Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1642 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1642 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nata a Seriate (BG) il 28/11/1963
avverso la sentenza del 26/01/2024 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Brescia ha confermato la condanna di NOME COGNOME per il delitto di calunnia in danno di NOME COGNOME, da lei accusato, con querela del 3 agosto 2016, del delitto di appropriazione indebita, per non aver restituito alla “RAGIONE_SOCIALE, di cui ella era amministratrice e legal rappresentante, due autoveicoli da lui venduti a tale società, tuttavia con atto solamente simulato.
Sono state altresì confermate le statuizioni risarcitorie ed indennitarie in favore dell’COGNOME, costituitosi nel processo quale parte civile.
Sono essenzialmente cinque le doglianze che l’imputata rassegna, attraverso il ricorso proposto dal suo difensore.
2.1. In primo luogo, denuncia la propria estraneità all’accordo simulatorio con COGNOME, apparentemente sottoscritto dalla propria figlia NOME COGNOME, allora amministratrice della società, ma in realtà stipulato dal proprio compagno, NOME COGNOME che ne aveva falsificato la firma. Rappresenta, dunque: che né ella né sua figlia avevano mai ratificato od avallato tale accordo; che i veicoli erano stati realmente pagati ad COGNOME; che dall’istruttoria dibattimentale sarebbe emersa, al più, una semplice conoscenza, da parte sua, di quel patto, tuttavia insufficiente per desumerne che ella lo ritenesse vincolante per la società.
2.2. Si lamentano, poi, vizi di motivazione in ordine alla valutazione come decisiva della testimonianza di NOME COGNOME, già dipendente, come COGNOME, della società.
Premesso che comunque anch’egli ha riferito di una semplice conoscenza di quel patto da parte della Cavalieri, si contesta la credibilità di tale testimone, poiché questi, così come COGNOME, era allora in causa contro la società dinanzi al giudice del lavoro per differenze retributive; inoltre, egli ha riferito tut circostanze apprese de relato dallo stesso COGNOME e, avendo testimoniato diversi mesi dopo quest’ultimo, verosimilmente è stato opportunamente edotto da costui.
Si evidenzia, inoltre, come pure il già menzionato COGNOME – anch’egli imputato, ma assolto in primo grado per non aver commesso il fatto – altro non abbia detto, peraltro in modo confuso ed ipotetico, se non che la Cavalieri fosse a conoscenza del patto simulato.
2.3. Con il motivo successivo, viene censurato il giudizio di affidabilità della testimonianza di COGNOME, della quale si evidenziano le plurime e qualificanti discrasie rispetto a quanto da lui esposto in denuncia.
In particolare, si evidenzia che sarebbe risultato smentito il suo assunto per cui le somme formalmente versategli dalla società in pagamento del prezzo dei veicoli venduti costituissero in realtà compensi per attività lavorative da lui svolte per conto della stessa. Dette somme, infatti, per un ammontare complessivo di oltre undicimila euro, risultano del tutto sproporzionate rispetto allo stipendio da lui percepito, pari a duecento-trecento euro mensili; inoltre, è stato acciarato che la relativa documentazione giustificativa è stata formata unilateralmente dallo stesso COGNOME, risultando perciò inattendibile, tanto da non essere stata da lui prodotta nei giudizio civile innanzi al giudice del lavoro; per contro, l’imputata ha prodotto le fatture dei corrispettivi incassati dalla società per i lavori che COGNOME avrebbe svolto per conto della stessa, anch’essi sproporzionati per difetto rispetto alle somme a lui versate.
2.4. Il ricorso si duole, inoltre, della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, in quanto erroneamente giustificata dalla Corte distrettuale in ragione della già avvenuta escussione dei testimoni di cui la difesa chiedeva l’ulteriore ascolto, mentre quest’ultimo avrebbe dovuto riguardare i rapporti tra COGNOME e COGNOME il quale aveva reso la sua testimonianza soltanto a norma dell’art. 507, cod. proc. pen..
2.5. Da ultimo, si censura il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, giustificato con formule di stile, invece trascurandosi che, dalla querela dell’imputata, comunque non è sorto alcun procedimento per Altini, ed altresì che questi è rimasto sempre in possesso dei veicoli oggetto di controversia.
Ha depositato requisitoria scritta la Procura generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Pregiudiziale è la disamina della censura in rito, relativa all’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, poiché, se fondata, precluderebbe l’esame delle altre.
Essa, tuttavia, è manifestamente priva di fondamento giuridico, potendo l’omessa rinnovazione istruttoria assumere rilievo soltanto se e nei limiti in cui la mancanza del mezzo di prova richiesto ma non acquisito risulti decisiva, perché tale lacuna incide, compromettendola, sulla tenuta logica complessiva della motivazione.
Nello specifico, invece, il ricorso non spiega perché le testimonianze negate avrebbero potuto avere carattere decisivo, tanto più ove si tenga presente che, nell’impianto della motivazione, non assume un tal rilievo neppure la testimonianza di COGNOME, per confutare la quale era stata avanzata la richiesta d’istruzione supplementare respinta dal giudice d’appello.
