Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20048 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20048 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato a Calimera il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/03/2023 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, che insiste per l’accoglimento del ricorso; lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore delle parti civili, Banca
RAGIONE_SOCIALE, che conclude per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di appello di Lecce, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero e delle parti civili costituite COGNOME NOME e Banca RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ha riformato la sentenza di assoluzione emessa in data 14 ottobre 2021 dal Tribunale di Lecce, condannando il ricorrente NOME COGNOME alla pena di due anni di reclusione ed al risarcimento dei danni
in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, oltre al pagamento delle spese e accessori di legge per entrambi i gradi di giudizio.
Nel corso del giudizio di primo grado, l’imputato era stato assolto per mancanza del dolo in relazione ad una ipotesi di calunnia, allo stesso ascritta, per avere denunciato in data 17 febbraio 2016 per usura i funzionari ed i legali rappresentanti della Banca RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con riferimento a due contratti di mutuo stipulati negli anni 2008 e 2013.
La Corte di appello ha riformato la decisione assolutoria del primo giudice, ravvisando, invece, il dolo per la reiterazione della denuncia che faceva seguito alle archiviazioni di due analoghe denunce di cui era a conoscenza e che dimostravano la piena consapevolezza dell’innocenza degli operatori di banca.
In particolare, la Corte di appello prendeva in esame il contenuto dei provvedimenti di archiviazione in cui si evidenziava la genericità della prospettazione del carattere usurario degli interessi, sulla base delle stesse consulenze tecniche allegate alla seconda denuncia che escludevano il superamento del tasso soglia.
Inoltre, censurava la valutazione operata nella sentenza di primo grado della deposizione del teste COGNOME, presidente di un’RAGIONE_SOCIALE, che basava il carattere usurario del mutuo con riguardo agli interessi moratori che secondo l’assunto del Giudice delle indagini preliminari, posto a base del provvedimento di archiviazione del 2 marzo 2016, invece, non concorrono alla determinazione del tasso soglia.
In sostanza, secondo la motivazione della Corte di appello, la reiterazione della denuncia, presentata per la terza volta, dopo la conoscenza dell’epilogo delle due precedenti denunce, dava conto di una valutazione consapevolmente forzata degli elementi posti a base dell’accusa di usura.
Tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso, articolando i motivi di seguito indicati.
2.1. Con un unico articolato motivo deduce violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione alla necessità di una motivazione rafforzata nell’ipotesi di riforma in malam partem della decisione in applicazione dell’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., e vizio della motivazione per illogicità perché la Corte territoriale ha fondato l’affermazione di responsabilità sulla base di una diversa valutazione del compendio probatorio meno persuasiva di quella del primo giudice.
In particolare, il Tribunale aveva rimarcato la buona fede dell’imputato che aveva fatto proprio il calcolo degli interessi e dei tassi usurari elaborato dall’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, le archiviazioni erano state disposte senza alcun accertamento tecnico di ufficio e, in occasione della seconda denuncia, la persona offesa aveva presentato opposizione allegando a supporto due prospetti di calcolo dei tassi di interessi elaborati sempre dalla medesima RAGIONE_SOCIALE.
Infine, si censura la motivazione della Corte di appello per non avere dato il giusto peso alla testimonianza resa da COGNOME, legale rappresentante della anzidetta RAGIONE_SOCIALE, che ha confermato che i due mutui in discorso erano da ritenersi sicuramente di carattere usurario perché il tasso degli interessi di mora superava il tasso soglia.
In definitiva, si sostiene che correttamente la sentenza di primo grado aveva dato conto dell’assenza di prova del dolo del reato di calunnia, anche perché le archiviazioni era state disposte senza approfondimenti istruttori sulla base di valutazioni in diritto (in particolare la tesi che gli interessi moratori non rilevasse ai fini del superamento del tasso soglia) che lasciavano spazio al dubbio che le denunce fossero comunque sorrette dal convincimento di aver subito un torto.
Si deve dare atto che il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, commi 8 e 9, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, come prorogato dall’art. 94 del d.lgs. n. 150 del 2022, modificato dall’art. 17 del dl. 22 giugno 2023, n. 75.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Secondo l’orientamento oramai consolidato di legittimità, espresso innanzitutto dalle Sezioni Unite di questa Corte (vedi, Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489), il giudice di appello che riformi la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento del materiale probatorio ha l’onere di fornire una motivazione che si sovrapponga a quella della sentenza riformata, confutandone specificamente e logicamente gli argomenti rilevanti dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005 COGNOME, Rv. 231679).
