Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29642 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29642 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il 15/06/1974
avverso l’ordinanza del 05/03/2025 del TRIBUNALE di PALERMO Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che si è riportato alla memoria in atti e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi l’avvocato NOME COGNOME e l’avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME difensori di fiducia di NOME COGNOME che hanno illustrato i motivi di ricorso ed hanno insistito per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5 marzo 2025 il Tribunale di Palermo – Sezione per il riesame rigettava l’istanza ex art. 309 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME sottoposto a custodia cautelare in carcere a seguito di ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Palermo in data 14 febbraio 2025 in relazione alla partecipazione al delitto associativo mafioso e a quello estorsivo, rispettivamente contestati ai capi 2) e 33) dell’ordinanza genetica.
In particolare, quanto alla prima contestazione provvisoria, all’indagato veniva attribuito l’ avere fatto parte della famiglia mafiosa di NOME COGNOME, ricompresa nel mandamento mafioso di NOME COGNOME, di avere fra l’ altro partecipato a riunioni aventi ad oggetto lo scambio di informazioni e la programmazione delle attività criminali, eseguito le direttive provenienti da Serio
NOME, COGNOME NOME e COGNOME Francesco, contribuendo alla raccolta dei contributi economici finalizzati al mantenimento dei detenuti nei padiglioni del quartiere INDIRIZZO e prendendo parte alle condotte estorsive inerenti il pagamento della cd. ‘ messa a posto ‘ nei confronti di imprenditori operanti nel territorio controllato dalla famiglia mafiosa.
Al capo 33) veniva contestato il delitto estorsivo aggravato – artt. 110, 629, commi primo e secondo, in relazione all ‘ art. 628, comma terzo, n.1 e n. 3, 416 bis 1, cod. pen., in concorso con COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME – per avere costretto con minaccia nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, titolari e gestori di una macelleria sita in INDIRIZZO di Palermo – manifestandosi quali componenti e comunque emissari di Cosa nostra, costringendo con l’ intermediazione di COGNOME NOME – i predetti COGNOME NOME e COGNOME NOME a corrispondere una somma di denaro pari ad almeno cinquemila euro quale corrispettivo per sottrarre la propria attività commerciale ad azioni predatorie e danneggiamenti, procurando a sé e ad altri ingiusti profitti con altrui danno. Il delitto risultava aggravato dalla commissione in più persone riunite, dalla minaccia formulata da persone che fanno parte dell ‘ associazione di cui all ‘ art. 416 bis cod. pen., dall’ avere commesso il delitto avvalendosi delle condizioni previste dall ‘ art. 416 bis cod. pen. ed al fine di agevolare la famiglia mafiosa di NOME COGNOME nel territorio di influenza e di incrementarne i profitti.
Avverso tale ordinanza, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando un unico motivo, nonché cinque motivi aggiunti, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione esclusivamente in relazione al delitto associativo costituente titolo cautelare.
Rappresenta il ricorrente che la gravità indiziaria è stata tratta da cinque emergenze tratte dalle conversazioni intercettate: 1. la partecipazione alla riunione dell’11 ottobre 2022 con i capi mafiosi COGNOME NOME e COGNOME NOME; 2. l’accompagnamento di COGNOME all’incontro con COGNOME e la conversazione confidenziale nel corso del tragitto nel dicembre 2022; 3. il dialogo fra COGNOME e COGNOME NOME del 1 dicembre 2023 nel quale COGNOME veniva indicato come possibile sostituto di COGNOME o COGNOME per l’incasso delle somme per conto della famiglia mafiosa fra gli abitanti del ‘ padiglione ‘ ; 4. l ‘aver comunicato un appuntamento con NOME COGNOME a Stagno in data 31 marzo 2024; 5. la partecipazione alla riunione del 3 aprile 2024 con Stagno, COGNOME e COGNOME nel corso della quale si avanzava la richiesta estorsiva a COGNOME, si affrontava il tema
delle piazze di spaccio e COGNOME dichiarava di avere la disponibilità di un’arma da sparo.
La difesa rappresentava la neutralità dei punti relativi agli incontri con COGNOME in quanto non se ne conosce il contenuto, l’inadeguatezza indiziaria delle confidenze ricevute da COGNOME rispetto alla condotta di partecipazione al sodalizio, la natura ipotetica della sostituzione di COGNOME con COGNOME, come anche la neutralità della riunione nel corso della quale fu avanzata la richiesta estorsiva che rileva solo per tale ultimo reato e non per quello associativo. Inoltre, deduce il ricor rente la natura saltuaria degli incontri, l’inadeguatezza in sé della condotta estorsiva a comprovare quella di partecipazione al sodalizio mafioso, che per altro, data la natura rarefatta degli episodi, difetterebbe del necessario requisito della permanenza.
Il primo motivo aggiunto denuncia violazione di legge sostanziale, con riferimento alle norme incriminatrici integranti i titoli cautelari, nonché violazione di legge processuale con riferimento agli artt. 266, 267, 268 e 271, comma 1, 125, comma 1, 192, 273, 291, 292 e 309 cod. proc. pen., oltre che vizio di motivazione quanto alla ritenuta utilizzabilità degli elementi tratti dalle intercettazioni telematiche e di localizzazione relativamente ai decreti nn. 3619 e 3620 del 2024, nonchè decreti 2872 e 3123 del 2022.
In primo luogo, l’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che solo i decreti 3620/24 e 3619/24 siano relativi all’inserimento del captatore informatico, mentre ciò accadeva anche per i decreti 2872/2022 e 3123/2022 per i quali difetta la motivazione.
In secondo luogo, i decreti autorizzativi nn. 3619/2024 e 3620/2024 difetterebbero della necessaria indicazione delle ragioni che giustificano l’utilizzo di tale modalità di intercettazione con l’aggiunta delle indicazioni delle ragioni che autorizzano il menzionato utilizzo nei luoghi indicati nell’art. 614 cod. pen. , come prescritto dall’art. 266 comma 2 -bis cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame non avrebbe dato una puntuale risposta all’eccezione, e per altro sarebbe errata nella parte in cui esclude l’inutilizzabilità per l’assenza di motivazione in ordine ai luoghi in cui la captazione sarebbe consentita, come anche non si sarebbe confrontata con l’omessa motivazione da parte del G.i.p. in ordine ai luoghi di cui all’art. 614 cod. pen.
Inoltre, l’ordinanza impugnata risulterebbe in violazione di legge allorquando non ritiene necessaria l’autorizzazione all’uso di personale esterno a quello della polizia giudiziaria, analogamente a quanto prescritto dall’art. 267, comma 3, cod. proc. pen. in ordine alla esecuzione delle intercettazioni medianti impianti diversi
da quelli in dotazione alla procura della Repubblica, che implica un onere motivazionale specifico come prescritto dalle Sezioni Unite Aguneche.
