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Captatore informatico: Cassazione e regole d’uso

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità delle intercettazioni effettuate tramite captatore informatico (trojan) in un procedimento per associazione di tipo mafioso. La sentenza chiarisce la disciplina applicabile a questo potente strumento investigativo, distinguendo in base al tipo di reato e alla data di iscrizione del procedimento. Pur confermando la validità delle intercettazioni nel caso di specie, la Corte ha annullato con rinvio la decisione riguardo al concorso tra il reato di associazione mafiosa e quello di associazione finalizzata al narcotraffico, a causa di un difetto di motivazione sulla reale esistenza di due distinte strutture criminali.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Captatore Informatico e Reati di Mafia: Le Regole d’Uso secondo la Cassazione

L’evoluzione tecnologica pone costantemente nuove sfide al diritto, specialmente in ambito penale. L’uso del captatore informatico, comunemente noto come ‘trojan’, è uno degli strumenti investigativi più potenti e invasivi a disposizione degli inquirenti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sulle complesse regole che ne disciplinano l’impiego, in particolare nei procedimenti per criminalità organizzata, e chiarisce un importante aspetto sul concorso di reati tra associazione mafiosa e narcotraffico.

I Fatti del Caso: Associazione Mafiosa e Intercettazioni Tecnologiche

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Palermo nei confronti di un soggetto accusato di far parte, con un ruolo di vertice, di una famiglia mafiosa affiliata a ‘cosa nostra’. Le accuse a suo carico erano numerose e gravi: dal reato associativo previsto dall’art. 416-bis c.p., a un’autonoma associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 T.U. stup.), passando per estorsioni, gioco d’azzardo clandestino e commercio di droga.

La difesa dell’indagato ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni, ma concentrandosi principalmente su due punti nevralgici: l’inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite tramite captatore informatico e l’errata contestazione di un doppio reato associativo.

La Questione del Captatore Informatico: Quando è Legittimo?

La Corte di Cassazione ha rigettato le censure relative all’uso del trojan, cogliendo l’occasione per delineare con precisione il quadro normativo di riferimento. La disciplina, infatti, non è univoca, ma varia in base a due fattori: la data di iscrizione del procedimento e la natura del reato per cui si procede.

La Disciplina Applicabile: Una Questione di Tempo

Il discrimine temporale fondamentale è il 1° settembre 2020. I procedimenti iscritti prima di tale data seguono un regime più ‘giurisprudenziale’, mentre quelli successivi sono regolati dalla nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. 216/2017. Questa distinzione è cruciale perché determina gli specifici oneri motivazionali a carico del giudice che autorizza l’intercettazione.

L’impiego del captatore informatico nei reati di criminalità organizzata

Per i reati di criminalità organizzata, come l’associazione mafiosa, la legge prevede un regime speciale e derogatorio. Il captatore informatico può essere utilizzato per intercettazioni ambientali anche in luoghi di privata dimora (case, auto) senza la necessità di dimostrare che in quel preciso momento vi si stia svolgendo un’attività criminosa.

Tuttavia, la normativa più recente ha introdotto un requisito fondamentale: il decreto di autorizzazione del GIP deve contenere una ‘motivazione rafforzata’. Il giudice deve, cioè, indicare ‘le ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini’. Non basta una motivazione generica, ma occorre una valutazione autonoma e concreta che spieghi perché l’uso del trojan sia indispensabile rispetto ad altri strumenti investigativi meno invasivi. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la motivazione fornita dal GIP fosse adeguata, in quanto giustificava la necessità dello strumento con le particolari accortezze usate dagli indagati per eludere le investigazioni tradizionali.

Associazione Mafiosa e Narcotraffico: Due Reati o Uno Solo?

Su questo punto, la Cassazione ha invece accolto il ricorso. La difesa sosteneva che non si fosse in presenza di due associazioni criminali distinte (una mafiosa e una dedita al narcotraffico), ma di un’unica associazione mafiosa che, tra le sue varie attività, gestiva anche il traffico di droga. Si tratterebbe, quindi, di un concorso apparente di norme e non di un concorso reale di reati.

