Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31601 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31601 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME, nato a Taranto il DATA_NASCITA NOME NOME, nato a Bari il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/02/2023 della Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi, come da memoria scritta depositata; udito in difesa delle parti civili COGNOME NOME e COGNOME COGNOME l’AVV_NOTAIO, che ha depositato conclusioni scritte e nota spese; udito il difensore dei ricorrenti, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro ha prosciolto gli imputati COGNOME e COGNOME dai delitti di calunnia loro ascritti, perché estintisi per intervenuta prescrizione, tuttavia confermandone la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite NOME COGNOME ed NOME COGNOME.
Si addebita loro, allora sottufficiali dei Carabinieri in servizio presso la stazione di Rose, in Calabria, di avere, con diverse denunce presentate a varie Procure della Repubblica territoriali, accusato il m.11o COGNOME, all’epoca comandante della predetta stazione e loro superiore, ed il NOME di averli calunniati e di aver reso false dichiarazioni al Pubblico ministero.
Escussi dall’autorità giudiziaria inquirente nell’àmbito di un procedimento relativo ad un illecito acquisto di stupefacente da parte del NOME, quest’ultimo ed il rn.11o COGNOME avevano reso una ricostruzione degli accadimenti del tutto divergente rispetto a quella esposta da COGNOME e COGNOME nei loro atti.
Ne era nato un procedimento a carico di questi ultimi, che si è poi concluso con la loro condanna definitiva per falso ideologico e violenza privata, essendosi accertato che essi avessero simulato un acquisto di stupefacente da parte del NOME.
In pendenza del procedimento a loro carico, NOME e NOME avevano tuttavia sporto le anzidette denunce, risultate tutte archiviate.
Il presente procedimento è, dunque, nato dalla successiva denuncia sporta nei loro confronti dal NOMENOME
Ricorrono per cassazione avverso la decisione della Corte di appello gli imputati, con unico atto del loro comune difensore, al fine di ottenere l’annullamento delle statuizioni in favore delle parti civili.
2.1. Essi deducono l’insussistenza del reato, rilevando di non aver mai accusato di calunnia nei loro confronti il m.11o COGNOME ed il COGNOME, ma di aver soltanto evidenziato con le loro denunce alcune specifiche circostanze di fatto da costoro riferite in modo non veritiero, sia in fase d’indagini che in dibattimento. Non pertinente, in proposito, sarebbe perciò il rilievo contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui, denunciando quelle specifiche affermazioni come non veritiere, COGNOME e COGNOME intendessero sostanzialmente screditare i loro principali accusatori nel processo che li vedeva imputati, perché – replica la difesa – ai fini della configurabilità della calunnia rilevano esclusivamente le affermazioni rese, non le ragioni ad esse sottostanti.
Tanto premesso, il ricorso, riportando in dettaglio le dichiarazioni d’interesse, sostiene che la Corte d’appello sia incorsa in un travisamento probatorio,
omettendo di rilevare come l’istruttoria dibattimentale abbia in realtà confermato la falsità delle dichiarazioni di COGNOME e NOME denunciata dagli odierni ricorrenti su alcuni profili decisivi per la ricostruzione dei fatti, ovvero: conoscenza tra NOME e tale NOME, negata dal primo in fase d’indagini ma poi accertata in dibattimento; gli incontri avvenuti tra COGNOME e NOME tra il 2009 ed il 2011, invece da costoro negati; l’indicazione, da parte di quest’ultimo, della disponibilità, all’epoca del presunto acquisto simulato di droga, di un’autovettura “Volkswagen Passat”, in realtà già prima di allora distrutta da un incendio; l’affermazione del m.11o AVV_NOTAIO secondo cui NOME e NOME non lo avrebbero messo al corrente della natura simulata dell’acquisto di droga da parte di NOME, ciò di cui, tuttavia, quegli non aveva dato atto nella relativa informativa da lui redatta e sottoscritta.
Inoltre, nella parte in cui ritiene credibili le dichiarazioni del NOME, la Corte d’appello è smentita dal contrario giudizio contenuto nella sentenza che ha definito la vicenda dell’acquisto simulato di droga, nonché dalla sottoposizione di costui a misura di prevenzione proprio perché gravato da precedenti in materia di stupefacenti, invece erroneamente esclusi dal decreto di archiviazione delle accuse rivoltegli da COGNOME e COGNOME; e, ancora, laddove ritiene il narrato di costui confermato da tale Rigieri, la sentenza trascura che egli ha in realtà riferito di aver avuto rapporti con un certo COGNOME.
Infine, riguardo all’analogo giudizio di attendibilità delle dichiarazioni di COGNOME, il ricorso lamenta la mancata considerazione delle sentenze che lo hanno dichiarato colpevole di aver falsificato la firma del collega COGNOME nel verbale di sottoposizione agli arresti domiciliari del già ricordato COGNOME.
2.2. La difesa, poi, deduce l’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta esistenza del dolo, rilevando che questo debba escludersi qualora la convinzione della colpevolezza dell’accusato, quantunque errata, si fondi su elementi di fatto seri e concreti e non soltanto su semplici supposizioni.
