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Calunnia e Diritto di Difesa: i Limiti della Cassazione

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un uomo condannato per calunnia dopo aver falsamente accusato il proprio avvocato di aver manipolato una richiesta di gratuito patrocinio. L’imputato sosteneva di aver agito per esercitare il proprio diritto di difesa. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che il diritto di difesa, pur consentendo di mentire, non si estende fino a permettere la formulazione di accuse specifiche e circostanziate contro una persona che si sa essere innocente, specialmente quando non si dimostra che tale azione era l’unica via difensiva possibile.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Calunnia e Diritto di Difesa: Dove Finisce la Tutela e Inizia il Reato?

Il confine tra il legittimo esercizio del diritto di difesa e la commissione del reato di calunnia è uno dei temi più delicati del diritto penale. Un imputato può mentire per difendersi? E se la menzogna consiste nell’accusare un innocente? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 3075 del 2025, offre chiarimenti fondamentali su questi interrogativi, tracciando una linea netta che ogni operatore del diritto e cittadino dovrebbe conoscere.

I Fatti del Caso: Una Difesa Trasformata in Accusa

La vicenda ha origine da un processo in cui un uomo era imputato per false dichiarazioni, rese al fine di ottenere il beneficio del gratuito patrocinio. Messo alle strette durante il dibattimento, l’imputato ha tentato una mossa difensiva drastica: ha accusato il proprio avvocato.

Nello specifico, ha affermato di aver firmato ‘in bianco’ il modulo per la richiesta del beneficio e che fosse stato il suo difensore a compilarlo successivamente, attestando falsamente condizioni reddituali non veritiere. Questa accusa, tuttavia, si è rivelata infondata. Di conseguenza, l’uomo è stato condannato non solo per le false dichiarazioni, ma anche per il reato di calunnia ai danni del suo legale, che sapeva essere innocente.

Il Ricorso in Cassazione: Diritto di Difesa contro l’Accusa di calunnia

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su un unico, cruciale motivo: le sue false accuse rientravano nell’esercizio del diritto di difesa, garantito dall’art. 51 del codice penale. Secondo la sua tesi, incolpare il difensore era l’unico modo a sua disposizione per sottrarsi alla condanna.

Questa argomentazione si appoggia su un orientamento giurisprudenziale minoritario, secondo cui la calunnia potrebbe essere scriminata se la mendace dichiarazione rappresenta l’unico e indispensabile mezzo per confutare l’accusa a proprio carico, in un rapporto di stretta necessità funzionale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, nell’analizzare il caso, ha rigettato il ricorso, confermando la condanna. Le motivazioni della decisione sono di grande interesse perché, pur riconoscendo l’esistenza di due orientamenti giurisprudenziali sul tema, chiariscono i limiti invalicabili del diritto di difesa.

L’orientamento prevalente, ribadito dalla Corte, sostiene che l’imputato può negare le accuse e persino mentire, ma non può spingersi fino a incolpare specificamente e concretamente di un reato una persona che sa essere innocente. Un conto è negare la propria responsabilità, un altro è assumere iniziative volte a deviare attivamente la giustizia verso un innocente. Quest’ultima condotta integra pienamente il reato di calunnia.

Tuttavia, la Corte ha sottolineato un punto decisivo per il caso in esame. Anche volendo applicare l’orientamento più favorevole all’imputato (quello minoritario), il ricorso sarebbe stato comunque infondato. L’imputato, infatti, si è limitato ad affermare in modo apodittico che accusare l’avvocato fosse la sua unica opzione difensiva, senza fornire alcuna prova o allegazione a sostegno di tale affermazione. Era suo onere dimostrare l’assenza di qualsiasi altra alternativa ragionevole per difendersi; non avendolo fatto, la sua tesi è crollata.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma un principio cardine del nostro ordinamento: il diritto di difesa non è un’autorizzazione a commettere reati. Sebbene un imputato non sia tenuto a dire la verità o ad auto-accusarsi, non può trasformare la propria difesa in un attacco calunnioso contro terzi innocenti. La tutela del giusto processo non può mai giustificare la lesione dell’onore e della libertà di un’altra persona attraverso false incolpazioni. La decisione della Cassazione serve da monito: la strategia difensiva deve sempre muoversi entro i confini della legalità, senza mai travalicare nel campo della calunnia.

Un imputato può accusare falsamente un’altra persona per difendersi senza commettere calunnia?
No. Secondo l’orientamento prevalente della Cassazione, ribadito in questa sentenza, il diritto di difesa non permette di incolpare di un reato una persona che si sa essere innocente. Tale condotta integra il reato di calunnia.

Qual era l’onere della prova a carico dell’imputato in questo caso specifico?
L’imputato, per sostenere la sua tesi difensiva basata sull’esercizio del diritto di difesa come unica via d’uscita, avrebbe dovuto dimostrare l’assenza di altre soluzioni funzionali e ragionevoli per difendersi. Non è sufficiente affermarlo, ma bisogna provarlo.

Qual è la differenza tra mentire per difendersi e commettere calunnia secondo la Corte?
La Corte distingue tra il negare le accuse a proprio carico (anche mentendo), che rientra nei limiti del diritto di difesa, e l’assumere iniziative specifiche e circostanziate per incolpare di un reato un’altra persona innocente. Quest’ultima azione supera i limiti della difesa e costituisce il reato di calunnia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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