Il Vizio di Motivazione

La Corte ha rilevato che il Tribunale del riesame aveva liquidato la questione con un accenno laconico a una ‘diversità di scopi’, senza però argomentare in modo concreto e specifico l’esistenza di una seconda struttura organizzativa, autonoma e distinta rispetto al clan mafioso. Per contestare entrambi i reati associativi, non è sufficiente che l’associazione mafiosa persegua anche fini di narcotraffico. È necessario dimostrare che, per gestire questo traffico, sia stata creata una struttura separata, con propri uomini e mezzi, distinta da quella del sodalizio mafioso principale. La mancanza di questa prova e di una motivazione adeguata sul punto ha portato all’annullamento con rinvio dell’ordinanza limitatamente al capo d’accusa relativo all’art. 74 T.U. stup.

le motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su un’attenta ricostruzione della successione di leggi in materia di intercettazioni tramite captatore informatico. Ha chiarito che, per i reati di criminalità organizzata, la disciplina speciale consente un uso più ampio dello strumento, ma le riforme più recenti impongono al giudice un onere di ‘motivazione rafforzata’ sulla necessità del suo impiego. Questa motivazione è stata ritenuta esistente e congrua nel decreto impugnato. Per quanto riguarda il concorso tra i reati associativi, la Corte ha ribadito il principio secondo cui, per affermare la sussistenza di un’autonoma associazione per il narcotraffico operante nell’ambito di un’associazione mafiosa, è necessaria la prova di un’effettiva alterità strutturale e organizzativa. Il Tribunale del riesame non aveva fornito tale prova, cadendo in un vizio di motivazione che ha imposto l’annullamento parziale della decisione. Infine, gli altri motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili perché riguardavano questioni di merito non sollevate nei precedenti gradi di giudizio.

le conclusioni

Questa sentenza offre due importanti indicazioni pratiche. In primo luogo, consolida la legittimità dell’uso del captatore informatico come strumento essenziale nella lotta alla criminalità organizzata, sottolineando però il dovere dei giudici di motivare in modo puntuale e non stereotipato la sua indispensabilità. In secondo luogo, pone un freno alla possibile duplicazione automatica delle accuse associative: per contestare sia il 416-bis c.p. sia il 74 T.U. stup., l’accusa deve fornire la prova rigorosa dell’esistenza di due distinte e autonome organizzazioni criminali, evitando che le molteplici attività di un clan mafioso si traducano in un ingiustificato cumulo di reati.

Quando è legittimo usare un ‘captatore informatico’ (trojan) per le intercettazioni?
La sua legittimità dipende dal tipo di reato e dalla data di inizio del procedimento. Per i reati di criminalità organizzata, il suo uso è consentito in modo più ampio, anche in luoghi di privata dimora, a condizione che il giudice fornisca una ‘motivazione rafforzata’ sulla concreta necessità di ricorrere a tale strumento rispetto ad altri meno invasivi.

Una persona affiliata a un clan mafioso che gestisce il narcotraffico risponde di due reati associativi distinti (mafia e traffico di droga)?
Non automaticamente. La Cassazione ha chiarito che per contestare entrambi i reati è necessario dimostrare l’esistenza di due strutture organizzative separate e autonome. Se è la stessa associazione mafiosa a gestire il traffico di droga come una delle sue attività, si configura un solo reato associativo, quello di stampo mafioso.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato in parte la decisione?
La Corte ha annullato l’ordinanza limitatamente all’accusa di associazione finalizzata al narcotraffico a causa di un ‘vizio di motivazione’. Il giudice del riesame non aveva spiegato adeguatamente le ragioni per cui riteneva esistente una struttura criminale dedicata al narcotraffico che fosse distinta e autonoma rispetto al clan mafioso principale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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