Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29382 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29382 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Palermo il 17/07/1986
avverso l’ordinanza del 08/03/2025 del Tribunale di Palermo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato il Tribunale del riesame di Palermo, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME in ordine ai seguenti reati associativi:
art. 416bis , commi secondo, terzo, quarto e sesto, cod. pen., quale componente, in posizione apicale, della famiglia mafiosa, affiliata a ‘cosa nostra’,
insediata nel mandamento di NOME COGNOME con il ruolo di organizzatore e direttore delle attività della cosca nell’ambito del traffico di sostanze stupefacenti , del gioco clandestino, delle attività estorsive, del mantenimento dei detenuti e delle loro famiglie (capo 1 dell’incolpazione provvisoria );
art. 74, commi 1, 3 e 4, T.U. stup. per aver diretto e organizzato una associazione dedita al narcotraffico (capo 35).
Nonché ai relativi delittiscopo, tutti aggravati anche ai sensi dell’art. 416 -bis .1 cod. pen.:
organizzazione abusiva di scommesse clandestine, attraverso piattaforme informatiche illegali ‘ distribuite e imposte ‘ alle agenzie di scommesse operanti nella zona territoriale di competenza del mandamento NOME COGNOME (art. 4 comma 1, legge n. 410 del 1969 – capo 5);
estorsioni tentate e consumate (capi 6, 14, 17, 33);
commercio di hashish, marijuana e cocaina (artt. 73, commi 1 e 4 T.U. stup. -capi 7, 10, 15, 36, 37, 39, 41, 43, 45, 48, 50).
Avverso l’ordinanza ricorre l’indagato, tramite i propri difensor i, articolando undici motivi principali e uno aggiunto, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo principale eccepisce , ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni eseguite mediante captatore informatico, disposte con i decreti rit. nn. 3619 e 3620 del 2024.
2.1.1. Si sostiene che i decreti di intercettazione:
-in violazione dell’art. 266, comma 2 -bis, cod. proc. pen., spiegano
;
-in spregio all’art. 267 cod. proc. pen. , non espongono le ragioni che rendono necessario l’impiego del captatore informatico rispetto ad altre modalità di intercettazione ‘meno invasive’ , né precisano i luoghi e il tempo in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono.
Si lamenta, inoltre, che né i decreti esecutivi del Pubblico ministero, né i decreti autorizzativi del GIP forniscono adeguata motivazione sulla impossibilità di compiere le
2.1.2. Il primo e unico motivo aggiunto ripropone le medesime doglianze già formulate con il primo motivo di ricorso, estese anche ai decreti rit. nn. 2872/2022 e 3123/2022. Al fine di dimostrare la ricaduta della dedotta inutilizzabilità sul fumus commissi delicti di tutti i reati costituenti titolo cautelare, il ricorrente trasmette i fascicoli delle intercettazioni nn. 2872/2022 e 3123/2022, nonché centinaia di pagine contenenti informative di polizia giudiziaria.
2.2. Il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sul ritenuto concorso tra i reati di associazione mafiosa (capo 1) e associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo 35).
Secondo il ricorrente si verte in un caso di concorso apparente di norme, poiché, nella specie, esiste una sola associazione, una medesima organizzazione, una stessa struttura, quella mafiosa, dedita al traffico di stupefacenti, senza che quella ex art. 74 T.U. stup. presenti una propria effettiva autonomia, come rivela anche la sostanziale coincidenza dei sodali.
La questione, proposta in sede di riesame, è rimasta priva di risposta.
In subordine il ricorrente chiede di investire le Sezioni Unite del tema dei rapporti tra gli artt. 416 bis cod. pen. e 74 T.U. stup. nel caso in cui il partecipe alla consorteria mafiosa si occupi anche del traffico di stupefacenti controllato dal sodalizio mafioso.
2.3. Il terzo motivo contesta l’attribuzione al ricorrente di un ruolo apicale nei due reati associativi (capi 1 e 35) e chiede di riqualificare le condotte come di mera partecipazione.
2.4. Il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria rispetto al concorso del ricorrente nelle condotte estorsive di cui ai capi 17) e 33); rappresenta inoltre la necessità di inquadrare il capo 33) nella fattispecie tentata.
Il quinto, il sesto e il settimo motivo svolgono analoghe doglianze in relazione ai reati ex art. 73 t.u. stup. di cui ai capi 7), 10), 15), 36), 37), 39), 41), 43), 45), 48), 50), invocando l’ipotesi lieve prevista dall’art. 73, comma 5 t.u. stup.
L’ottavo motivo concerne i delitti di estorsione di cui ai capi 6) e 14), pone in risalto l’assenza di gravi indizi di colpevolezza e inquadra le condotte nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Il nono contesta la gravità indiziaria rispetto al delitto di cui all’art. 4 legge n. 401 del 1989 oggetto del capo 5).
2.5. Il decimo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione sulle circostanze aggravanti di cui agli artt. 416-bis.1 e 629, comma 2, cod. pen.
Il ricorrente premette che l’interesse a devolvere la questione al giudice di legittimità va ravvisato nel meccanismo delle presunzioni ex art. 275, cod. proc. pen. implicato da tali aggravanti.
Afferma che non vi sarebbero elementi suscettibili di dimostrare la rappresentazione e la volizione in capo al ricorrente dell’agevolazione mafiosa o dell’impiego del metodo mafioso.
Circa i reati di estorsione, l’indagato non ha profferito minacce, né ha assunto atteggiamenti ritorsivi nei confronti delle persone offese.
Quanto al commercio di sostanze stupefacenti, la piattaforma indiziaria non consente di sostenere che i proventi dell’attività di spaccio fossero destinati alle casse del clan mafioso.
In merito poi alle scommesse clandestine, le agenzie di scommesse non sono state individuate, pertanto non è possibile ritenere che ‘ i presunti siti web illeciti -di cui non si è accertata la concreta illiceità -siano stati effettivamente imposti con la forza dall’associazione mafiosa , né tantomeno sono stati tracciati i profitti verso le casse della congrega criminosa ‘.
Si aggiunge, inoltre, che non sarebbe stato affrontato il tema del rapporto tra la circostanza di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3 e quella prevista da ll’art. 416 -bis. 1 cod. pen. Si verte in una ipotesi di minaccia “silente”, proveniente da soggetto appartenente ad un’associazione di tipo mafioso, suscettibile di integrare, secondo la giurisprudenza di legittimità, solo l’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3), cod. pen, richiamata dall’art. 629, comma secondo, cod. pen., la cui configurabilità è correlata alla mera provenienza qualificata della condotta intimidatoria, ma non quella del metodo mafioso, che postula un’ulteriore esternazione, funzionale alla semplificazione delle modalità commissive del reato.
2.6. L’ undicesimo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle esigenze cautelari e alla adeguatezza della misura della custodia in carcere, ricavate dalla duplice presunzione di cui all’art. 275 , comma 3, cod. proc. pen.