Nel caso in esame i decreti esecutivi disposti dal Pubblico ministero risulterebbero carenti di motivazione in quanto non rendono conto della specifica maggiore idoneità delle apparecchiature e dei software forniti dalla società privata rispetto a quelli offerti da altra società specializzata che offrisse un servizio compatibile con i server della procura della Repubblica.
Inoltre, il Pubblico ministero non avrebbe richiesto al G.i.p. l’autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni a mezzo captatore utilizzando una società privata, non risultando neanche motivata l’inidoneità degli impianti della procura della Repubblic a di Palermo. Ne consegue l’inutilizzabilità del materiale di indagine acquisito a mezzo dei predetti decreti per violazione dell’art. 271, 267 e 268 cod. proc. pen. e per carenza di motivazione.
Il ricorrente prospetta la rilevanza della inutilizzabilità dedotta che inficerebbe la sussistenza della gravità indiziaria per i reati costituenti titolo cautelare, richiamando e allegando le trascrizioni delle conversazioni intercettate.
4. Il secondo motivo aggiunto deduce v iolazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) c.p.p. in relazione agli artt. 416-bis, commi 1, 3, 4, 5 e 6 c.p. e 125, 192, 273, 291, 292 e 309, cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione quanto all’imputazione provvisoria sub capo 2).
Il ricorrente, dopo aver richiamato i principi in tema di partecipazione al sodalizio mafioso, come declinati dalle pronunce delle sezioni Unite di questa Corte, rappresenta come occorra la prova della ‘messa a disposizione’ e della «verifica di un contributo…effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell’organizzazione criminosa» .
In tal senso il ricorrente esplicita ulteriormente le ragioni di insignificanza indiziaria degli incontri, già ricapitolati nel motivo principale, del quale non è dato conoscere il contenuto, come anche per la natura ipotetica della descritta sostituzione quale esattore per conto del sodalizio.
Inoltre, il Tribunale del riesame sarebbe incorso in travisamento quanto alla conversazione relativa a ll’arma , in quanto non emergeva che l’indagato ne avesse la disponibilità.
Anche contesta, il ricorrente, che dal materiale indiziario relativo all’ estorsione sub capo 33) emerga che la dazione di denaro, qualora sia avvenuta, abbia avuto come destinazione la consorteria criminosa, cosicché la condotta non può integrare la partecipazione dinamica richiesta ai sensi dell’art. 416 bis cod. pen.
Il terzo motivo aggiunto lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al concorso nel delitto estorsivo sub capo 33), da riqualificarsi in tentativo di estorsione.
Il compendio indiziario risulterebbe, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale del riesame, non caratterizzato dalla gravità richiesta, in quanto non vi è prova del contenuto del colloquio intervenuto con COGNOME, se è stata o meno veicolata la richiesta estorsiva, come anche se la stessa abbia avuto il seguito del pagamento e lo stesso sia intervenuto nell’interesse del sodalizio mafioso.
Il quarto motivo aggiunto lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla violazione dell’art. 292, comma 2, cod. proc. pen. quanto al pericolo di recidiva per COGNOME, oggetto di un motivo aggiunto specifico in sede di riesame. L’ordinanza genetica motivava cumulativamente per tutti gli indagati quanto alla pericolosità sociale e alla necessità della misura cautelare estrema e il Tribunale del riesame non ha il potere di integrare tale valutazione con la personalizzazione in ordine alle esigenze di cautela e alla misura adeguata da applicarsi.
Il quinto motivo aggiunto lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari. La difesa aveva sollevato con la memoria depositata all’udienza di riesame la questione di legittimità costituzionale in ordine alla presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per il delitto ex art. 416 bis cod. pen. come già dichiarato dalla Corte costituzione per il caso di concorso esterno in associazione mafiosa e per i delitti aggravati dall’art. 416 bis 1 cod. pen.
Per il ricorrente l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui prevede la presunzione assoluta di adeguatezza della misura cautelare in carcere è illegittimo per contrasto con l’art. 3 Cost., per disparità di trattamento, con l’art. 13, comma 1, con l’art. 27, comma 2, cod. pen., risultando la menzionata presunzione in contrasto sia con il criterio di proporzionalità (art. 275, comma 2, cod. proc. pen.) sia anche con la necessità del pericolo concreto e attuale. D’altro canto, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime le norme che prevedevano automatismi -art. 4-bis comma 1 ord. Pen – prevedendo la natura relativa della presunzione che osta ai permessi premio, e la stessa Cedu ha ritenuto non equiparabile la scelta di chi non collabora con la sussistenza di pericolosità sociale.
Il che conduce a dover sollevare la questione di legittimità costituzionale in ordine alla norma citata.
Le parti hanno concluso in udienza, il Pubblico ministero riportandosi alla memoria depositata, con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, la difesa illustrando le ragioni del ricorso chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
Va premesso come pacifico sia l’orientamento che, a partire da Sezioni Unite n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828, in tema di misure cautelari personali, a fronte di un ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame, in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ne definisce così l’ambito di delibazione. La Corte ha il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (nello stesso senso, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012; Sez. F., n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Va anche evidenziato come questo Collegio aderisca all’orientamento autorevole di Sez. U, Spennato: «Il quadro di gravità indiziaria ai fini cautelari, concetto differente da quello enunciato nell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., che allude alla c.d. prova logica o critica, ha, sotto il profilo gnoseologico, una propria autonomia, non rappresenta altro che l’insieme degli elementi conoscitivi, sia di natura rappresentativa che logica, la cui valenza è strumentale alla decisione de libertate , rimane delimitato dai confini di questa e non si proietta necessariamente nel diverso e futuro contesto dibattimentale relativo al definitivo giudizio di merito» (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, Spennato, Rv. 234598).
Pertanto, la delibazione attuale è funzionale alla verifica della tenuta logica del provvedimento cautelare di secondo grado, in relazione alla gravità indiziaria nei termini di qualificata probabilità di colpevolezza, nella prospettiva da ultimo evidenziata, ovviamente suscettibile di evoluzioni ricostruttive in sede dibattimentale.
Quanto al motivo principale e al secondo motivo aggiunto, deve osservarsi come le doglianze non si confrontino in modo puntuale con la circostanza che
COGNOME era già stato condannato con sentenza passata in giudicato per la partecipazione alla famiglia mafiosa dalla Corte di appello di Palermo e che durante la detenzione era stato sostenuto economicamente dal sodalizio criminoso, a riprova di una militanza mai interrotta (fol. 11 e 12 della ordinanza impugnata).
Da ciò trae il Tribunale del riesame, in maniera non manifestamente illogica, la continuità nella partecipazione dell’indagato al sodali zio, confermata da ulteriori recenti condotte, relative alle citate riunioni, nelle quali ora si discute della istituzione di un cassiere comune, ora la riunione si svolge alla presenza dei soggetti apicali del mandamento, che dimostrano di avere fiducia nell’indagato (tanto che NOME COGNOME utilizzava l’indagato per recapitare messaggi riservati e per convocare il proprio luogotenente COGNOME. D’altro canto, p er il Tribunale del riesame, a sua volta COGNOME indica COGNOME come potenziale sostituto di COGNOME per la riscossione dei contributi estorsivi per il sostegno del detenuto NOME COGNOME e mette al corrente lo stesso COGNOME di questioni riservate inerenti i rapporti con la mafia di Porta Nuova e i debiti da onorare. Infine, il Tribunale dava atto di come COGNOME custodisse una o più armi.