Venendo, quindi, alle prime tre doglianze esposte in narrativa, le stesse possono essere trattate congiuntamente, poiché tutte dirette, sotto diversi profili, contro l’affermazione di responsabilità della ricorrente.
Esse sono infondate, quantunque non manifestamente tali.
La sentenza, infatti, non risponde puntualmente a tutte le singole obiezioni difensive, tuttavia evidenzia due aspetti decisivi ai fini della dimostrazione dell’accusa, rispetto ai quali è il ricorso a rimanere in silenzio, dovendo perciò essere disatteso. Il primo è rappresentato dal verbale di assemblea della “5.4”
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RAGIONE_SOCIALE, sottoscritto sia dall’imputata che da COGNOME, in cui era stato convenuto trasferimento della proprietà dei veicoli dalla società a costui, con pagamento del passaggio a carico della stessa società; il secondo consiste nel fatto che sia stato lo stesso COGNOME a farsi carico dei costi di gestione dei veicoli (tassa di circolazione, premi assicurativi, spese di manutenzione), pur quando formalmente risultava averli già venduti alla società.
Ebbene, lette in combinazione tra loro, la conoscenza, da parte dell’imputata, dell’accordo con COGNOME (sostanzialmente ammessa anche dalla sua difesa) e la sua consapevolezza del fatto che la “5.4” non sopportasse alcuna spesa per quei veicoli (che può dedursi senza forzature logiche e che, difatti, non viene negata nemmeno dall’imputata), nonché l’assenza di qualsiasi iniziativa civilistica volta a far dichiarare l’inefficacia per la società di quel contratto simulato stipulato da soggetto non legittimato e recante sottoscrizione falsa, del tutto ragionevolmente sono state ritenute in sentenza indici sintomatici della ratifica di quel patto da parte di costei, e quindi della sua piena consapevolezza della reale proprietà altrui di quei mezzi e, per l’effetto, della non veridicità della situazione da lei esposta in querela.
Nelle more della presente impugnazione, tuttavia, il reato per cui si procede si è estinto per intervenuta prescrizione.
Essendo la prescrizione un istituto di diritto sostanziale (Corte cost., sentenza n. 393 del 23 novembre 2006), deve aversi riguardo alla relativa disciplina in vigore al momento del fatto.
Pertanto, in relazione alla misura della pena edittale, pari nel massimo a sei anni di reclusione, il termine di prescrizione è di sei anni, prorogato, per effetto di successive interruzioni, a sette anni e sei mesi, a decorrere dalla data di commissione del reato: ovvero dal 3 agosto 2016.
Aggiungendo a tale periodo quelli in cui detto termine è rimasto sospeso ai sensi dell’art. 159, cod. pen., pari – secondo quanto è possibile apprendere dagli atti presenti nel fascicolo del giudizio – a complessivi 92 giorni, esso è spirato il 5 maggio 2024.
Pur quando non dedotta con i motivi di ricorso o – se maturata successivamente – in sede di conclusioni, la causa di estinzione del reato, al pari di ogni altra ragione di proscioglimento immediato di cui all’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., qualora sopravvenga al provvedimento impugnato, è rilevabile d’ufficio dalla Corte di cassazione, non implicando la necessità di accertamenti in fatto o di valutazioni di merito, incompatibili con i limiti del giudizio di legittim
(Sez. U, n. 8413 del 20/12/2007, Cassa, Rv. 238467, proprio in tema di prescrizione).
Ciò vale, a meno che tutti i motivi del ricorso proposto siano inammissibili, anche soltanto per manifesta infondatezza, poiché tale situazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità, a norma dell’art. 129, cit. cod. proc. pen. (così, sempre con precipuo riferimento alla prescrizione, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
Nel caso specifico, dunque, non essendosi in presenza di motivi di ricorso tutti inammissibili, la sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio ed il reato essere dichiarato estinto per prescrizione (dal che consegue, evidentemente, la sopravvenuta irrilevanza dell’ultimo motivo d’impugnazione, in tema di trattamento sanzionatorio).
5. Se ciò vale per le statuizioni di natura penale, la presenza in giudizio della parte civile e la condanna al risarcimento del danno in suo favore contenuta in sentenza impongono comunque al giudice di legittimità di valutare i denunciati vizi degli atti (purché ancora rilevabili secondo le regole generali) o della motivazione e, laddove esistenti, di annullare la sentenza con rinvio, quantunque ai soli fini civili.
Ciò premesso, è sufficiente richiamare, per questa parte, le osservazioni rassegnate ai precedenti paragrafi 1 e 2, per concludere per la sussistenza della condotta delittuosa contestata, per la sua ascrivibilità al comportamento doloso dell’imputata e, quindi, per la conferma del diritto della parte civile ad ottenere il risarcimento del danno ed il ristoro delle spese giudiziali sopportate, con il conseguente rigetto del ricorso a questi fini.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Così deciso, il 15 ottobre 2024.