L’eccezione di incostituzionalità, già promossa dinanzi al Tribunale del riesame, è stata ignorata.
Ad opinione del ricorrente, l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. , nella parte in cui prevede la presunzione assoluta di adeguatezza della misura cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., è illegittimo per contrasto con gli artt. 3, 13 e 27 Cost., poiché fa ricorso ad un automatismo già ritenuto non conforme alla Carta costituzionale e alla normativa sovranazionale sia dal Giudice delle leggi sia dalla Corte Edu.
2.7. Dopo aver presentato motivi aggiunti (sopra richiamati nell’esame del primo motivo), il 22 luglio 2025 il difensore del ricorrente ha trasmesso una memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale in relazione ai seguenti punti: vizi di motivazione per omessa valutazione della inutilizzabilità anche dei risultati intercettativi relativi ai decreti rit. nn. 2872/2022 e 3123/2022; difetto di
motivazione nei decreti esecutivi adottati dal Pubblico ministero circa le ragioni della inadeguatezza tecnica dei server esistenti presso la Procura della Repubblica; omessa indicazione delle ragioni che rendevano necessario il ricorso allo strumento del captatore informatico, in violazione di quanto imposto dall’art. 267, comma 1, cod. proc. pen.; concorso apparente di norme in relazione alle condotte di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 74 T.U. stup.; difetto di gravità indiziaria circa l’assunzione di un ruolo apicale nelle due associazioni; fondatezza dei restanti motivi (quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono, decimo e undicesimo).
Si è proceduto a discussione orale su richiesta della difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti, mentre nel resto va rigettato.
Il primo motivo principale e il motivo aggiunto sono nel complesso infondati, pur presentando diversi profili di inammissibilità.
Il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b), c), ed e), cod. proc. pen., eccepisce la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni autorizzate con i decreti rit. nn. 3619 e 3620 del 2024 (primo motivo principale e motivo aggiunto) e con i decreti rit. nn. 2872 e 3123 del 2022 (motivo aggiunto), facendo leva essenzialmente sul mancato rispetto dei contenuti minimi dei decreti e dei relativi obblighi motivazionali ex art. 266 e 267 cod. proc. pen., nonché sulla inosservanza dell’art. 268, commi 3 e 3 -bis cod. proc. pen non è pertinente il richiamo al vizio di motivazione (art. 606, comma 1 lett. e) e a quello di violazione di legge sostanziale (art. 606, comma 1 lett. b).
L’ inutilizzabilità integra esclusivamente il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. e spetta alla Corte di cassazione accertarne la eventuale sussistenza, indipendentemente da quale sia stato il ragionamento esibito al riguardo dal giudice di merito (Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, COGNOME, Rv. 255515; Sez. 5, n. 19970 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 275636).
La risoluzione delle questioni sollevate dal ricorrente postula l’individuazione della disciplina applicabile tenuto conto de: la natura del fatto-reato oggetto dei decreti di intercettazione; la tipologia di intercettazione disposta attraverso il captatore informatico; la normativa di riferimento secondo la regola temporale dettata dagli interventi legislativi che si sono susseguiti.
In estrema sintesi e nell’ottica qui in rilievo: la normativa diverge se vengono in esame delitti di criminalità organizzata, o determinati reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, o altri reati; se il c.d. trojan horse viene impiegato per la captazione di conversazioni o flussi di comunicazioni oppure per effettuare intercettazioni ambientali anche in luoghi di privata dimora; se si tratta di intercettazioni relative a procedimenti iscritti entro il 31 agosto 2020 oppure dopo.
2.1. Sul primo profilo è sufficiente osservare che i decreti oggetto di ricorso sono stati emessi in relazione al delitto di cui all’art. 416 -bis cod. pen. riferito alla famiglia mafiosa operante nel mandamento palermitano denominato “NOME COGNOME“, quale articolazione territoriale di ‘cosa nostra’.
Il reato posto a base della captazione rientra indubbiamente nella nozione di ‘ delitto di criminalità organizzata ‘ governato dalle norme speciali dettate da ll’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 203 del 1991.
Tale norma, in deroga alla disciplina ordinaria, richiede che sussistano ‘sufficienti indizi’ di reato (invece di “gravi indizi”) e che l’intercettazione sia ‘ necessaria ‘ per lo svolgimento delle indagini (invece che “assolutamente indispensabile”); essa prevede, inoltre, che, quando si tratta di intercettare comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati dall’articolo 614 del cod. pen., ‘ l’intercettazione è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l’attività criminosa ‘ (mentre l’attività criminosa in corso costituisce presupposto per autorizzare le intercettazioni ordinarie all’interno dei luoghi di privata dimora, che, in quanto tali, godono di tutela privilegiata).
Quest’ultima notazione pone in evidenza come nel caso di delitti di criminalità organizzata non si pongano particolari esigenze di tutela rispetto alle peculiarità del captatore informatico, tant’è che, prima della espressa regolamentazione di cui al d. lgs. n. 216 del 2017, le Sezioni Unite della Corte di cassazione avevano già riconosciuto la legittimità dell’installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata (e solo in questi), giacché per essi è consentita la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione e indicazione di tali luoghi e
prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto (Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266905 – 01).
Va aggiunto che, per adottare le categorie impiegate dal d. lgs. n. 216 del 2017, quello previsto dall’art. 416 -bis cod. pen., oltre a classificarsi come delitto di criminalità organizzata, rientra nel novero dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3bis cod. proc. pen.
2.2. Sul secondo profilo va evidenziato che il captatore informatico non è altro che uno strumento messo a disposizione dalla moderna tecnologia, attraverso il quale è possibile effettuare una intercettazione di qualunque tipologia (Sez. 5, n. 31606 del 30/09/2020, COGNOME, non massimata).
La peculiarità – e conseguente problematicità – dell’intercettazione di cui si discute sta nel fatto che il soggetto intercettato può recarsi, portando con sé l’apparecchio elettronico nel quale è stato installato il “captatore”, nei luoghi di privata dimora di altre persone, così dando luogo a una pluralità di intercettazioni domiciliari (cfr. in motivazione Sezioni Unite Scurato cit.).
Problematicità che, tuttavia, nel caso di delitti di criminalità organizzata non ricorre alla luce dello speciale regime che governa le intercettazioni ex art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, ritenuto compatibile sia con la Carta costituzionale sia con i principi sovranazionali (cfr. in motivazione Sezioni Unite Scurato cit.).