Nella fattispecie in esame, la Corte di appello ha proceduto ad una confutazione delle difformi considerazioni della sentenza di primo grado, con argomentazioni incoerenti che non consentono di ritenere che la decisione di condanna sia stata il frutto di una valutazione più persuasiva rispetto a quella che sosteneva la difforme conclusione assolutoria, in ossequio al principio che impone, nel dubbio, di dare prevalenza all’assoluzione nel caso di plausibilità
dell’alternativa ipotesi assolutoria sostenuta dal primo giudice, con conseguente violazione del canone della motivazione rafforzata.
In particolare, la motivazione della sentenza di secondo grado appare viziata da una sottovalutazione degli elementi evidenziati dalla sentenza di primo grado per escludere il dolo della calunnia.
Più specificamente, la deposizione resa dal teste COGNOME, legale rappresentante dellRAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, che ha confermato che i due mutui in discorso erano da ritenersi sicuramente di carattere usurario perché il tasso degli interessi di mora superava il tasso soglia, è stata ritenuta irrilevante sulla scorta della interpretazione seguita dal Giudice delle indagini preliminari secondo la quale gli interessi di mora non rileverebbero ai fini della determinazione del tasso usurario.
A tale riguardo occorre considerare che le Sezioni Unite civili, con la sentenza n. 19597 del 2020, nel risolvere un annoso contrasto con riferimento agli interessi moratori, hanno affermato all’opposto che « disciplina RAGIONE_SOCIALE si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso».
Prescindendo dalla fondatezza o meno di tale assunto, la stessa esistenza di un contrasto interpretativo su tale profilo non poteva essere ignorata nella valutazione dell’elemento psicologico del delitto di calunnia, che presuppone la prova certa della consapevolezza della falsità dell’accusa e dell’insussistenza del reato oggetto della falsa incolpazione.
Pur trattandosi di denunce sporte nell’anno 2016, la tesi dell’irrilevanza degli interessi di mora nel computo del tasso soglia nella disciplina RAGIONE_SOCIALE,essendo controversa,non poteva essere ritenuta utile a dimostrare la volontà di calunniare.
Al contrario, l’esistenza di una critica da parte delle RAGIONE_SOCIALE, volta a propugnare la tesi opposta a quella seguita nel provvedimento di archiviazione, non è neppure indice della prospettazione di fatti difformi dal vero, quanto piuttosto della volontà di censurare una linea interpretativa favorevole agli istituti di credito, senza alcuna denuncia di fatti difformi da quelli reali.
L’affermazione, pertanto, che l’imputato fosse consapevole della infondatezza delle accuse è contraddetta dalla certezza con cui il legale rappresentante di una RAGIONE_SOCIALE aveva confermato in dibattimento che i due mutui erano da considerarsi usurari per il superamento del tasso soglia con riguardo all’interesse di mora.
Inoltre, non appare neppure corretto in linea di principio desumere dalla reiterazione delle archiviazioni di precedenti denunce la prova della consapevolezza dell’infondatezza dell’accusa.
Ed invero, la reiterazione della denuncia può essere al contrario un indice del convincimento opposto.
Se è legittimo che il pubblico ministero possa chiedere di archiviare una denuncia per il suo carattere reiterativo, non per questo si può ritenere provato il dolo della calunnia a carico di chi reitera la denuncia perché convinto di aver subito un torto.
Non si tratta, infatti, di valutare la correttezza della decisione adottata in sede di archiviazione, ma di verificare se la denuncia sia basata su dati falsi, e, non come nel caso di specie, su dati veri oggetto di una valutazione differente, dovuta soltanto ad una interpretazione difforme della legge.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza deve essere annullata senza rinvio, perché l’assenza di ulteriori elementi di prova da valutare, desumibile dall’analisi delle due decisioni di merito, rende «superflua» la restituzione del giudizio nella sede di merito, ed impone, pertanto, al giudice di legittimità, l’adozione di una pronuncia liberatoria a norma dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., in linea con il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., per tutte, Sez. U, n. 22327 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226100, e Sez. U, n. 22327 del 30/10/2002, dep. 2003, COGNOME, nonché, per una recente applicazione specifica, Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 266594).
L’assenza di elementi di prova suscettibili di nuovo e diverso apprezzamento rende superfluo un annullamento con rinvio per vizio di motivazione della sentenza di appello, ex art. 606, comma 1, lett. e), dovendosi pronunciare nei confronti dell’imputato una pronuncia assolutoria perché il fatto non sussiste, con conseguente revoca delle statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma il giorno 23 febbraio 2021
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