Inoltre, altro tema con il quale non si confronta in modo specifico il ricorso, COGNOME dopo l’estorsione, a lui attribuita, in danno dei titolari di una macelleria, propone di estendere le attività estorsive anche ai panifici, anche con l’uso della violenza per cons entire una ampia contribuzione alle casse del sodalizio, progetto che trovava il favore di Stagno.
Il profilo delineato dal Tribunale del riesame risulta, quindi, solo parzialmente aggredito dalle censure difensive, che trascurano elementi qualificanti del prendere parte ‘ dinamico ‘ dell’indagato alla vita della consorteria e alla cura dei relativi interessi illeciti, come anche della fedeltà pregressa assicurata anche dal versamento del sussidio nel periodo di detenzione.
Né, per altro, può imputarsi al Tribunale del riesame di non avere offerto una motivazione più puntuale in diritto in tema di partecipazione all’associazione mafiosa, allorché tale doglianza non è stata formulata in sede di riesame – come risulta dalla stessa ricapitolazione contenuta ai foll. 2 e 3 del ricorso.
In sostanza, per un verso le doglianze sono parziali e in parte inedite nella presente Sede, per altro verso propongono, anche con il secondo motivo aggiunto, censure in fatto, ricostruzioni tese a depotenziare incontri e discussioni, che nella valutazione del Tribunale acquisiscono valore indiziario, rispetto alle quali non ci si può limitare a offrire una mera rilettura, senza una denuncia specifica di travisamento, che quando interviene, come per il caso della conversazione in tema di armi, vede l’interpretazione del la conversazione operata in termini non manifestamenti illogici, dunque non sindacabile in questa sede.
Infatti, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, Sentenza n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389). In sede di legittimità è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558 -01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516 -01; Sez. 2, 17 ottobre 2007, n. 38915, COGNOME, rv 237994).
Ne consegue l’infondatezza complessiva del motivo di ricorso e del secondo motivo aggiunto.
Quanto agli ulteriori motivi aggiunti – terzo, quarto e quinto -non sono motivi consentiti in quanto non proposti con il ricorso principale.
Va infatti evidenziato come il principio generale concernente la necessaria connessione tra i motivi originariamente proposti e i motivi nuovi, non è derogato nell’ambito del ricorso per cassazione contro provvedimenti “de libertate”, e l’unica diversità rispetto alla ordinaria disciplina attiene al termine per la proposizione dei motivi nuovi, che non è quello di quindici giorni prima dell’udienza ma è spostato all’inizio della discussione; ne consegue che al ricorrente è inibito dedurre con i motivi nuovi una violazione di legge non dedotta nel ricorso originario (Sez. 2, n. 15693 del 08/01/2016 – dep. 14/04/2016, COGNOME, Rv. 266441; N. 45725 del 2005 Rv. 233210 – 01, N. 2023 del 2007 Rv. 238527 – 01, N. 46711 del 2011 Rv. 251412 – 01).
Nel caso in esame nessuna doglianza specifica veniva mossa con il motivo principale in ordine al delitto estorsivo né in tema di sussistenza e adeguata motivazione in tema di esigenze cautelari.
D’altro canto, in ordine alla asserita violazione dell’art. 292 cod. proc. pen. l’esame della ordinanza genetica consente di rilevare, come ritenuto dal Tribunale del riesame al fol. 15, che il G.i.p. abbia offerto una motivazione collettiva,
leggendo la quale dal fol. 433 a fol. 438 abbia reso una propria motivazione, contrassegnata anche dai diversi caratteri grafici rispetto a quelli utilizzati dal Pubblico ministero nella richiesta; né d’altro canto il ricorrente censura il ‘copia incolla’ in modo specifico. Per altro , deve anche osservarsi come il G.i.p. richiami la trattazione delle singole posizioni personali (fol. 434), cosicché corretta è la valutazione del Tribunale del riesame quanto alla sussistenza di una valutazione autonoma e non apparente.
Ancora in tema di sussistenza delle esigenze cautelari, la motivazione del Tribunale del riesame è ‘in positivo’ così si esprime l’ordinanza impugnata nel senso che, oltre al richiamo della presunzione ex lege , il Tribunale palermitano ha fornito una motivazione ulteriore, non manifestamente illogica. Ne consegue che anche la eccezione di illegittimità costituzionale proposta dal ricorrente con i motivi aggiunti risulta priva di rilevanza nel caso di specie -in disparte la manifesta infondatezza, per quanto già osservato dalla Corte cost. con le pronunzie n. 136 del 2017, n. 48 del 2015, fra le altre -in quanto tesa ad ottenere una declaratoria demolitiva della presunzione ex lege , nel caso di specie non decisiva a fronte della motivazione ‘in positivo’ offerta dal Tribunale distrettuale.
In ordine al primo motivo aggiunto, osserva questa Corte quanto segue.
5.1 Il motivo deduce l’ inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni, ma non lamenta in modo puntuale la decisività di tale inutilizzabilità, non adempiendo all’ onere della parte che la eccepisce, a pena di inammissibilità del ricorso per genericità del motivo.
O ccorre, infatti, che il ricorrente chiarisca l’ incidenza del vizio probatorio sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 23868 del 23/04/2009 dep. 10/06/2009, COGNOME, Rv. 243416). Nel caso in esame il motivo aggiunto si limita a enunciare e allegare le trascrizioni delle conversazioni affette dal vizio, ma non a verificarne la ricaduta sul provvedimento impugnato e su quello genetico, cosicché la doglianza sotto tale profilo è del tutto non consentita per genericità.
Il che vale anche in relazione agli altri due decreti, emessi nel 2022, che non sarebbero stati oggetto di valutazione da parte del Tribunale del riesame.
Ad ogni buon conto, in disparte le ragioni di inammissibilità del motivo aggiunto, va osservato anche quanto segue.
5.2 La censura inerente i decreti del 2022 è in parte manifestamente infondata in quanto il Tribunale distrettuale correttamente non ha valutato le doglianze proposte in relazione al decreto n. 2872 del 2022, che era stato indicato nella memoria depositata al Tribunale del riesame, ma non riguardava intercettazioni a mezzo captatore bensì di tipo telefonico tradizionale.
Quanto al decreto n. 3132 del 2022 -effettivamente relativo all’autorizzazione all’uso del captatore per captazioni in ambientale, oltre che telematiche – lo stesso non era stato indicato nella memoria depositata al Tribunale del riesame, cosicchè l’ordinanza impugnata non si confronta con la legittimità dello stesso per l’assenza di una specifica censura.