2.3. Il terzo profilo riguarda il regime temporale.
2.3.1. Va preliminarmente chiarito che il presente scrutinio viene condotto nella prospettiva dei reati di criminalità organizzata, mentre, trattandosi di tema estraneo al processo, si tralasciano le complesse scansioni temporali di operatività della disciplina del captatore per i reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, se non per rimarcarne, quando occorre, differenze e affinità rispetto alle problematiche in rilievo (per i reati contro la pubblica amministrazione si rimanda a Sez. U civ., n. 741 del 15/01/2020, Rv. 656792 – 03; Sez. 6, n. 9158 del 30/01/2024, COGNOME, Rv. 286117 e tra le ultime Sez. 6, n. 33017 del 11/07/2024, Monticelli, non massimata).
2.3.2. Il percorso legislativo si trova analiticamente tracciato nella sentenza delle Sezioni Unite COGNOME (n. 36764 del 18/04/2024).
In questa sede basti ricordare che il parametro di riferimento, per l’applicazione del novum , non è più costituito «dai provvedimenti autorizzativi emessi», ma dai «procedimenti penali iscritti» dopo un dato termine, alla fine individuato in quello del 31 agosto 2020″.
Rispetto a tale parametro, può richiamarsi la disamina svolta dalle citate Sezioni Unite COGNOME (cfr. § 9 del considerato in diritto):
la «norma transitoria regola i tempi di entrata in vigore di un intero “corpo normativo”: una disposizione, cioè, che regola la successione di norme in tema di
presupposti di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova, di modalità di documentazione delle attività captative, di conservazione del materiale, di procedimentalizzazione della selezione dei dati probatori raccolti, di utilizzabilità della prova, anche in un “diverso procedimento”»;
tale disposizione «deve quindi essere interpretata in senso unitario, cioè facendo riferimento ad un unico criterio, capace di regolamentare sul piano temporale, l’entrata in vigore della “riforma” nel suo complesso, cioè in relazione a tutti i distinti profili del “procedimento di intercettazione” su cui il legislatore è intervenuto».
È necessario, dunque, comprendere cosa debba intendersi per ‘procedimento’ (che deve essere iscritto entro una determinata data), tenuto conto che la scelta finale del legislatore è caduta su tale parametro, ritenuto preferibile rispetto a quello, individuato inizialmente, della data di emissione del decreto autorizzativo. Come ricordano le Sezioni Unite COGNOME, l’avere riguardo «alla data di iscrizione del procedimento, piuttosto che alla data di emissione del decreto autorizzativo, appare molto più razionale poiché quest’ultimo criterio avrebbe determinato una commistione di disciplina applicabile alle operazioni di captazione già in corso nello stesso procedimento alla data di efficacia delle nuove disposizioni, con effetti di disordine e di incertezza» (§ 10).
2.3.3. Fermo, come detto, che nella specie viene in rilievo il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen., la successione normativa va analizzata -sotto l’angolo prospettico devoluto con il motivo di ricorso (presupposti e contenuti del decreto autorizzativo del GIP, modalità esecutive disposte dal P.M.) -nei seguenti termini.
Per i procedimenti iscritti entro il 31 agosto 2020 , quindi anteriori all’ambito di operatività delle norme di espressa regolamentazione dettate dal d. lgs. n. 216 del 2017, opera la normativa originaria di cui agli artt. 266, 267, 268 cod. proc. pen. con le deroghe, per la criminalità organizzata, contenute ne ll’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991 convertito dalla legge n. 203 del 1991, come declinate dalle già ricordate Sezioni Unite COGNOME (cfr. Sez. 5, n. 33138 del 28/09/2020, COGNOME, Rv. 279841 – 01) : l’ intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l’installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico è consentita nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata per i quali trova applicazione la disciplina di cui all’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto. Circa gli oneri motivazionali del decreto autorizzativo la Corte ha sottolineato che, in considerazione della forza intrusiva del mezzo usato, la qualificazione del fatto reato, ricompreso nella nozione di criminalità organizzata, deve risultare ancorata
a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari, evidenziati nella motivazione del provvedimento di autorizzazione in modo rigoroso.
Per i procedimenti iscritti dal 1 settembre 2020 è applicabile, invece, il d. lgs. n. 216 del 2017 e successive modifiche e integrazioni.
La codificazione legislativa ha confermato che il captatore è solo uno strumento attuativo suscettibile di realizzare le varie tipologie di intercettazioni ( in primis quelle tra presenti mediante l’attivazione del microfono).
L’art. 266, comma 2, prima parte, cod. proc. pen. consente, in via generale, che l’intercettazione di comunicazioni tra presenti possa essere eseguita «anche mediante l’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile»; rimane invariata la seconda parte del comma 2 per cui l’intercettazione nei luoghi di privata dimora è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.
A questa regola generale deroga il successivo comma 2bis , il quale tiene conto delle speciali discipline cui soggiacciono le intercettazioni ambientali sia nei delitti di criminalità organizzata ( ex art. 13 d.l. n. 152 del 1991 conv. dalla legge n. 203 del 1991 – cfr. sopra) sia, in forza di successiva (parziale) estensione, nei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (si rimanda a Sez. 6, n. 9158 del 30/01/2024, COGNOME NOME, Rv. 286117 per l’analisi della successione di leggi e in particolare del disposto dell’art. 6 d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, e della modifica di cui all’art. 1, comma 3, legge n. 3 del 2019).
Il citato comma 2bis cod. pen. recita: «L’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3bis e 3quater , e, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4».
Se ne ricava che:
la regola generale per cui le intercettazioni ambientali (eseguite o meno mediante captatore informatico) possono essere effettuate nei luoghi di privata dimora, soltanto se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa;
la deroga -valevole per i procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3bis e 3quater nonché per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni -in forza della quale l’intercettazione di comunicazioni tra
presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita anche nei luoghi di privata dimora, indipendentemente dal ritenuto svolgimento di attività criminosa;
nell’ambito della deroga, la condizione -imposta solo per i ridetti delitti contro la pubblica amministrazione -che occorre la previa indicazione delle ragioni che giustificano l’utilizzo del captatore anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale.
Pertanto va rimarcato che, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, tale ultima condizione si riferisce esclusivamente ai reati contro la pubblica amministrazione, non anche a quelli di criminalità organizzata citati nella prima parte del comma 2bis .
In tal senso depongono la genesi, la lettera e la struttura della norma.
Invero il comma 2bis è stato inserito nel corpo dell’art. 266 proc. pen. dall’art. 4, comma 1, lettera a), n. 2 del d. lgs. n. 216 del 2017 secondo cui: “dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: «2bis . L’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3 bis e 3 quater »”.
Questa parte della norma è sempre rimasta inalterata; mentre è stata più tormentata la formulazione della seconda parte della norma, quella dedicata ai delitti contro la pubblica amministrazione, su cui il legislatore è ripetutamente intervenuto.
In particolare l’inciso in esame (“previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale”) è frutto di una modifica introdotta dalla legge n. 7 del 2020, in sede di conversione del d.l. n. 161 del 2019.
L’art. 1, comma 1, della citata legge stabilisce che: «Il decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge».