Inoltre, premesso che l’archiviazione per una delle accuse formulate dagli imputati contro NOME sarebbe stata disposta senza alcuna indagine, ma solamente in ragione della ritenuta inutilizzabilità di un’intercettazione posta a fondamento della relativa denuncia, il ricorso deduce che quella stessa conversazione non possa essere utilizzata neppure per provare la natura calunniosa della denuncia, sicché detta archiviazione non sarebbe idonea a fondare un giudizio di colpevolezza per calunnia.
Il AVV_NOTAIO generale ha depositato una memoria scritta, con cui conclude per l’inammissibilità del ricorso.
Ha depositato una memoria anche la difesa ricorrente, riproponendo testualmente il ricorso ed altresì ribadendo, in particolare: l’irrilevanza dei provvedimenti di archiviazione delle denunce sporte dagli odierni ricorrenti, poiché naturalmente caduchi nonché, nello specifico, adottati senza compiere indagini e fondati su valutazioni erronee; e comunque il difetto di dolo, considerando la circostanza per cui dette denunce fossero state sorrette da specifica produzione documentale.
Si contesta, inoltre, la valutazione di genericità dell’impugnazione formulata dal AVV_NOTAIO generale nella sua memoria, evidenziandosi il puntuale confronto invece operato dal ricorso con le emergenze probatorie valorizzate in sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione è inammissibile, per l’aspecificità dei motivi e per la strumentalità della stessa ad una rivalutazione del materiale probatorio, non consentita in sede di legittimità.
Il ricorso, invero, si risolve sostanzialmente nella riproposizione delle doglianze rassegnate con l’atto d’appello, senza la denuncia di evidenti incongruenze logiche nel tessuto argomentativo della decisione, ma semplicemente di un’erronea od incompleta valutazione del materiale istruttorio, rappresentata come un travisamento probatorio, che in realtà, però, tale non è.
2.1. Perché esso possa ravvisarsi, infatti, è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco dell’elemento di prova e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato dimostrativo di tale elemento (tra molte, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, COGNOME, Rv. 272406; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702). Tale vizio, infatti, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, in quanto rende illogica la motivazione per l’essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758), gravando sul ricorrente l’onere di indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085).
2.2. Tutto questo, nel ricorso in esame, non si rinviene.
La difesa prova soltanto a “scomporre” l’accusa, esaminando partitamente le singole circostanze di fatto rappresentate dagli imputati nelle loro denunce giudicate calunniose ed assumendone, invece, la veridicità, quanto meno putativa.
Tale operazione, tuttavia, per un verso, si rivela puramente speciosa, nel momento in cui si tratta di una pluralità di circostanze di rilevanza essenziale per la complessiva ricostruzione della vicenda oggetto delle dichiarazioni divergenti e delle reciproche accuse, e dunque di aspetti di fatto tali da dovere essere necessariamente valutati nel loro insieme. Per l’altro, non si misura criticamente con le spiegazioni che, su tutti quegli aspetti, ha comunque offerto la sentenza: dalle incongruenze di NOME, al fatto che il m.11o COGNOME non avesse indicato, nella relativa informativa di reato da lui redatta, la natura simulata dell’acquisto di droga di costui (si leggano le pagg. 8 s.).
D’altro canto, non può reputarsi concludente il contrasto di valutazione delle varie sentenze sull’attendibilità di COGNOME e di COGNOME, nel momento in cui tale dato viene addotto in sé e per sé, senza cioè essere sorretto dall’allegazione di puntuali circostanze riferibili al caso concreto e che permettano di apprezzare un deficit di credibilità di costoro e delle loro dichiarazioni in relazione agli specifici fatti di causa.
Eguale limite di genericità presenta anche il motivo riguardante il dolo, una volta ritenuta la non veridicità delle circostanze denunciate dagli odierni ricorrenti e se si consideri il loro qualificato ruolo di operatori di polizia giudiziaria.
Val la pena solamente osservare, allora, sul punto, che non ha fondamento giuridico l’osservazione difensiva per cui non potrebbe essere utilizzata per la prova della calunnia la conversazione ritenuta inutilizzabile per la dimostrazione del fatto di reato falsamente denunciato: al contrario, infatti, è del tutto fisiologico che l’inutilizzabilità di un elemento per la prova di un dato fatto di reato, a causa della sua contrarietà alla legge processuale (si pensi, per esempio, ad un documento anonimo o contraffatto, ad un’intercettazione abusiva o ad una dichiarazione estorta)A icostituiga un emento sintomatico della natura costruita della relativa accusa, assumendo perciò valenza decisiva ai fini della prova della natura calunniosa di essa.
All’inammissibilità dell’impugnazione consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna dei proponenti al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una loro assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta
somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro per ognuno di essi.
5. In quanto soccombenti, i ricorrenti – a norma dell’art. 592, comma 4, cod. proc. pen. – sono tenuti a rifondere alle parti civili le spese di costituzione e difesa in giudizio, che, considerando l’impegno difensivo non particolarmente significativo, si stima equo liquidare come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, i ricorrenti a rifondere alle parti civili COGNOME NOME e COGNOME NOME le spese di rappresentanza e difesa del presente grado, che liquida in euro 3.686,00, oltre accessori, in favore di ciascuna.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2024.