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Calunnia e usura: denuncia assolta per dubbio sul dolo

Un cittadino, dopo aver denunciato ripetutamente un istituto di credito per usura su due contratti di mutuo, è stato accusato di calunnia. Assolto in primo grado per assenza di dolo, è stato poi condannato in appello. La Corte di Cassazione ha annullato la condanna, stabilendo che la presenza di un dibattito giuridico sull’inclusione degli interessi di mora nel calcolo del tasso soglia esclude la consapevolezza della falsità dell’accusa, elemento necessario per configurare il reato di calunnia.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Denuncia per usura e accusa di calunnia: la Cassazione fa chiarezza sul dolo

Quando una denuncia per usura si trasforma in un’accusa di calunnia? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20048/2024, offre un’importante chiave di lettura, sottolineando come un legittimo dubbio interpretativo sulla legge possa escludere il dolo, elemento fondamentale di questo reato. La vicenda analizzata dimostra che denunciare un fatto basandosi su un’interpretazione legale controversa non equivale ad accusare qualcuno sapendolo innocente.

I Fatti: Dalla Denuncia per Usura all’Accusa di Calunnia

La vicenda giudiziaria ha origine dalla denuncia di un cittadino contro i funzionari di un istituto di credito per il reato di usura, in relazione a due contratti di mutuo stipulati nel 2008 e nel 2013. Le sue accuse si basavano su una perizia tecnica, elaborata da un’associazione antiusura, che sosteneva il superamento del tasso soglia a causa degli interessi di mora.

Nonostante due precedenti denunce fossero state archiviate, l’uomo ne ha presentata una terza. Questa perseveranza ha portato il Pubblico Ministero e le parti civili a contestargli il reato di calunnia. In primo grado, il Tribunale lo ha assolto, ritenendo che avesse agito in buona fede, fidandosi dei calcoli dell’associazione. La Corte di Appello, tuttavia, ha ribaltato la decisione, condannandolo a due anni di reclusione. Secondo i giudici di secondo grado, la reiterazione della denuncia, nonostante le precedenti archiviazioni, dimostrava la piena consapevolezza dell’innocenza degli operatori bancari e, quindi, il dolo.

La Decisione della Corte di Appello e il Ricorso in Cassazione

La condanna in appello si fondava sull’idea che l’imputato, essendo a conoscenza delle precedenti decisioni di archiviazione, avesse agito con l’intento di accusare ingiustamente. L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte territoriale avesse errato nel valutare l’elemento psicologico del reato.

Il ricorrente ha evidenziato come le archiviazioni fossero basate su una specifica tesi giuridica – l’irrilevanza degli interessi di mora ai fini del calcolo del tasso usuraio – che all’epoca dei fatti era oggetto di un acceso dibattito giurisprudenziale. La sua buona fede, quindi, era supportata dall’esistenza di una tesi opposta, sostenuta da esperti e associazioni del settore, che ritenevano usurari i suoi mutui. La sua non era un’accusa basata su fatti inventati, ma su una diversa interpretazione di dati reali.

Le Motivazioni: la Calunnia richiede la certezza della falsità dell’accusa

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna senza rinvio perché “il fatto non sussiste”. Il ragionamento della Suprema Corte è stato netto e illuminante. Per configurare il delitto di calunnia, non è sufficiente che l’accusa si riveli infondata; è necessaria la prova certa che l’accusatore agisca con la piena e sicura consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato.

Nel caso di specie, questa certezza mancava del tutto. L’esistenza di un contrasto interpretativo sulla rilevanza degli interessi moratori non poteva essere ignorata. La Corte ha affermato che un dibattito giuridico così acceso rendeva del tutto plausibile che l’imputato fosse sinceramente convinto di aver subito un torto. Di conseguenza, la sua condotta non era volta a incolpare falsamente qualcuno, ma a far valere una propria tesi, per quanto controversa, in sede giudiziaria.

Inoltre, la Cassazione ha smontato l’argomento centrale della Corte d’Appello, precisando che la reiterazione della denuncia non è automaticamente indice di dolo. Al contrario, può essere espressione di un forte convincimento di aver subito un’ingiustizia. La calunnia punisce chi accusa sulla base di fatti falsi, non chi propone una valutazione giuridica differente di fatti veri.

Conclusioni: L’Importanza del Dubbio Legittimo

Questa sentenza riafferma un principio di garanzia fondamentale nel nostro ordinamento: non si può essere condannati per calunnia se si agisce sulla base di un dubbio legittimo, alimentato da un contrasto interpretativo nella giurisprudenza. La consapevolezza della falsità dell’accusa deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio. In presenza di questioni legali complesse e dibattute, il cittadino che si affida a consulenti e associazioni per denunciare un presunto illecito non può essere considerato un calunniatore solo perché la sua tesi viene respinta dal giudice. La decisione protegge il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi, anche quando la strada legale è incerta e controversa.

Ripetere una denuncia dopo un’archiviazione costituisce automaticamente il reato di calunnia?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la reiterazione di una denuncia non è di per sé prova del dolo di calunnia. Anzi, può essere un indice del convincimento di aver subito un torto, specialmente se la denuncia non si basa su fatti falsi ma su una diversa interpretazione della legge.

Se la mia denuncia per usura si basa su un’interpretazione legale controversa, posso essere accusato di calunnia?
Questa sentenza suggerisce di no. Se la denuncia si fonda su dati reali (come un contratto di mutuo) e su un’interpretazione giuridica che, sebbene non unanime, è sostenuta da una parte della dottrina o da associazioni di settore, manca la prova della piena consapevolezza della falsità dell’accusa, elemento essenziale per il reato di calunnia.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna senza rinviare il caso a un nuovo processo d’appello?
La Corte ha deciso per l’annullamento senza rinvio perché ha ritenuto che non ci fossero ulteriori elementi di prova da valutare. L’assenza della prova certa del dolo era già chiaramente desumibile dagli atti processuali, rendendo superflua una nuova valutazione di merito e imponendo una pronuncia liberatoria definitiva perché “il fatto non sussiste”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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