Per altro, le doglianze mosse con il motivo aggiunto in esame, anche in ordine a tale ultimo decreto, oltre che ai decreti emessi nel 2024, risultano comunque infondate.
In particolare, in ordine al decreto emesso nel 2022 (RGNR 7506/2017), per il quale il G.i.p. richiama i principi e si attiene alla motivazione richiesta da Sez. U COGNOME, vertendosi in tema di procedimento iscritto prima del 1 settembre 2022, va richiamato il principio da ultimo espresso da Sez. 5, n. 29382 del 2025, ric. COGNOME, allo stato non massimata, che ha affermato che in tema di ricorso per cassazione, le differenti discipline che governano le intercettazioni mediante utilizzo di “captatore informatico” impongono alla parte che ne eccepisce l’inutilizzabilità l’onere di rappresentare, attraverso la lora precisa indicazione e specifica allegazione, pena la genericità del ricorso, i dati processuali necessari per individuare la categoria dei reati oggetto di intercettazione, la data di iscrizione del relativo procedimento e la natura delle intercettazioni di cui si tratta.
In sostanza per contestare la legittimità del decreto il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare l’inapplicabilità della disciplina delle Sez. U Scurato, il che non è avvenuto, in quanto il decreto è correttamente fornito di motivazione adeguata, per quanto richiesto dall’autorevole pronuncia.
5.3 Quanto ai decreti nn. 3619 e 3620 del 2024 si osserva quanto segue.
È infondata la doglianza relativa all’omessa motivazione richiesta per l’uso del captatore nei luoghi di cui all’art. 614 cod. pen. in relazione al delitto art. 416bis cod. pen. per il quale è stata autorizzata l’intercettazione, ai sensi dell’art. 266, comma 2-bis, prima parte, cod. proc. pen. trattandosi di delitto inserito nell’elenco dell’art. 51, comma 3 – bis, cod. proc. pen.
Va premesso che l’inserimento del captatore in dispositivo elettronico «lungi dal costituire un autonomo mezzo di ricerca della prova, è solo una particolare modalità tecnica per effettuare l’intercettazione delle conversazioni tra presenti» (così Sez. 5, n. 31606 del 2020, ric. Pici, n.m.). Ciò nel senso che, come si leggerà a seguire, il captatore consente una pluralità di forme di intercettazione: quella di conversazioni fra presenti, come anche quelle attive/passive in relazione a comunicazioni fra soggetti distanti. Le varie tipologie di intercettazioni hanno, pertanto, una diversa regolamentazione.
La doglianza richiama la disciplina inerente alle conversazioni fra presenti intercettate con il captatore informatico su dispositivo elettronico portatile,
declinata al comma 2bis dell’art. 266 cod. proc. pen.: «2 -bis. L’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, e, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4».
Il riferimento all’art. 614 cod. pen. e alla necessità di una motivazione specifica sulle ragioni che ne giustificano l’utilizzo in tali luoghi risulta introdotto in sede di conversione del d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, ad opera della l. 28 febbraio 2020, n. 7. Ma tale innovazione, a differenza di quanto ritiene il ricorrente, va riferita esclusivamente ai reati contro la pubblica amministrazione, non anche a quelli citati nella prima parte del comma 2-bis: in tal senso va certamente la lettera della legge , che dapprima afferma che ‘è sempre consentita’ l’intercettazione tra presenti a mezzo captatore per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen. e solo successivamente, quando regola l’utilizzo dello strumento investigativo per i delitti contro la pubblica amministrazione, richiede la «previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale».
In sostanza, la disposizione normativa, anche nella sua stratificazione temporale, si articola in due segmenti: il primo riferito ai reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, e il secondo -separato dal primo, anche a livello semantico, dall’uso di una “prima” virgola seguita dalla congiunzione “e” -concernente i delitti contro la pubblica amministrazione. L’interpretazione del testo è agevolata dall’uso della virgola parentetica, che, collocata dopo la congiunzione ‘e’ nonché prima e dopo l’inciso ‘previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale’, delimita chiaramente ai soli reati della seconda parte l’ambito applicativo dell’onere motivazionale aggiuntivo. Anche la punt eggiatura, pertanto, concorre a svolgere una funzione esplicativa e restrittiva, escludendo i reati di criminalità organizzata dalla necessità di una motivazione più pregnante per l’uso del captatore in luoghi di privata dimora.
Per altro, l’espressione ‘è sempre consentita’, prevista per i reati di criminalità organizzata specificamente indicati, costituisce una deroga, quale lex specialis , rispetto alla previsione del precedente comma 2, che stabilisce che l’intercettazione fra presenti, ‘anche’ a mezzo dell’inserimento del captatore informatico in un dispositivo elettronico portatile, quando avvenga nei luoghi
indicati dall’articolo 614 del codice penale «è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa».
Nello stesso senso anche la dottrina, in modo condivisibile, pacificamente distingue il regime previsto per le intercettazioni relative ai reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., quale categoria a sé, rispetto a quella dei reati contro la pubblica amministrazione e ai reati cd. comuni.
Infatti, quanto al presupposto motivazionale in ordine ai luoghi ex art. 614 cod. pen.: a) per i reati comuni, l’intercettazione ambientale a mezzo captatore non potrà avvenire in luogo di privata dimora ex art. 614, se non in quanto «vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa», come prescritto dall’art. 266, comma 2, cod. proc. pen.; b) per i reati contro la pubblica amministrazione, l’utilizzo del captatore informatico è consentito nei luoghi di privata dimora, pur se non si sta svolgendo una attività criminosa, purché il decreto autorizzativo indichi previamente le «ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale», ai sensi dell’art. 266, comma 2-bis, seconda parte cod. proc. pen.; c) infine, per i reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., non si prevede alcun ulteriore onere motivazionale, in quanto la natura del captatore, non di mezzo di prova innovativo ma di strumento tecnologico, colloc a l’attività investigativa svolta a mezzo captatore nella categoria delle intercettazioni ambientali, cosicché l’intercettazione ‘è sempre consentita’ nei luoghi di privata dimora (art. 266, comma 2 -bis, prima parte, cod. proc. pen.).
D’altro canto, tale conclusione è coerente con la previsione dell’art. 13 d.l. n. 152 del 1991, convertito con modificazioni dalla l. 12 luglio 1991, n. 203, che oltre a derogare all’art. 267 comma 1 – quanto ai presupposti per le intercettazioni ex art. 266 cod. proc. pen. richiedendo la necessità (e non la assoluta indispensabilità) per lo svolgimento delle indagini e la sufficienza degli indizi di reato (in luogo della gravità) – prevede che «quando si tratt di intercettazione di comunicazioni tra presenti disposta in un procedimento relativo a un delitto di criminalità organizzata e che avvenga nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, l’intercettazione è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l’attività criminosa», senza richiesta di alcun ulteriore onere motivazionale correlato ai luoghi medesimi.