Tra le modifiche previste nell’allegato vi è quella che interviene sull’art. 2, comma 1, lettera c) del decreto-legge nel senso di prevedere che, all’art. 266, comma 2bis cod. proc. pen., le parole: «e per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4» sono sostituite dalle seguenti: «e, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la
pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4».
Si tratta quindi, all’evidenza, di un intervento mirato proprio ed esclusivamente sui delitti contro la pubblica amministrazione che lascia indenne, recependola in toto , l’originaria previsione riferita ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3bis e 3quater .
Soccorrono, nel medesimo senso, la struttura e la lettera della norma. Dapprima, infatti, si afferma che “è sempre consentita” l’intercettazione a mezzo captatore per i reati di cui all’articolo 51, commi 3bis e 3quater , cod. proc. pen. e solo successivamente, quando viene regolato l’utilizzo dello strumento investigativo per i delitti contro la pubblica amministrazione, si richiede la «previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale». La disposizione normativa, anche nella sua stratificazione temporale, si articola in due segmenti: il primo riferito ai reati di cui all’art. 51, commi 3 -bis e 3quater, e il secondo -separato dal primo, anche a livello semantico, dall’uso di una “prima” virgola seguita dalla congiunzione “e” -concernente i delitti contro la pubblica amministrazione. L’interpretazione del testo è agevolata dall’uso della virgola parentetica, che, collocata dopo la congiunzione ‘e’ nonché prima e dopo l’inciso ‘previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale’, delimita chiaramente ai soli reati della seconda parte l’ambito applicativo dell’onere motivazionale aggiuntivo. Anche la punteggiatura, pertanto, concorre a svolgere una funzione esplicativa e restrittiva, escludendo i reati di criminalità organizzata dalla necessità di una motivazione più pregnante per l’uso del captatore in luoghi di privata dimora.
Il d. lgs. n. 216 del 2017 è intervenuto anche sull’art. 267 cod. proc. pen. e, per quanto qui interessa, sul comma 1 del citato articolo, prevedendo, in via generale e senza distinzioni, che quando, nell’intercettazione tra presenti, si autorizza l’impiego del captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, il decreto del GIP deve «indicare le ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini».
Si è stabilito, quindi, che, qualunque sia il reato per il quale si procede (e quindi anche nel caso di delitti di criminalità organizzata), il giudice deve dare conto, nella stessa motivazione del provvedimento autorizzativo, della necessità di impiegare il captatore informatico per effettuare le intercettazioni tra presenti.
In dottrina si parla efficacemente di “decreto rafforzato” o di “motivazione rafforzata”, per sottolineare l’intento legislativo di offrire, per tal via, una maggiore garanzia, in ragione della più significativa invasività nella sfera della riservatezza che il nuovo mezzo tecnologico consente rispetto agli strumenti tradizionali.
Il comma 2bis dell’art. 1 d.l. 10 agosto 2023, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2023, ha modificato il comma 1 dell’art. 267 cod. proc. pen. nel senso di rafforzare ulteriormente l’intensità del vaglio giudiziale e il relativo impegno motivazionale: si richiede che il decreto di autorizzazione del GIP contenga una «autonoma valutazione», da svolgersi «in concreto», delle ragioni che rendono necessario l’impiego di tale strumento. Non è prevista una specifica norma transitoria (come invece accade per il comma 2quater relativo alle modifiche all’art. 270 cod. proc. pen., rispetto alle quali il comma 2quinquies evoca il canone dei “procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”).
L’interpretazione dell’obbligo di “autonoma valutazione” e del riferimento a un vaglio “in concreto” può giovarsi dell’ampia elaborazione giurisprudenziale maturata sull’omologo requisito richiesto per le misure cautelari dall’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen. Secondo le pronunce di questa Corte la prescrizione non è incompatibile con una motivazione che richiami per relationem gli elementi emersi nel corso delle indagini e segnalati negli atti di polizia giudiziaria e nella richiesta del pubblico ministero, purché il giudice dia conto del proprio esame critico dei predetti elementi e delle ragioni per cui egli li ritenga idonei a supportare l’adozione del provvedimento di intercettazione. Tali requisiti impongono al giudice di esplicitare le ragioni per cui egli ritiene di poter attribuire, al compendio indiziario, un significato coerente all’integrazione dei presupposti normativi per l’adozione del provvedimento, ma non implicano la necessità di una riscrittura “originale” di tali elementi, si da far ritenere legittima la motivazione per relationem che risponda ai predetti parametri decisionali di ordine normativo (cfr. tra le altre in relazione all’art. 292 cod. proc. pen. Sez. 5, n. 11922 del 02/12/2015 dep. 2016, COGNOME, Rv. 266428 – 01).
La seconda parte dell’art. 267, comma 1, cod. proc. pen. esclude, invece, espressamente i delitti di criminalità organizzata -nonché quelli dei pubblici ufficiali (e incaricati di pubblico servizio) contro la pubblica amministrazione puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni -dall’obbligo, imposto in tutti gli altri casi, di indicare i luoghi e il tempo, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono. Il che si raccorda con la circostanza che, a mente dell’art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen., per i delitti esclusi dal ridetto obbligo l’intercettazione ambientale è sempre consentita anche nei luoghi di cui all’art. 614 cod. pen.
Infine, quanto alle modalità attuative, il comma 3 dell’art. 268 cod. proc. pen. stabilisce che: «le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica. Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza,
il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria».
Il d. lgs. n. 216 del 2017 ha inserito, nel corpo dell’art. 268, cod. proc. pen., dopo il comma 3, il comma 3bis , a mente del quale: «Quando si procede a intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, il pubblico ministero può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati. Per le operazioni di avvio e di cessazione delle registrazioni con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, riguardanti comunicazioni e conversazioni tra presenti, l’ufficiale di polizia giudiziaria può avvalersi di persone idonee di cui all’articolo 348, comma 4».
Il comma 3bis , a differenza del comma 3 dell’art. 268 cod. proc. pen., non rientra tra i casi di inutilizzabilità previsti dall’art. 271 cod. proc. pen.
In conclusione, secondo le linee appena tracciate, nel caso di delitti di criminalità organizzata ricompresi nel novero dell’art. 51 comma 3bis cod. proc. pen., l’unica significativa differenza tra il regime previgente, regolato dalla giurisprudenza, e quello successivo, disciplinato dalla introduzione di norme ad hoc , verte precipuamente sul contenuto del decreto che autorizza l’intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico: il provvedimento del GIP deve esporre «con autonoma valutazione le specifiche ragioni che rendono necessaria, in concreto, tale modalità per lo svolgimento delle indagini».
Requisito questo non richiesto in precedenza (cfr. Sez. 5, n. 31849 del 28/09/2020, COGNOME, Rv. 279769 – 01).
