Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26186 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26186 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato a Napoli il 29/09/1970
avverso la sentenza del 25/11/2024 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; udito l’avvocato NOME COGNOME difensore della parte civile NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la conferma delle statuizioni civili; udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20/06/2023, la Corte di appello di Milano, decidendo in sede di rinvio, confermava la sentenza emessa il 02/12/2020 dal Tribunale di Milano, con la quale NOME COGNOME era stato condannato per il reato di cui all’art. 368 cod. pen., per avere falsamente denunciato lo smarrimento di due assegni che erano, invece, stati consegnati a NOME COGNOME a garanzia di un
prestito ricevuto, così incolpando lo stesso COGNOME e i successivi portatori del titolo, di averli acquisiti fraudolentemente, pur sapendoli innocenti.
Con sentenza n. 13562 del 13/03/2024 la seconda Sezione di questa Corte annullava la pronuncia della Corte di appello rilevando, per quel che qui interessa, che la Corte non si era uniformata al principio di diritto formulato con la prima sentenza di annullamento, che imponeva una nuova valutazione del materiale probatorio al fine di verificare l’attendibilità della teste NOME COGNOME
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello, in sede di rinvio, ha confermato la condanna di primo grado.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato per i motivi di seguito sintetizzati.
2.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’elemento psicologico del reato, in quanto la Corte di appello, ritenendo attendibile il testimone NOME COGNOME non solo si è posta in palese contrasto con le valutazioni della Corte di appello di Napoli, che ha emesso sentenza divenuta irrevocabile in ordine al delitto di usura perpetrato da NOME COGNOME in danno del ricorrente, ma si è anche posta in contrasto con il principio di diritto enunciato nella prima sentenza di annullamento, che ha evidenziato che la circostanza che NOME COGNOME avesse avvertito NOME COGNOME del proposito di NOME COGNOME di incassare gli assegni era una «mera supposizione», inidonea sorreggere l’ipotesi accusatoria.
2.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello, ricostruita la lunga vicenda processuale, ha individuato il perimetro del suo giudizio sulla scorta della seconda sentenza di annullamento, che imponeva una nuova valutazione dell’attendibilità di NOME COGNOME alla luce delle restanti emergenze probatorie.
Ha, quindi, innanzi tutto analizzato il restante materiale probatorio e, segnatamente, le dichiarazioni rese dall’imputato e i documenti acquisiti, alla luce della sequenza temporale dei fatti. Sulla base di tali elementi, con motivazione logica e immune da vizi, ha ritenuto del tutto inverosimile che, nell’integrazione della denuncia di furto, l’imputato abbia inserito in maniera inconsapevole gli assegni dati in garanzia, sia perché tale denuncia è stata sporta dopo il ritrovamento del ciclomotore, dove gli assegni erano asseritamente custoditi, e dopo l’incasso del primo di essi, sia perché il ricorrente conosceva benissimo gli
estremi dei due titoli, di cui aveva anche copia, allegata alla scrittura privata con cui gli era stato concesso il prestito.
Del resto, ha osservato la Corte, lo stesso imputato ha riferito di essere stato contattato da NOME COGNOME prima che il primo assegno fosse messo all’incasso, anche se ha sminuito il contenuto di tale contatto, riferendolo a un mero sollecito alla restituzione del prestito già scaduto.
Dalla sequenza temporale analiticamente riscostruita (il 14/12/2017 è stato posto all’incasso il primo assegno a termini ampiamente scaduti, il 15/12/2017 è stata presentata l’integrazione di denuncia con una precisione di dettagli del tutto assenti nella prima denuncia) la Corte di appello ha correttamente dedotto che il contenuto della conversazione tra l’imputato e NOME COGNOME non poteva che essere coerente con quanto da quest’ultimo riferito.
A conferma dell’attendibilità del teste NOME è stata, poi, valorizzata la circostanza che l’imputato, pur avendo sostenuto di aver inserito per errore nell’integrazione di denuncia anche gli assegni consegnati a NOME COGNOME e pur essendosi impegnato a comunicarlo ai Carabinieri e all’Istituto di credito, non si era mai attivato in tale senso.
Né vi è alcuna contraddizione con quanto accertato nel processo per usura conclusosi a Napoli a carico di NOME COGNOME in quanto la sentenza della Corte d’appello di Napoli ha affermato «in termini ben più pregnanti che NOME aveva ricevuto da NOME l’avviso dell’imminente incasso degli assegni e non solo un sollecito ad adempiere» (pagina 12 sentenza impugnata).
Tale motivazione, coerente e non illogica, rende l’esito del relativo giudizio di merito non censurabile in questa sede.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142 – 01).
La sentenza di primo grado, cui quella di secondo grado rinvia, ha riconosciuto l’esistenza di una serie di elementi da valutare a favore dell’imputato l’incensuratezza, il corretto comportamento processuale, la restituzione della somma – e ha reputato che essi, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, conducessero all’applicazione delle attenuanti generiche, anche se non
nella loro massima estensione. Tale motivazione, del tutto adeguata e priva dei caratteri di illogicità, sfugge al sindacato di legittimità.
La parte civile ha chiesto di confermare le statuizioni della sentenza di secondo grado condannando l’imputato al pagamento di una provvisionale nella misura di euro 8000,00 oltre al pagamento delle ulteriori spese sostenute per il giudizio.
La richiesta di condanna a una provvisionale è inammissibile.
Infatti, la sentenza di primo grado recava una condanna generica al risarcimento del danno e la condanna al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva in favore della parte civile.
La sentenza di appello ha revocato la condanna al pagamento della provvisionale.
La prima sentenza della Corte di cassazione ha respinto il motivo di ricorso con cui si chiedeva l’estromissione della parte civile; in sede di rinvio la Corte di appello ha confermato le statuizioni civili della sentenza di primo grado.
La seconda sentenza di annullamento della Corte di cassazione ha annullato tale statuizione, per violazione del divieto di reformatio in pejus; in particolare, il divieto è stato ritenuto violato perché la condanna al pagamento della provvisionale era già stata annullata con la prima sentenza di secondo grado (Sez. 2, sentenza n.13562 del 13/03/2024, pag. 4).
La sentenza oggi impugnata ha, quindi, confermato la revoca della condanna al pagamento di una provvisionale, facendo corretta applicazione del principio di diritto appena riportato, e ha confermato, nel resto, la sentenza di primo grado che, come detto, recava una condanna generica al risarcimento del danno.
Da ciò consegue che è inammissibile la richiesta di provvisionale formulata dalla parte civile, perché sul punto si è già pronunciata questa Corte con la sentenza sopra indicata.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME COGNOME che vengono liquidate in complessivi euro 3.686,00.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di
rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME
NOMECOGNOME che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 21/05/2025.