In sostanza, la circostanza che l’inserimento del captatore costituisca solo una innovazione tecnologica per procedere alle intercettazioni delle conversazioni in ambientale, rende applicabili per i reati dell’art. 51, commi 3 -bis e 3 -quater l’art. 13 d.l. cit. e il coerente comma 2 -bis, prima parte, dell’art. 266 cod. proc. pen.
Tutto ciò esclude -a differenza di quanto lamenta il ricorrente – la necessità di una motivazione ad hoc per i reati di criminalità organizzata sopra indicati, quali sono quelli per cui si procede, quanto alle ragioni che giustifichino le intercettazioni ambientali nei luoghi di privata dimora a mezzo captatore.
A tale conclusione deve giungersi sia in relazione ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, sia per quelli iscritti successivamente a partire dal 1 settembre 2020, secondo il criterio temporale dettato dal d.l. n.161 del 2019 convertito con modifiche dalla legge n. 7 del 2020 e successive integrazioni: in relazione a queste ultime captazioni vigono, infatti, le norme introdotte dal d.lgs. n. 216 del 2017 che ha disciplinato, in via generale, l’impiego del captatore informatico.
Infatti, per i procedimenti più risalenti trova applicazione il principio per cui l’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l’installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico è consentita nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata per i quali trova applicazione la disciplina di cui all’art. 13 del D.L. n. 151 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto (Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266905 -01).
Quanto ai procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3quater cod. proc. pen. iscritti dopo il 31 agosto 2020, per l’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile non occorre indicare le ragioni che ne giustifichino l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 cod. pen., in quanto tale indicazione è richiesta soltanto per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4.
Pertanto, la doglianza difensiva, che lamenta l’omessa motivazione richiesta dall’art. 266, comma 2 -bis, seconda parte, cod. proc. pen. è infondata.
5.4 Non di meno occorre, in caso di intercettazione di conversazioni tra presenti a mezzo captatore, un più generale supplemento di motivazione che non riguarda l’utilizzo nei luoghi di cui all’art. 614 cod. pen. bensì la necessità del ricorso allo strumento invasivo del captatore per lo svolgimento delle indagini.
Infatti, ai sensi dell’art. 267, comma 1, terzo periodo, cod. proc. pen. occorre che il decreto che autorizzi l’intercettazione tra presenti, mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, esponga «con autonoma valutazione le specifiche ragioni che rendono necessaria, in concreto, tale modalità per lo svolgimento delle indagini; nonché, se si procede per delitti diversi da quelli
di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4, i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono».
Si tratta di quella che viene definita efficacemente in dottrina – proprio per distinguerla dalla disciplina per le intercettazioni effettuate con mezzo tecnico tradizionale, data la ben più significativa invasività del captatore informatico nel bene della riservatezza una ‘motivazione rafforzata’ in ordine alle ragioni che giustificano il ricorso a tale ultima tecnologia.
L’attuale formulazione della norma prevede, quindi, un doppio regime richiedendo sempre -quale che sia il reato per il quale si procede a intercettazioni di comunicazioni fra presenti con captatore che l’autorizzazione dia conto della necessità dello stesso, con autonoma valutazione e in concreto, per lo svolgimento delle indagini.
Diversamente, la necessità della determinazione dei luoghi e del tempo in cui è autorizzata l’attivazione del microfono, come si è anticipato, è prevista esclusivamente per i reati comuni, diversi da quelli ex art. 51 commi 3-bis e 3quater e dai delitti contro la pubblica amministrazione (art. 267, comma 1, seconda parte cod. proc. pen.), cosicché tale secondo onere motivazionale non trova applicazione nel caso del presente procedimento.
Le doglianze difensive mosse con il ricorso si concentrano sul tema della inadeguatezza della motivazione del decreto di autorizzazione in relazione alla necessità dell’utilizzo del captatore.
A tal proposito va evidenziato come l’art. 1, comma 2 -bis, del d.l. 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla l. 9 ottobre 2023, n. 137, ha introdotto nel terzo periodo dell’art. 267, comma 1, le espressioni, riferite dalla delibazione ric hiesta al giudice, che rafforzano l’onere di motivazione richiedendo che sia esposta «con autonoma valutazione» e «in concreto» la ragione dell’inserimento del captatore per lo svolgimento delle indagini.
A riguardo, deve evidenziarsi come tali innovazioni, non previste nel decretolegge e introdotte, a seguito di dibattito parlamentare, nella legge n. 137 del 2023 – che ha convertito il d.l. 105 del 2023 -siano in vigore dal 10 ottobre 2023 e quindi, in ossequio al principio tempus regit actum, risultino vigenti in relazione ai decreti di autorizzazione emessi da tale data, quindi anche per quelli oggetto della attuale censura, emessi nell’anno 2024.
Difatti la legge n. 137 del 2023 non ha previsto un regime transitorio specifico, a differenza di quanto sancito per la modifica apportata all’art. 270, comma 1, che ha visto la soppressione delle parole «e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1»
fissandone la vigenza esplicitamente per i soli «procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
5.5 Tanto premesso, va chiarito come l’espressione «autonoma valutazione» replichi quanto richiesto dall’art. 292, comma 2, lett. c) e c -bis) cod. proc. pen. in ordine alla motivazione richiesta per i gravi indizi di colpevolezza, le esigenze cautelari e la delibazione degli elementi apportati dalla difesa, in tema di ordinanza cautelare restrittiva della libertà personale.
Come noto, la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 47 del 16 aprile 2015, è osservata anche quando l’ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto (Sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 273658 -01; conf.: N. 28979 del 2016 Rv. 267350 -01). In sostanza si impone al giudice di esplicitare le ragioni per cui egli ritiene di poter attribuire, al compendio indiziario, un significato coerente all’integrazione dei presupposti normativi per l’adozione della misura e non implica, invece, la necessità di una riscrittura “originale” degli elementi indizianti o di quelli riferiti alle esigenze cautelari (Sez. 5, n. 11922 del 02/12/2015, dep. 21/03/2016, COGNOME, Rv. 266428 -01; la S.C. ha precisato che è legittima la motivazione “per relationem” che risponda ai predetti parametri decisionali di ordine normativo, mentre devono ritenersi non corrispondenti all’obbligo di “autonoma valutazione”, oltre alle motivazioni “graficamente assenti”, quelle caratterizzate da un percorso motivazionale sostanzialmente mancante o meramente apparente; conf.: N. 40978 del 2015 Rv. 264657 – 01, N. 45934 del 2015 Rv. 265068 – 01, N. 47233 del 2015 Rv. 265337 – 01, N. 48962 del 2015 Rv. 265611 – 01, N. 5787 del 2016 Rv. 265983 – 01, N. 8323 del 2016 Rv. 265951 -01).
La richiesta di una motivazione ‘autonoma’ e ‘in concreto’ – in attuazione dell’obbligo costituzionale previsto per tutti i provvedimenti giurisdizionali (art. 111, comma 6, Cost.) tende quindi, anche per l’autorizzazione per le intercettazioni ambientali a mezzo captatore, a sollecitare il giudice a confrontarsi con la fattispecie concreta, dovendo dare conto delle ragioni di necessità dell’utilizzo del captatore, senza il ricorso a formule stereotipate.
L’onere motivazionale rafforzato è giustificato dai beni di rilievo costituzionale in gioco e dalla necessità di una adeguata ponderazione: serve a bilanciare in
modo equilibrato valori di rilievo costituzionale, quali il principio del perseguimento dei reati che trova la sua ragione nell’obbligatorietà della azione penale ex art. 112 Cost. -e ora, ai sensi dell’art. 292 cod. proc. pen., il bene della libertà p ersonale (art. 13 Cost.), ora, ai sensi dell’art. 267 cod. proc. pen., il diritto alla libertà e segretezza delle comunicazioni (art. 15 Cost.).
Pertanto, il difetto di una autonoma e concreta motivazione richiesta dall’art. 267 cod. proc. pen. rifluisce, come già affermato in relazione all’art. 292 cod. proc. pen., nell’ambito del vizio di motivazione assente o apparente, vizi sanzionati dalla inutilizzabilità sancita dall’art. 271, comma 1, che esplicitamente richiama il rispetto delle modalità previste dall’art. 267 cod. proc. pen. Pertanto, ciò che va verificata è l’assenza di motivazione o l’apparenza della stessa in relazione alla necessit à dell’uso del captatore.
In conclusione, la motivazione può essere autonoma e concreta senza la necessità che il giudice riproduca il contenuto di altri atti (informativa della polizia giudiziaria, richiesta del pubblico ministero), essendo sufficiente che si riporti agli stessi, purché non ricorra a formule astratte e stereotipate ma si confronti con le risultanze delle indagini, dando conto delle ragioni «specifiche» che giustificano il ricorso al captatore per le intercettazioni ambientali.
5.6 Delineato l’onere motivazionale al quale è chiamato il giudice, nel caso in esame deve osservarsi come il G.i.p. del decreto n. 3620 del 26 agosto 2024 abbia offerto una motivazione congrua, autonoma e ‘in concreto’, giustificando il ricorso allo strumento del captatore, dopo avere delineato con assoluta concretezza la sussistenza dei gravi indizi di reato, con specifico riferimento anche al ruolo di COGNOME il cui dispositivo era il ‘bersaglio’ per l’inserimento del captatore – nelle attività illecite della famiglia mafiosa di NOME COGNOME. Si legge nel decreto: «ritenuto che l’utilizzo del captatore informatico sul dispositivo elettronico portatile indicato si rende necessario per lo svolgimento delle indagini avuto riguardo, nel caso in esame, alle particolari accortezze poste in essere dai soggetti coinvolti nelle indagini medesime al fine di evitare di esporsi agli accertamenti delle Forze dell’Ordine (cosi evitando, innanzitutto, come già emerso, dialoghi telefonici diretti, se non caratterizzati da linguaggio estremamente criptico, che rinvia ad interlocuzioni di presenza tenute in luoghi che, per le loro caratteristiche, assicurano la riservatezza delle stesse o altrimenti rimandando le comunicazioni a sistemi telematici alternativi); ritenuto, conseguentemente, che la richiesta di intercettazione ambientale mediante captatore informatico inserito nel dispositivo indicato può essere accolta, anche sotto il sopra già richiamato profilo della indispensabilità della medesima ai fini dell’approfondimento delle risultanze investigative sopra riferite non altrimenti acquisibile in ordine ai rapporti effettivamente esistenti tra i soggetti prima indicati ed alle attività delittuose tutte
ancora in corso di svolgimento». Si tratta di motivazione esistente e non affetta da vizio di apparenza, rispondente ai criteri di autonomia della valutazione in concreto, riferendosi alle emergenze tratte dalle indagini (informativa della polizia giudiziaria), dalle quali risultava la strategia degli indagati, posta in essere per la commissione dei reati attraverso cautele comunicative che ne evitavano l’intercettazione con i mezzi tradizionali.
5.7 Vanno esaminate, poi, le doglianze relative alle modalità esecutive dell’intercettazione a mezzo captatore, sia relativamente al coinvolgimento di privati nelle attività di captazione sia in ordine all’utilizzo di impianti esterni alla procura della Repubblica.
Quanto al coinvolgimento dei privati, già è stato osservato da questa Corte, in modo condivisibile, come le operazioni di collocazione e disinstallazione del materiale tecnico, correlate all’attività di intercettazione a mezzo captatore, possono legittimamente essere svolte da personale civile (Sez. 5, n. 32426 del 24/09/2020, COGNOME, Rv. 279779 -02, in motivazione).
D’altro canto, la previsione esplicita dell’art. 268, comma 3 -bis, cod. proc. pen. – per la quale «per le operazioni di avvio e di cessazione delle registrazioni con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, riguardanti comunicazioni e conversazioni tra presenti, l’ufficiale di polizia giudiziaria può avvalersi di persone idonee di cui all’articolo 348, comma 4» – consentono alla polizia giudiziaria il ricorso a personale privato per compiere operazioni che implichino competenze tecniche specialistiche.
Nel caso in esame per un verso va ribadito che l’autorizzazione emessa dal giudice all’intercettazione include anche ogni attività esecutiva necessaria e non deve, quindi, spingersi a indicare o autorizzare in dettaglio le singole attività esecutive, da svolgersi sotto la direzione del pubblico ministero.
Inoltre, come Sez. 5 COGNOME evidenzia in motivazione, le operazioni di collocazione e disinstallazione del materiale tecnico necessario per eseguire le captazioni costituiscono atti materiali rimessi alla contingente valutazione della polizia giudiziaria, non essendo compito del pubblico ministero indicare le modalità dell’intrusione negli ambiti e luoghi privati ove verrà svolta l’intercettazione, poiché la finalità di intercettare conversazioni telefoniche e/o ambientali consente all’operatore di polizia la materiale intrusione, per la collocazione dei necessari strumenti di rilevazione nei luoghi oggetto di tali mezzi di ricerca della prova.
In sostanza, come si è sostenuto anche in dottrina, alle intercettazioni ambientali realizzate tramite captatore informatico, pertanto, sono stati estesi i principi giurisprudenziali elaborati con riferimento all’utilizzo di mezzi ‘tradizionali’.
Le ‘operazioni esecutive’ di installazione degli strumenti tecnici atti a captare le conversazioni tra presenti devono ritenersi implicitamente autorizzate ed ammesse con il provvedimento che dispone l’intercettazione; difatti, anche la collocazione di microspie all’interno di un luogo di privata dimora, costituendo una delle naturali modalità attuative di tale mezzo di ricerca della prova, deve ritenersi implicitamente ammessa nel provvedimento che ha disposto le operazioni di intercettazione, senza la necessità di una specifica autorizzazione e comunque non è compito del pubblico ministero indicare le modalità dell’intrusione negli ambiti e luoghi privati ove verrà svolta l’intercettazione (Sez. 6, n. 39403 del 23/06/2017, Nobile, Rv. 270941 -01; Sez. 6, n. 14547 del 31/1/2011, Di COGNOME, Rv. 250032; Sez. 1, n. 24539 del 9/12/2003, dep. 2004, Rigato, Rv. 230097).
D’altro canto, l’art. 268, comma 3 -bis, cod. proc. pen. non è fra quelli citati dall’art. 271 quanto alla individuazione delle cause di inutilizzabilità, che devono essere tassativamente previste. Infatti, in relazione all’art. 89 disp att. cod. proc. pen. e alle modalità ivi indicate, restano valide le affermazioni delle Sezioni Unite che – con la pronuncia n. 36359 del 26/06/2008, COGNOME, Rv. 240395, in motivazione – hanno chiarito come la violazione delle disposizioni sulla redazione del verbale poste dall’art. 89 disp. att. cod. proc. pen. non comporta l’inutilizzabilità dei risultati dell’intercettazione, ostandovi il principio di tassatività che governa la sanzione processuale, e, dunque, l’assenza di riferimenti in tal senso nell’art. 271 cod. proc. pen. Anche Sez. 5, n. 35010 del 30/09/2020, Monaco, Rv. 280398 ha affermato, in modo condiviso da questo Collegio, che in tema di intercettazioni telefoniche o ambientali, anche a mezzo di captatore informatico, non è causa di inutilizzabilità dei risultati di tali operazioni l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. del 29 dicembre 2017, n. 216, essendo tale sanzione prevista solo per i casi tassativamente indicati dall’art. 271 cod. proc. pen.
5.8. Quanto, invece, alla circostanza prescritta dall’art. 268, comma 3, cod. proc. pen. -questo esplicitamente richiamato dall’art. 271, comma 1, cod. proc. pen. -in ordine alla deroga per insufficienza o inidoneità degli impianti situati presso la Procura della Repubblica di Palermo, nel caso in esame il Pubblico ministero ha offerto una adeguata motivazione con il decreto in data 24 agosto 2024, che si riporta a seguire: « con riferimento alla particolare configurazione dei luoghi ove l’intercettazione è stata disposta la ottimale e completa registrazione delle voci e dei suoni può essere garantita solo attraverso l’uso delle apparecchiature e strumenti (sistemi di trasmissioni cd. wireless, sistema digitale per la codifica dei segnali e dispositivi per la connettività fino al sito di inoltro, ripetitori posizionati in prossimità dei luoghi di ascolto, etc.) tecnologicamente diversi dagli impianti ad oggi installati nei locali della Procura della Repubblica;
pertanto gli impianti di cui è dotata la Procura della Repubblica sono inidonei sotto il profilo tecnico a garantire la migliore registrazione delle conversazioni di cui si è disposta l’intercettazione; in ragione della contestuale ricorrenza della inidoneità tecnica degli impianti installati nella Procura della Repubblica si versa in uno dei casi che autorizzano il Pubblico Ministero a disporre le operazioni di registrazione e di ascolto si svolgano a mezzo di impianti in dotazione alla polizia giudiziaria».
Ebbene tale motivazione risulta congrua e certamente non apparente, adeguata a giustificare la inidoneità tecnica degli impianti della Procura a fronte della necessità di utilizzare strumenti tecnologicamente più avanzati di quelli a disposizione. In tal senso la motivazione esaminata, con la quale non si confronta nello specifico il ricorrente, risulta assolutamente in sintonia con il principio evocato, fissato dalle Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, Aguneche, Rv. 236754 -01, per le quali l’obbligo di motivazione del decreto del pubblico ministero che dispone l’utilizzazione di impianti diversi da quelli in dotazione all’ufficio di Procura non è assolto col semplice riferimento alla “insufficienza o inidoneità” degli impianti stessi – che ripete il conclusivo giudizio racchiuso nella formula di legge – ma richiede la specificazione delle ragioni di tale carenza che in concreto depongono per la ritenuta “insufficienza o inidoneità”. Le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’adempimento dell’obbligo di motivazione implichi, per il caso di inidoneità funzionale degli impianti della Procura, che sia data contezza, seppure senza particolari locuzioni o approfondimenti, delle ragioni che li rendono concretamente inadeguati al raggiungimento dello scopo, in relazione al reato per cui si procede ed al tipo di indagini necessarie. Non vi è dubbio che il corredo motivazionale nel caso in esame risponda a tali requisiti, in modo concreto, rendendo conto adeguatamente della deroga al regime ordinario prescritto dalla disposizione esaminata, determinata dalla impossibilità di ottenere una ottimale registrazione delle captazioni attraverso strumenti non disponibili presso la Procura della Repubblica quali trasmissioni cd. wireless, sistema digitale per la codifica dei segnali e dispositivi per la connettività fino al sito di inoltro, ripetitori posizionati in prossimità dei luoghi di ascolto, e così via.
Pertanto, la doglianza è infondata.
5.8 Quanto, poi, alla circostanza che il Tribunale del riesame abbia valutato solo il decreto n. 3620 e non anche il decreto n. 3619 del 2024, deve evidenziarsi come la doglianza sia infondata. Infatti, con la memoria depositata al Tribunale del riesame veniva eccepita l’inutilizzabilità delle sole intercettazioni, a mezzo captatore, di conversazioni e comunicazioni fra presenti.
Correttamente il Tribunale del riesame ha escluso il decreto n.3619/24, nonché altri decreti, dalla propria valutazione perché, concentrandosi la doglianza
solo sulle intercettazioni aventi ad oggetto le conversazioni e comunicazioni fra presenti, non erano comprese anche altre forme di captazione, come quelle esclusivamente telematiche, relative cioè ai flussi di comunicazione informatica e telematica, quali sono quelle del decreto n. 3619/2024.
Difatti la richiesta del pubblico ministero recante tale ultimo numero r.i.t. del 23 agosto 2024 era tesa ad ottenere l’autorizzazione a intercettare i soli flussi di comunicazione informatica e telematica in entrata ed in uscita dal dispositivo in uso a Stagno Francesco.
La informativa dei Carabinieri del R.o.n.i. di Palermo del 19 agosto 2024 avanzava richiesta, infatti, oltre che di intercettazione delle comunicazioni tra presenti mediante captatore informatico (rifluite nel decreto n.3620/2024), anche di intercettazione delle «conversazioni e comunicazioni avvenute mediante applicativi di messaggistica istantanea (whatsapp, skype, instagram e simili), da svolgersi: in forma PASSIVA delle comunicazioni telematiche, informatiche sull’utenza mobile di rete di rete TIM n. 38 0. in uso a COGNOME NOME, ; in forma ATTIVA delle comunicazioni telematiche, informatiche e di comunicazioni fra presenti mediante inoculazione di spyware nel dispositivo: smartphone SAMSUMG GALAXY TARGA_VEICOLO avente IMEI n. 35136 e sistema operativo “Android”, in uso a COGNOME NOME».
Fondando su tale unica informativa di polizia giudiziaria, il mezzo di ricerca della prova richiesto dal Pubblico ministero si articolava in due richieste separate rivolte al G.i.p., con diversi contenuti: l’intercettazione telematica passiva e attiva da u n lato, l’intercettazione di conversazioni tra presenti dall’altro. Si è trattato, dunque, di un’attività complessa e distinta nei suoi diversi contenuti.
È bene chiarire che intercettazioni ‘passive’ sono quelle di tipo tradizionale -ossia relative al traffico dati su linea (telefonica fissa e cellulare) che si basano sulla cattura del traffico duplicato dal provider di telecomunicazioni (gestore) che assi cura un servizio di connettività all’indagato e di solito si compongono per gran parte di informazioni cifrate. In sostanza le intercettazioni su linea fissa e mobile -che infatti si riferiscono all’utenza telefonica nella indicazione della polizia giudiziaria in precedenza riportata – permettono solo di accertare che i dispositivi in uso all’indagato sono effettivamente utilizzati.
Per ‘leggere’ tale traffico occorre l’ausilio di una società di settore che consenta di rilevare i dati all’interno del dispositivo, una volta che gli stessi sono stati decodificati dall’utenza ricevente, quindi direttamente all’interno del dispositivo. Ta le tecnica viene denominata solitamente ‘intercettazione attiva’, in quanto presuppone non più solo l’ascolto passivo del segnale, ma anche la cattura dell’informazione resa disponibile nel dispositivo dopo la decriptazione.
Tanto premesso, il decreto n. 3619/24 era destinato solo alle intercettazioni telematiche e informatiche, da realizzarsi a mezzo captatore, tanto che il G.i.p. autorizzava la captazione de «i flussi di conversazioni e comunicazioni telematiche e informatic he», non quindi l’intercettazione di conversazioni e comunicazioni ‘in ambientale’.
Tale diversità dell’oggetto delle captazioni autorizzate dai due decreti giustifica l’omessa motivazione da parte Tribunale del riesame, che si cimentava nella valutazione del solo decreto n.3620/24, esorbitando, l’eccezione difensiva, dal contenuto del decreto n. 3619/24.
Non di meno, la rilevabilità d’ufficio della inutilizzabilità, in ogni stato e grado del processo, richiede di verificare anche la fondatezza delle doglianze proposte.
È evidente che non vertendosi in tema di conversazioni fra presenti trova applicazione la disciplina dell’art. 266 -bis cod. proc. pen. e non la disciplina speciale fin qui esaminata per le conversazioni fra presenti di cui agli artt. 266, commi 2 e 2-bis, 267 comma 2-bis.
Il legislatore ha voluto distinguere il bilanciamento degli interessi in gioco: il diritto alla riservatezza non solo delle comunicazioni ma anche relativamente alla propria vita personale, con il quale si confronta l’intercettazione di conversazioni fra presenti a mezzo captatore richiede un maggior onere giustificativo, con la necessità di indicare le ragioni dell’utilizzo del cd. captatore e, quando richiesto, a seconda dei reati, della indicazione dei tempi e dei luoghi, nonché delle ragioni di utilizzo nei luoghi di privata dimora ex art. 614 cod. pen., in quanto il captatore ‘in ambientale’ risulta uno strumento di ‘intercettazione itinerante’ con il dispositivo mobile che, come tale, ha un grado di intrusività di tale intensità da richiedere un corredo motivazionale puntuale e dettagliato.
Diversamente, le intercettazioni telematiche e informatiche non si caratterizzano per la medesima natura ‘itinerante’ e, pertanto, implicano giustificazioni analoghe a quelle proprie delle intercettazioni tradizionali.
Tale distinzione -fra intercettazioni attive e intercettazioni di comunicazioni fra presenti – è stata anche evidenziata in relazione al regime di circolazione dei risultati delle intercettazioni, rinvenendosi replicata nei commi 1 e 1bis dell’art. 270 cod. proc. pen.
Dopo aver affermato che il captatore (c.d.”malware”) si installa su dispositivi mobili (cellulare, computer e tablet) ed è dotato di diverse funzionalità, consentendo l’intercettazione di chiamate vocali, di chat e di messaggi istantanei, ma anche l’ascolto di conversazioni tra presenti, permettendo di intercettate le conversazioni che si svolgano tra più persone che si trovino nelle vicinanze del dispositivo, questa Corte di legittimità ha rilevato come per l’utilizzazione dei risultati di intercettazioni effettuate con captatore informatico per delitti diversi da
quelli per cui è stato emesso il decreto autorizzativo, il disposto dell’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui limita l’utilizzazione all’accertamento dei delitti indicati all’art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen., è riferito esclusivamente alla captazione di conversazioni intercorse tra presenti, mentre per quelle che non si svolgono tra presenti opera la clausola di salvezza contenuta nell'”incipit” del medesimo art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., che rinvia alle condizioni previste nel comma 1 di tale disposizione (Sez. 4, n. 25401 del 20/06/2024, COGNOME, Rv. 286472 01).
In sostanza anche l’art. 270 cod. proc. pen. mantiene ferma e ribadisce la distinzione fra le varie forme di intercettazioni realizzabili a mezzo del captatore informatico, non assimilabili fra loro.
Tornando al caso in esame, occorre verificare se è stato fatto, quindi, con riferimento al decreto n. 3619 del 2024 buon governo delle norme in tema di intercettazioni telematiche e informatiche, ai sensi dell’art. 268 commi 3 e 3 -bis, prima parte.
Pertanto, in relazione al comma 3 dell’ultima disposizione, fermo quanto già evidenziato in ordine ai principi giurisprudenziali richiamati in relazione al parallelo decreto relativo alla intercettazione delle conversazioni fra presenti, occorre evidenziare come la motivazione – offerta dal Pubblico ministero nel decreto di esecuzione del 28 agosto 2024 in ordine all’utilizzo degli impianti esterni alla Procura della Repubblica di Palermo – risulti congrua, avendo osservato come « con riferimento ai s istemi digitali ritenuti dalla polizia giudiziaria come necessari e infungibili per la inoculazione del citato applicativo informatico e per la successiva registrazione la relativa strumentazione informatica necessaria non è installata nei locali della Procura della Repubblica».
Si tratta di una motivazione tecnica sostanziale quanto alla inidoneità degli impianti, che giustifica il ricorso a quelli esterni.
Anche l’art. 268, comma 3 -bis, prima parte – che recita: «Quando si procede a intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, il pubblico ministero può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati» – risulta consentire il ricorso ad impianti esterni. Nel caso in esame, come emerge dal verbale di esecuzione del 6 settembre 2024, gli impianti furono forniti dalla impresa privata, ma furono collocati presso i locali della polizia giudiziaria delegata, cosicché alcuna irregolarità può riscontrarsi, fermo restando, per altro, il principio che l’art. 268, comma 3 -bis, non è richiamato dall’art. 271, comma 1, cod. proc. pen. cosicché non può essere fonte di inutilizzabilità.
Ne consegue la infondatezza delle doglianze mosse con il motivo aggiunto.
Va, pertanto, complessivamente rigettato il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 23/07/2025