2.3.4. Il succedersi delle discipline rende essenziale stabilire cosa debba intendersi per “procedimento” iscritto entro una certa data (o, con diversa visuale, a partire da una certa data) considerato che il codice di rito impiega il termine “procedimento” secondo accezioni non univoche (cfr. sul punto in motivazione Sez. U, n. n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo).
Il punto non sfugge alle Sezioni Unite COGNOME che si mostrano consapevoli delle difficoltà interpretative nel caso in cui «due o più procedimenti, con una diversa data di iscrizione, antecedente e successiva alla data di efficacia delle nuove disposizioni, siano riuniti, ovvero nel caso in cui all’iscrizione di alcuni reati, avvenuta prima del 31 agosto 2020, ne facciano seguito in epoca successiva altre, aventi ad oggetto nuovi titoli di reato».
E risolvono la problematica rimandando alla nozione di ‘procedimento’ come delineata dalle Sezioni Unite COGNOME: «da una parte, si è chiarito che si considerano unitariamente i procedimenti quando tra i reati vi sia un rapporto di connessione ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., e, dall’altra, si è sottolineato in dottrina, sono state neutralizzate letture meramente formali dell’art. 270 cod.
proc. pen., fondate sulla mera materiale distinzione degli incartamenti, ovvero sulla diversità formale di fascicoli» (§11).
Ergo sono le stesse Sezioni Unite a rifarsi alla chiave interpretativa offerta dalla precedente sentenza n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo.
Quest’ultima ha ancorato la nozione di procedimento a un criterio di tipo ‘sostanzialistico’, imperniato cioè sul fatto -reato e sul suo rapporto di connessione qualificata, ex art. 12 cod. proc. pen., con altri fatti-reato; evidenziando altresì i limiti del criterio formalistico schiacciato sul «contenitore dell’attività di indagine» e su «fattori relativi alla “sede” procedimentale (unitaria o separata) del tutto casuali – e, dunque, forieri dei dubbi di legittimità costituzionale per violazione del principio di uguaglianza (sotto il profilo del trattamento uguale o diversificato di situazioni, rispettivamente, diverse o uguali) prospettati in dottrina – o, comunque, dipendenti dalle opzioni investigative del pubblico ministero: opzioni certo legittime, ma che non possono svuotare di effettività l’autorizzazione del giudice e il divieto probatorio ad essa correlata» (cfr. § 9).
La difficoltà di applicare la nozione sostanzialistica di procedimento alla regola temporale in esame riposa sul fatto che si tratta di raccordarla a un elemento indubbiamente formale quale è la data di “iscrizione” del procedimento.
Ritiene il collegio che, per ricomporre siffatta apparente distonia, possa assegnarsi valore alla prima data di iscrizione della notitia criminis relativa al fattoreato (che sarà poi oggetto di intercettazione) inteso nella sua materialità, indipendentemente dalla iscrizione dei nominativi degli indagati, così da rendere irrilevanti (richiamando gli esempi che si trovano anche nelle Sezioni Unite COGNOME): il passaggio da ignoti a noti; l’iscrizione di successivi nominativi concorrenti in quel determinato fatto-reato; la riapertura delle indagini; la separazione (Sez. 6, n. 9846 del 24/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284256 01) e la riunione dei procedimenti.
Ed in tal senso va dunque sottolineata la ininfluenza dell’iscrizione “soggettiva’ cioè di quella attinente ai nominativi degli indagati.
Le stesse Sezioni Unite COGNOME rimarcano che il legame tra procedimento in senso sostanziale e fatto-reato deve essere inteso nella sua espressione oggettiva, restando irrilevante la posizione soggettiva degli autori: è pacifico che un’intercettazione validamente autorizzata può essere utilizzata nei confronti di qualsiasi persona a carico della quale faccia emergere elementi di responsabilità per quel reato.
Ciò in ossequio al principio generale che presidia la materia delle intercettazioni, in forza del quale l’autorizzazione del giudice concerne uno e più fatti-reato nella loro dimensione oggettiva, mentre sono indifferenti i destinatari del decreto autorizzativo (cfr. sul tema Sez. 5, n. 37697 del 29/09/2021, in
motivazione), dato che i presupposti dell’attività di intercettazione attengono all’illecito penale e non alla responsabilità dei singoli concorrenti (cfr. in motivazione Sez. 5 n. 1757 del 17/12/2020, dep. 2021, COGNOME).
In conclusione, nella prospettiva del reato previsto dall’art. 416bis cod. pen., la disciplina del captatore informatico di cui al d. lgs. n. 216 del 2017 si applica ai procedimenti iscritti dal 1 settembre 2020, intendendosi per tali quelli in cui la notizia relativa al fatto-reato è stata iscritta nel registro ex art. 335 cod. proc. pen. a partire da tale data, mentre sono privi di influenza sia la data del decreto autorizzativo sia quella in cui viene iscritto il nominativo dell’indagato.
2.4. È quindi dalla combinazione dei tre profili sopra ripercorsi (delitto di criminalità organizzata, iscrizione del procedimento, tipologia delle intercettazioni) che, nel caso concreto, va enucleata la disciplina applicabile.
Detta combinazione deve essere rappresentata dal motivo di ricorso che incorrerà nella sanzione di inammissibilità per genericità quando l’eccezione sia sollevata in assenza di precisa indicazione e specifica allegazione dei dati processuali necessari all’esatto inquadramento del caso.
In tale prospettiva, se è vero che la corte di cassazione è giudice del fatto processuale, è del pari incontroverso che: non compete alla Corte di cassazione, in mancanza di specifiche deduzioni, verificare se esistano cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedimento che non appaiano manifeste, in quanto implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244328 -01); che nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale, al generale onere di precisa indicazione, che incombe su chi solleva l’eccezione, si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale (Sezioni Unite De COGNOME, cit. Rv. 244329 -01).
2.5. Il primo motivo di ricorso non presenta questa specificità e finisce per raggruppare, sotto le medesime questioni, decreti di intercettazione molto diversi tra loro per tipologia e disciplina applicabile ratione temporis .
2.5.1. Il decreto rit. n. 2872 del 2022 (indicato soltanto nei motivi aggiunti) è un ordinario decreto di intercettazioni telefoniche, rispetto al quale il richiamo, contenuto in ricorso, alla disciplina del captatore informatico non è pertinente.
2.5.2. Il decreto rit. n. 3123 del 2022 (indicato soltanto nei motivi aggiunti) autorizza l’intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche e/o telematiche nonché l’intercettazione delle conversazioni o comunicazioni tra presenti attraverso l’impiego di un captatore informatico da introdurre nel telefono cellulare (specificamente individuato) di NOME COGNOME. Il decreto si rifà ai principi delle
Sezioni Unite COGNOME ritenendoli, correttamente, applicabili ai procedimenti iscritti entro il 31 agosto 2020, così dando per presupposto che l’intercettazione, seppure autorizzata nel 2022, concerne un fatto-reato, ricondotto all’art. 416-bis cod. pen., iscritto nel registro ex art. 335 cod. proc. pen. entro il 31 agosto 2020.
