al medesimo sodalizio e dal ruolo assunto all’interno dell’organizzazione, valutati congiuntamente agli ulteriori elementi acquisiti a sostegno della perdurante partecipazione relativamente al periodo successivo a quello cui è riferita la condanna (Sez. 6 – n. 3508 del 24/10/2019 (dep. 2020) Rv. 278221) – come NOME COGNOME – già condannato più volte per entrambi i delitti associativi in questione – una volta scarcerato, ha riorganizzato il gruppo dello ZEN di Palermo, e ha svolto un ruolo di vertice sia nel sodalizio mafioso -dedito a estorsioni e alla gestione abusiva di gioco e scommesse (come da reati fine contestati, per i quali pure è stata applicata la misura, ma non oggetto di ricorso) -sia nel gruppo dedito al narcotraffico, traendo l’autonomia delle due associazioni, come si è detto, sia dalla dedizione a diverse tipologie di delitti, sia dalla differente composizione soggettiva delle due strutture.
Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. Att.
Così deciso in Roma, 23 luglio 2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME