Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30551 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30551 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nata a Ferrara il 28/11/1942
avverso la sentenza del 19/09/2024 della Corte di appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 03/12/2020 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ferrara, in sede di rito abbreviato, ha condannato NOME COGNOME per il delitto di calunnia perché, presentando una querela di falso, nel corso della causa civile promossa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nei suoi confronti per ottenere il pagamento delle prestazioni professionali svolte in una causa di sfratto per morosità, aveva disconosciuto la sottoscrizione apposta sulla procura alle liti, procura autenticata dai predetti legali nell’esercizio della professione
forense, così implicitamente accusando le stesse del delitto di cui all’art. 481 cod. pen.
La Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha revocato la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, confermandola nel resto.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME per i motivi di annullamento di seguito sintetizzati
2.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in quanto, disconoscendo la firma di ben tre atti processuali, ossia il mandato alle liti, la transazione e i mandato per la mediazione, l’imputata non avrebbe inteso accusare le legali di aver falsamente autenticato la sua firma, ma semplicemente rilevare che quelle firme, come d’abitudine, erano state apposte dal figlio, che gestiva i suoi affari. Le legali, quindi, sarebbero state accusate, al più, di aver autenticato la firma in assenza del sottoscrittore, ossia di un comportamento colposo, che non integra il reato di cui all’art. 481 cod. pen.
2.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento all’elemento soggettivo del reato di calunnia, in quanto il disconoscimento sarebbe frutto di errore colposo.
2.3. Violazione di legge processuale, in quanto la consulenza grafologica fruc. esperita dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 438, comma 4, cod. pen. sarebbe inutilizzabile perché depositata oltre il termine concesso dal giudice dell’udienza preliminare; sotto altro profilo, la difesa deduce la nullità del provvedimento con cui il giudice ha concesso un termine per lo svolgimento di indagini suppletive in quanto la norma sopra richiamata, nel subordinare lo svolgimento di indagini suppletive al fatto che la richiesta di abbreviato sia formulata dall’imputato “immediatamente dopo” il deposito delle indagini difensive, non può che riferirsi all’ipotesi in cui il difensore proceda al deposito delle indagini difensive in udienza preliminare e non a quelle in cui detto deposito sia avvenuto prima dell’udienza preliminare. Nella prospettazione difensiva la nullità in questione avrebbe carattere assoluto, attenendo all’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO •
Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché meramente reiterativo di identica censura, respinta dalla Corte di – appello con motivazione logica e immune · da vizi, con cui, di fatto, il ricorso non si confronta.
In ogni caso, esso è manifestamente infondato.
Secondo la sentenza impugnata la ricorrente ha accusato le legali del delitto di falso commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità, ossia di aver falsamente attestato, in qualità di avvocati, l’autenticità della sottoscrizione della procura ad litem (Sez. 5, n. 6348 del 08/01/2021, COGNOME, Rv. 280420 – 01).
Secondo la Corte di appello il disconoscimento della sottoscrizione della procura alle liti è stato doloso, perché la ricorrente lo ha ribadito, anche a fronte delle opposte allegazioni dell’avvocata NOME COGNOME che ha dettagliatamente circostanziato il momento in cui il mandato è stato firmato. La genuinità di tale ricostruzione secondo la Corte, si apprezza alla luce della correttezza dimostrata dall’avvocata che, nel procedimento per querela di falso, ha dichiarato che intendeva avvalersi soltanto del mandato alle liti della cui sottoscrizione ad opera della ricorrente in sua presenza era certa, perché si ricordava le circostanze di tempo e di luogo in cui era avvenuta.
Da ciò la sentenza impugnata, con motivazione del tutto adeguata, ha fatto discendere la conclusione che la ricorrente, che ha proposto querela di falso dopo queste allegazioni, non può che aver consapevolmente incolpato le legali di aver falsamente attestato l’autenticità della firma.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché meramente reiterativo.
La Corte ha rilevato che la circostanza che la ricorrente avesse, di fatto, delegato al figlio la gestione dell’immobile locato, in relazione al quale doveva procedersi all’intimazione di sfratto per morosità, non esclude il dolo di calunnia, proprio alla luce del fatto che ha ribadito il disconoscimento della sua firma, che è risultata autografa, anche dopo essere stata posta di fronte alle opposte allegazioni dell’avvocatq NOME COGNOME.
3. Il terzo motivo di ricorso è, del pari, infondato.
L’art. 438, comma 4, cod. proc. pen. prevede che «quando l’imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento
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di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa. In tal caso, l’imputato ha facoltà di revocare la richiesta».
Secondo la difesa la norma si riferisce ai casi in cui le indagini difensive siano depositate in udienza, mentre, nel presente procedimento l sono state depositate il 05/06/2020 in vista dell’udienza fissata per il 09/07/2020, in cui è stata avanzata richiesta di rito abbreviato e il pubblico ministero, a sua volta, ha chiesto termine per indagini suppletive ex art. 438, comma 4, cod. proc. pen.
Come condivisibilmente affermato dalla sentenza impugnata, il riferimento all’immediatezza contenuto nell’art. 438, comma 4, citato non implica che le indagini difensive debbano essere necessariamente depositate in udienza / ma soltanto che tra il loro deposito e la richiesta di rito abbreviato non intercorra un lasso temporale tale da frustrare le esigenze di speditezza del rito.
Peraltro, ove si consentisse alla difesa di accedere al rito abbreviato condizionato all’acquisizione di indagini depositate poco prima dell’udienza, impedendo al pubblico ministero di svolgere indagini a prova contraria, si causerebbe una non consentita disparità di trattamento tra le parti, tenuto conto che il pubblico ministero non ha più il potere di negare il consenso alla celebrazione del rito a prova contratta. Significativamente, infatti, tale potere spetta al solo imputato dopo il deposito delle indagini suppletive svolte dal pubblico ministero.
Infondata è anche la censura relativa all’inutilizzabilità delle indagini suppletive, perché depositate oltre il termine fissato dal giudice, in quanto tale sanzione consegue unicamente alla violazione di uno specifico divieto probatorio, che non è previsto per il caso in esame (art. 191 cod. proc. pen.) e che non può derivare dall’applicazione analogica dell’art. 407 cod. proc. pen., stante la tassatività dei casi di inutilizzabilità.
In ogni caso, va rilevato che la difesa non ha subito alcun pregiudizio dal deposito tardivo, perché la consulenza svolta in sede di indagini suppletive è stata depositata con congruo anticipo rispetto all’udienza in cui si è celebrato il rito abbreviato, udienza nel corso della quale, comunque, l’imputata aveva il diritto di revocare la richiesta di rito alternativo.
In conclusione il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26/06/202