Questa circostanza processuale non risulta contraddetta dal ricorrente, né smentita attraverso l’indicazione e la produzione di specifici atti processuali. L’onere di specificità e di autosufficienza del ricorso non può dirsi assolto dal ricorrente il quale, con i motivi aggiunti, ha riversato nel procedimento una mole vasta e indistinta di atti di indagine, così da demandare al giudice di legittimità il compito di esaminarli tutti e di individuare quelli, in ipotesi, rilevanti per la decisione.
2.5.3. Il decreto rit. n. 3619 del 2024 (primo motivo principale e motivo aggiunto) autorizza l’intercettazione di flussi di comunicazione informatica e telematica inerenti a un determinato dispositivo elettronico in uso a NOME COGNOME
La tipologia di intercettazione è quella prevista dall’art. 266bis cod. proc. pen., non contempla intercettazioni ambientali e, quanto al contenuto del decreto autorizzativo, non implica nessuno degli oneri argomentativi evocati in ricorso.
Pertanto, anche in questo caso, le censure del ricorrente risultano inconferenti.
2.5.4. Il decreto rit. n. 3620 del 2024 (primo motivo principale e motivo aggiunto) riguarda intercettazioni ambientali da effettuarsi mediante captatore informatico.
Il decreto non chiarisce se le intercettazioni afferiscano a un procedimento iscritto prima o dopo il 31 agosto 2020.
Dalla intestazione del decreto si ricava soltanto un numero di notizia di reato con il relativo anno (16683/2023 RGNR) che pare successivo al 31 agosto 2020; il dato, però, non è dirimente alla luce di quanto esposto nell’inquadramento generale degli istituti, ben potendo trattarsi della iscrizione di quel medesimo fatto-reato, originariamente iscritto nel 2017 (n. 7506/2017 RGNR) interessato anche dai decreti del 2022, che ha assunto un nuovo numero di registro generale per effetto di successiva separazione.
In ogni caso, anche ad ammettere che torni applicabile la disciplina del d. lgs. n. 216 del 2017, a differenza di quanto sostenuto in ricorso, venendo in rilievo un delitto di cui all’art. 51, comma 3bis cod. proc. pen., il decreto autorizzativo non deve indicare
, né deve precisare i luoghi e il tempo in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono.
La censura, mossa sul punto dal ricorrente, è pertanto infondata.
Opera invece l’obbligo di esporre con autonoma valutazione le specifiche ragioni che rendono necessario, in concreto, l’impiego del captatore per lo svolgimento delle indagini
Con il decreto in rassegna, il GIP ha offerto una motivazione congrua, autonoma e in concreto, così da giustificare il ricorso allo strumento del captatore, lì dove scrive: « ritenuto che l’utilizzo del captatore informatico sul dispositivo elettronico portatile indicato si rende necessario per lo svolgimento delle indagini avuto riguardo, nel caso in esame, alle particolari accortezze poste in essere dai soggetti coinvolti nelle indagini medesime al fine di evitare di esporsi agli accertamenti delle Forze dell’Ordine (cosi evitando, innanzitutto, come già emerso, dialoghi telefonici diretti, se non caratterizzati da linguaggio estremamente criptico, che rinvia ad interlocuzioni di presenza tenute in luoghi che, per le loro caratteristiche, assicurano la riservatezza delle stesse o altrimenti rimandando le comunicazioni a sistemi telematici alternativi); ritenuto, conseguentemente, che la richiesta di intercettazione ambientale mediante captatore informatico inserito nel dispositivo indicato può essere accolta, anche sotto il sopra già richiamato profilo della indispensabilità della medesima ai fini dell’approfondimento delle risultanze investigative sopra riferite non altrimenti acquisibile in ordine ai rapporti effettivamente esistenti tra i soggetti prima indicati ed alle attività delittuose tutte ancora in corso di svolgimento ». Si tratta di motivazione esistente e non affetta da vizi di motivazione, rispondente ai criteri di autonomia della valutazione e di concretezza.
La doglianza formulata dal ricorrente risulta, quindi, destituita di fondamento.
2.5.5. Quanto ai decreti esecutivi del Pubblico ministero, viene in rilievo il testo, non interessato dalle riforme in oggetto, dell’art. 268, comma 3, cod. proc. pen.; mentre la previsione del successivo comma 3-bis non è assistita da sanzione di inutilizzabilità.
Nella specie il Pubblico ministero ha spiegato, in maniera adeguata, le ragioni giustificatrici della deroga alla regola che impone di utilizzare gli impianti installati presso la Procura della Repubblica di Palermo: « con riferimento alla particolare configurazione dei luoghi ove l’intercettazione è stata disposta la ottimale e completa registrazione delle voci e dei suoni può essere garantita solo attraverso l’uso delle apparecchiature e strumenti (sistemi di trasmissi oni cd. wireless, sistema digitale per la codifica dei segnali e dispositivi per la connettività fino al sito di inoltro, ripetitori posizionati in prossimità dei luoghi di ascolto, etc.) tecnologicamente diversi dagli impianti ad oggi installati nei locali della Procura della Repubblica ; pertanto gli impianti di cui è dotata la Procura della Repubblica sono inidonei sotto il profilo tecnico a garantire la migliore registrazione delle conversazioni di cui si è disposta l’intercettazione ; conclusivamente che
in ragione della contestuale ricorrenza della inidoneità tecnica degli impianti installati nella Procura della Repubblica si versa in uno dei casi che autorizzano il Pubblico Ministero a disporre le operazioni di registrazione e di ascolto si svolgano a mezzo di impianti in dotazione alla polizia giudiziaria ».
Si giustifica in maniera congrua l’inidoneità tecnica degli impianti della Procura a fronte della necessità di utilizzare strumenti più avanzati di quelli a disposizione.
Pertanto la motivazione esaminata, con la quale non si confronta nello specifico il ricorrente, si pone in linea con il principio fissato da Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, Aguneche, Rv. 236754 -01, secondo cui l’obbligo di motivazione del decreto del pubblico ministero che dispone l’utilizzazione di impianti diversi da quelli in dotazione all’ufficio di Procura non è assolto col semplice riferimento alla “insufficienza o inidoneità” degli impianti stessi (che ripete il conclusivo giudizio racchiuso nella formula di legge), ma richiede la specificazione delle ragioni di tale carenza che in concreto depongono per la ritenuta “insufficienza o inidoneità”.
Non vi è dubbio che la giustificazione ‘tecnica’ offerta, non astratta ma concreta, risulti accurata e renda conto della deroga alla modalità ordinaria prescritta dalla disposizione esaminata.
Il motivo di ricorso si rivela, dunque, anche sotto questo profilo infondato.
