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Calunnia: quando la denuncia contro un giudice è reato

Un cittadino, ritenendosi ingiustamente trattato in una procedura esecutiva, ha denunciato un giudice onorario per abuso d’ufficio. Il procedimento per calunnia si era concluso con un proscioglimento per particolare tenuità del fatto. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando vizi procedurali e l’assenza di dolo, sostenendo di aver solo esercitato il proprio diritto di critica. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando che accusare falsamente un magistrato di un reato, con la consapevolezza della sua innocenza, integra il delitto di calunnia. La Corte ha inoltre precisato che il superamento dei termini delle indagini preliminari non comporta la nullità dell’azione penale e che la successiva scoperta di errori formali nei provvedimenti del giudice non esclude il dolo di calunnia.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Calunnia: Quando la Denuncia Contro un Giudice Diventa Reato

La critica all’operato di un magistrato è un diritto, ma quando supera certi limiti può integrare il grave reato di calunnia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, tracciando ancora una volta la sottile linea di demarcazione tra legittimo dissenso e accusa infondata. La vicenda riguarda un cittadino che, sentendosi vittima di un’ingiustizia in un procedimento civile, ha denunciato il giudice per abuso d’ufficio, finendo a sua volta imputato per calunnia.

I Fatti del Caso: La Denuncia Contro il Magistrato

Tutto ha origine da una procedura esecutiva immobiliare in cui un cittadino risultava soccombente. Convinto che il giudice onorario incaricato del caso avesse agito illegittimamente per favorire la controparte, decideva di presentare una denuncia-querela per il reato di abuso d’ufficio. Il procedimento penale a carico del magistrato veniva, però, archiviato. Di conseguenza, si apriva un procedimento a carico del denunciante per il reato di calunnia.

Il Tribunale prima, e la Corte d’Appello poi, giungevano a una sentenza di non luogo a procedere per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), riconoscendo sì la sussistenza del reato di calunnia, ma ritenendolo di gravità talmente lieve da non meritare una condanna. L’imputato, non soddisfatto, decideva di ricorrere in Cassazione per ottenere un’assoluzione piena.

I Motivi del Ricorso e l’analisi sulla calunnia

L’imputato ha basato il suo ricorso su tre motivi principali, contestando sia aspetti procedurali che di merito.

Superamento dei Termini per le Indagini

In primo luogo, il ricorrente sosteneva che l’azione penale fosse stata esercitata in ritardo dal Pubblico Ministero, oltre i termini massimi previsti per le indagini preliminari. Secondo la sua tesi, tale ritardo avrebbe dovuto comportare la nullità insanabile di tutti gli atti successivi.

La Cassazione ha respinto questa argomentazione, ribadendo un principio consolidato: la scadenza dei termini per le indagini non determina la decadenza del potere del PM di esercitare l’azione penale. L’unica conseguenza è, al più, l’inutilizzabilità delle prove raccolte dopo la scadenza, ma non la nullità dell’intero procedimento.

Errata Applicazione della ‘Particolare Tenuità del Fatto’

In secondo luogo, l’imputato lamentava che il proscioglimento per tenuità del fatto gli avesse precluso il diritto a una difesa completa e a un’assoluzione nel merito. Sosteneva che, con le nuove regole della Riforma Cartabia, si sarebbe dovuti giungere a un proscioglimento per assenza di una ragionevole previsione di condanna.

Anche questo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha sottolineato come l’imputato, durante l’udienza preliminare, non si fosse opposto alla richiesta del PM di applicare la causa di non punibilità. Pertanto, non poteva dolersene in sede di legittimità, avendo perso l’occasione per chiedere un approfondimento dibattimentale.

La Sottile Linea tra Critica e Calunnia: l’Elemento del Dolo

Il punto centrale del ricorso riguardava l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato: il dolo. L’imputato affermava di aver agito nell’esercizio del diritto di critica e di difesa, e non con l’intento di accusare un innocente. A supporto, citava una successiva ordinanza della Cassazione civile che aveva dichiarato nullo il titolo esecutivo alla base della procedura originaria.

La Suprema Corte ha chiarito che il dolo di calunnia richiede la certezza, da parte dell’accusatore, dell’innocenza dell’incolpato. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva ampiamente dimostrato come le accuse mosse al giudice fossero totalmente infondate e non supportate da alcun elemento concreto. La successiva declaratoria di nullità del titolo esecutivo per un vizio puramente formale non era sufficiente a giustificare un’accusa così grave come l’abuso d’ufficio, che presuppone una violazione di legge o un favoritismo intenzionale.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha ritenuto la ricostruzione dei giudici di merito logica, coerente e priva di vizi. Le accuse mosse al magistrato non erano semplici critiche, ma l’attribuzione di un fatto specifico, falso e penalmente rilevante. L’imputato, pur avendo a disposizione gli strumenti processuali per contestare gli errori in iudicando o in procedendo, ha scelto la via della denuncia penale, consapevole dell’infondatezza delle sue accuse. La Corte ha evidenziato che la tutela della funzione giudiziaria è ‘rafforzata’ e che non si può mascherare un’accusa calunniosa dietro il paravento del diritto di critica, soprattutto quando si incolpa un magistrato nell’esercizio delle sue funzioni.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma principi fondamentali in materia di calunnia e di limiti al diritto di critica. Chiunque si senta leso da un provvedimento giudiziario deve utilizzare gli strumenti processuali previsti dall’ordinamento (appello, ricorso, ecc.) per far valere le proprie ragioni. La denuncia penale nei confronti di un magistrato è un atto gravissimo che, se basato su fatti che si sanno essere falsi, trasforma il denunciante in reo. La decisione della Cassazione serve da monito: la giustizia si cerca nelle aule di tribunale con gli strumenti della legge, non con accuse infondate che minano la credibilità e il corretto funzionamento del sistema giudiziario.

Cosa succede se il Pubblico Ministero esercita l’azione penale dopo la scadenza dei termini per le indagini?
Secondo la Corte di Cassazione, il mancato rispetto dei termini per la conclusione delle indagini preliminari non causa la nullità dell’azione penale. La conseguenza principale è l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini, ma non impedisce al Pubblico Ministero di formulare le sue richieste.

Accusare un giudice di un reato è sempre calunnia, anche se i suoi provvedimenti si rivelano errati?
No, non sempre. Si configura il reato di calunnia solo quando si accusa un giudice di un reato specifico sapendo che è innocente. La semplice critica, anche aspra, o la contestazione di errori tecnici o formali contenuti in un provvedimento, deve essere fatta valere tramite gli appositi mezzi di impugnazione. La denuncia penale diventa calunnia quando l’accusa è mossa con la certezza della sua falsità.

È possibile fare ricorso contro una sentenza di ‘non luogo a procedere per particolare tenuità del fatto’ per ottenere un’assoluzione piena?
Sì, l’imputato ha interesse a impugnare tale sentenza per ottenere un’assoluzione più favorevole (ad esempio, ‘perché il fatto non sussiste’). Tuttavia, come precisa la Corte nel caso di specie, se l’imputato non si oppone alla richiesta di applicazione della tenuità del fatto durante l’udienza preliminare, non può lamentarsi in seguito di non aver avuto un processo completo per dimostrare la sua piena innocenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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