Le residue pretese del ricorrente (circa il fatto che sia il decreto del GIP a dover autorizzare il ricorso ad impianti esterni alla Procura e circa la mancata ricerca, da parte del PM, di società private capaci di eseguire le intercettazioni ambientali con il captatore tramite i server della Procura) non trovano alcun aggancio normativo oltre a presupporre condizioni inattuabili.
2.5.6. A completamento dell’analisi del motivo di ricorso, va aggiunto che il ricorrente neppure ha rispettato l’ulteriore onere di chiarire l’incidenza del denunciato vizio di inammissibilità sul compendio indiziario valutato, sì da potersene inferire la decisività rispetto alla tenuta complessiva del provvedimento impugnato (cfr. per tutte Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416).
Il secondo motivo è fondato nei limiti di seguito indicati.
3.1. Il tema del concorso apparente di norme tra l’art. 416bis cod. pen. e l’art. 74 T.U stup. è privo di fondamento.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, l’unico criterio idoneo a dirimere i casi di concorso apparente di norme è da rinvenirsi nel principio di specialità ex art. 15 cod. pen., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l’implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 270902; Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, COGNOME, Rv. 269668; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di
COGNOME, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 248865; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, COGNOME, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, COGNOME, Rv. 232302).
Il principio di specialità, che assurge a criterio euristico di riferimento (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, in motivazione), consente alla legge speciale di derogare a quella generale, nel caso in cui le diverse disposizioni penali regolino la “stessa materia”.
Deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l ‘ ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, cit.). Il criterio di specialità deve intendersi e applicarsi in senso logico-formale. Il presupposto della convergenza di norme risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato (Sezioni Unite La Marca, cit.).
Orbene l’art. 416bis cod. pen., sotto la rubrica “associazione di tipo mafioso”, punisce, al primo comma, «chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone» e, al secondo comma, «coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione». Il terzo comma afferma che: «l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».
L’art. 74 T.U. stup. stabilisce che si è in presenza di una “associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope” quando «tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 70, commi 4, 6 e 10 … ovvero dall’articolo 73.
Il confronto strutturale, attuato mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire il reato di associazione mafiosa e quello di narcotraffico, consente di escludere che le due diverse disposizioni penali regolino la “stessa materia”: l’unico nucleo comune è rappresentato dall’esistenza di una associazione, i cui caratteri intrinseci, però, così come i relativi delitti-scopo, si
differenziano, senza porsi in rapporto di specificazione e di continenza (cfr. per tutte Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, dep. 2009, Magistris).
3.2. La censura è fondata, invece, sul tema, concettualmente diverso, della effettiva sussistenza, nel caso concreto, di una associazione di narcotraffico operante nell’ambito dell’associazione mafiosa, ma da questa distinta.
Il tema, ripreso nel ricorso, era già stato sollevato nella memoria depositata al Tribunale del riesame, ma non viene toccato dall’ordinanza impugnata, se non per un laconico, quanto inutile accenno a una ‘diversità di scopi’ (pag. 20 ordinanza impugnata), con conseguente prodursi di un evidente vizio argomentativo che, in questi termini, comporta l’accoglimento del motivo di ricorso.
Il terzo motivo contesta l’attribuzione al ricorrente di un ruolo apicale nei due reati associativi (capi 1 e 35) e chiede di riqualificare le condotte come di mera partecipazione.
Fermo restando che, in ogni caso, la questione riferita al capo 35) è assorbita dall’accoglimento del secondo motivo, va rilevata l’inammissibilità del motivo per carenza di interesse.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, in tema di procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante o, come nella specie, una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull’ an o sul quomodo della misura (cfr. tra le altre Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, Renna, Rv. 284489 – 01).
La qualificazione della posizione dell’associato (come apicale o meno) all’interno dell’organismo associativo è irrilevante nella fase cautelare, trattandosi di elemento privo di riflessi sui presupposti della misura cautelare e sulla sua durata.
Il quarto, il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo e il nono motivo denunciano vizi motivazionali circa la ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza dei delitti-scopo.
Si tratta di motivi nuovi, non dedotti nel precedente giudizio di impugnazione, come tali inammissibili (cfr. Sez. 5, n. 42838 del 27/02/2014, COGNOME, Rv. 261243 – 01; Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, COGNOME, Rv. 282460 – 02).
Invero, anche in sede cautelare, la parte che propone richiesta di riesame, per la natura di mezzo di gravame della stessa, è tenuta ad articolare appositi motivi, sicché, ove successivamente proponga ricorso per cassazione avverso la
decisione del tribunale del riesame, è tenuta a dedurre motivi corrispondenti a quelli con i quali erano state fatte valere le questioni a questo prospettate, pena l’inammissibilità delle deduzioni, siccome nuove (cfr. tra le ultime Sez. 3, n. 29366 del 23/04/2024, COGNOME, Rv. 286752 – 01).
Il decimo motivo, che contesta la configurabilità delle circostanze aggravanti di cui agli artt. 416bis .1 cod. pen. e 629, comma secondo, in relazione all’art. 628, comma terzo n. 3), cod. pen., presenta vari profili di inammissibilità.
Il ricorrente allega il proprio interesse alla esclusione delle aggravanti, individuandolo nella necessità di escludere l’operatività delle presunzioni ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Ma, a parte che il discorso può valere al più per l’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen. e non per l’altra, è sufficiente osservare che il giudice per le indagini preliminari non ha fatto ricorso alle presunzioni, ravvisando le esigenze cautelari nel pericolo di reiterazione del reato e, in particolare per il ricorrente, nel pericolo di fuga; il medesimo giudice ha poi spiegato le ragioni che lo hanno indotto a ritenere la custodia in carcere come unica misura idonea a fronteggiare la pregnanza di tali esigenze (cfr. infra paragrafo 7)
Comunque il motivo si affida a deduzioni generiche, in fatto e meramente assertive.
Rispetto alla aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., il ricorrente non si confronta con la motivazione dell’ordinanza impugnata, la quale, per ciascuna condotta, verifica la sussistenza della aggravante (cfr. pagg. 17-19 per le estorsioni e pag. 21 per i reati di cui all’art. 73 T.U. stup. in relazione alla espressa rivendicazione della riferibilità all’associazione mafiosa del commercio di droga da parte di Stagno).
Mentre il tema del rapporto tra l’aggravante del metodo mafioso e aggravante di cui all’art. 628, comma terzo n. 3) cod. pen. (controverso in giurisprudenza cfr. Sez. 1, n. 39836 del 19/04/2023, Rv. 285059 – 01; diff. Sez. 2, n. 15429 del 08/03/2024, Rv. 286280 – 01 e Sez. 2, n. 21616 del 18/04/2024, Rv. 286433 01) risulta, ancora una volta, sterile sotto il profilo degli effetti concreti, anche soltanto a considerare che, nella specie, l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. residuerebbe, in ogni caso, sub specie di agevolazione mafiosa.
È manifestamente infondata, oltre che irrilevante, l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, prima parte, cod. proc. pen., sollevata con l’undicesimo motivo.
7.1. La norma sospettata di incostituzionalità stabilisce che nei procedimenti per i reati di cui agli artt. 270, 270bis e 416bis cod. pen. del codice penale, ove
ricorra la condizione della gravità indiziaria, il giudice dispone senz’altro l’applicazione della misura cautelare della custodia carceraria, «salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari».
«La previsione ora ricordata racchiude una duplice presunzione. La prima, a carattere relativo, attiene alle esigenze cautelari, che il giudice deve considerare sussistenti, quante volte non consti la prova della loro mancanza (prova di tipo negativo, dunque, che deve necessariamente proiettarsi su ciascuna delle fattispecie identificate dall’art. 274 cod. proc. pen.). La seconda, a carattere assoluto, concerne la scelta della misura: ove la presunzione relativa non risulti vinta, subentra un apprezzamento legale, vincolante e incontrovertibile, di adeguatezza della sola custodia carceraria a fronteggiare le esigenze presupposte, con conseguente esclusione di ogni soluzione ‘intermedia’ tra questa e lo stato di piena libertà dell’imputato » (così Corte Cost. sentenza n. 265 del 2010).
Questo modello determina una significativa attenuazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti applicativi della custodia cautelare in carcere.
Difatti secondo un indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità «la presunzione relativa di pericolosità sociale posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. determina la necessità che il giudice, senza dover dar conto della ricorrenza dei pericula libertatis , si limiti a apprezzare le ragioni della sua esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le quali, in particolare, rilevano sia il fattore “tempo trascorso dai fatti”, che deve essere parametrato alla gravità della condotta, sia la rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, desumibile da indicatori concreti, quali le attività risocializzanti svolte in regime carcerario, volte al reinserimento nel circuito lavorativo lecito, nonché l’assenza di comportamenti criminali» (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 806 del 27/09/2023, dep. 2024, S., Rv. 285879 – 01).
Una volta che la presunzione relativa non viene superata, scatta la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, il che solleva il giudice dagli oneri motivazionali ordinariamente richiesti dalla seconda parte delle lettere c) e cbis) dell’art. 292, comma 2, cod. proc. pen .
A seguito di ripetuti interventi legislativi, i ridetti marcati profili di scostamento dal regime ordinario sono attualmente circoscritti ai reati di cui agli artt. 270, 270bis e 416bis cod. pen. del codice penale.
In tali limiti, la previsione ha ripetutamente superato il vaglio tanto della Corte Costituzionale quanto della Corte Edu.
In particolare, con l’ordinanza n. 450 del 1995, la Corte costituzionale aveva escluso che la presunzione in parola violasse gli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost., rilevando che se la verifica della sussistenza delle esigenze cautelari («l’an della cautela») non può prescindere da un accertamento in
concreto, l’individuazione della misura da applicare («il quomodo») non comporta indefettibilmente l’affidamento al giudice di analogo potere di apprezzamento, potendo la scelta essere effettuata anche in termini generali dal legislatore, purché «nel rispetto del limite della ragionevolezza e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti» (in senso analogo, sul punto, ordinanze n. 130 del 2003 e n. 40 del 2002). Nella specie, deponeva nel senso della ragionevolezza della soluzione adottata «la delimitazione della norma all’area dei delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso», tenuto conto del «coefficiente di pericolosità per le condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva che agli illeciti di quel genere è connaturato».
Negli stessi termini si è posta la Corte costituzionale con la sentenza n. 265 del 2010 (che pure ha dichiarato l’illegittimità della norma per altre ipotesi di reato) lì dove identifica la ratio della presunzione assoluta di adeguatezza riferita all’art. 416-bis cod. pen. nella circostanza che: «dalla struttura stessa della fattispecie e dalle sue connotazioni criminologiche -connesse alla circostanza che l’appartenenza ad associazioni di tipo mafioso implica un’adesione permanente ad un sodalizio criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice -deriva, nella generalità dei casi concreti ad essa riferibili e secondo una regola di esperienza sufficientemente condivisa, una esigenza cautelare alla cui soddisfazione sarebbe adeguata solo la custodia in carcere (non essendo le misure ‘minori’ sufficienti a troncare i rapporti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandone la pericolosità)».
E, successivamente, è stata sufficiente un’ordinanza per bollare di inammissibilità per manifesta infondatezza l’incidente di costituzionalità promosso su identici presupposti (cfr. ordinanza n. 136 del 2017).
La Consulta è tornata, anche di recente, ad occuparsi della tenuta costituzionale della norma incriminata, questa volta sul fronte dell’art. 270-bis cod. pen. e, anche in detta circostanza, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma e 27, secondo comma, della Costituzione, dal giudice ordinario (sentenza n. 191 del 2020).
“A sua volta, la Corte di Strasburgo -pronunciando su un ricorso volto a denunciare l’irragionevole durata della custodia cautelare in carcere applicata ad un indagato per il delitto di cui all’art. 416 -bis cod. pen. e la conseguente violazione dell’art. 5 , paragrafo 3, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo non aveva mancato di rilevare come una presunzione quale quella prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. potesse, in effetti, «impedire al giudice di adattare la misura cautelare alle esigenze del caso
concreto» e, dunque, «apparire eccessivamente rigida». Nondimeno, secondo la Corte europea, la disciplina in esame rimaneva giustificabile alla luce «della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata e soprattutto di quella di stampo mafioso», e segnatamente in considerazione del fatto che la carcerazione provvisoria delle persone accusate del delitto in questione «tende a tagliare i legami esistenti tra le persone interessate e il loro ambito criminale di origine, al fine di minimizzare il rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture delle organizzazioni criminali e possano commettere nel frattempo delitti» – sentenza 6 novembre 2003, Pantano contro Italia-” (così Corte costituzionale sentenza n. 265 del 2010, cit.).
7.2. L’eccezione di incostituzionalità sollevata dal ricorrente è, inoltre, priva di rilevanza nel caso di specie, dato che l’ordinanza genetica non si è arrestata alla presunzione assoluta ma ha offerto una motivazione in merito sia alle esigenze cautelari sia alla inadeguatezza di misure cautelari meno afflittive (pagg. 434-436 ordinanza genetica), evidenziando, proprio per la posizione di Stagno, la sussistenza di un concreto e attuale pericolo di fuga (pagg. 436 e ss. ordinanza genetica) tanto da averne convalidato il fermo.
Discende che il provvedimento impugnato deve essere annullato limitatamente al reato di cui al capo 35) con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo. Il ricorso va rigettato nel resto.
La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 35) con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Palermo. Rigetta nel resto il ricorso.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 23/07/2025