Calunnia per Falso Smarrimento di Assegno: La Cassazione Fa Chiarezza
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, si è pronunciata su un caso di calunnia derivante dalla falsa denuncia di smarrimento di un assegno bancario. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: chi denuncia falsamente lo smarrimento di un titolo di credito, dopo averlo usato per un pagamento, commette il reato di calunnia perché accusa indirettamente il legittimo possessore di un crimine. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di calunnia, previsto dall’articolo 368 del codice penale. L’imputato, dopo aver consegnato un assegno bancario a un’altra persona per saldare un debito, ne aveva denunciato falsamente lo smarrimento alle autorità. Di conseguenza, il creditore, nel tentativo di incassare l’assegno, si è trovato implicitamente nella posizione di sospettato per un reato come il furto o la ricettazione.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni:
1. Un vizio procedurale relativo alla sua assenza durante l’udienza preliminare.
2. L’insussistenza della sua responsabilità penale.
3. L’errata applicazione dell’aggravante della recidiva.
4. Il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
L’Analisi della Cassazione sulla Calunnia
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi manifestamente infondati. Il punto centrale della decisione riguarda la configurabilità del reato di calunnia. I giudici hanno confermato l’orientamento consolidato secondo cui la falsa denuncia di smarrimento di un assegno è una condotta idonea a determinare l’apertura di un procedimento penale a carico di una persona specifica: colui che negozierà il titolo.
Anche se la denuncia non contiene un’accusa diretta con nome e cognome, essa è sufficiente a far sospettare che chi presenta l’assegno per l’incasso lo abbia ottenuto illegalmente, ad esempio tramite furto o ricettazione. Questo basta per integrare il delitto di calunnia, poiché si incolpa falsamente qualcuno, che si sa essere innocente, di un reato procedibile d’ufficio.
Le Altre Censure e la Recidiva
La Corte ha respinto anche gli altri motivi di ricorso. La questione procedurale è stata considerata preclusa, in quanto non sollevata nel precedente grado di giudizio. Riguardo alla responsabilità penale, i giudici hanno ritenuto la motivazione della Corte d’Appello logica e coerente, basata sulle dichiarazioni attendibili della persona offesa.
Particolarmente interessante è l’analisi sulla recidiva. La Corte ha confermato l’aggravante, sottolineando i numerosi precedenti penali dell’imputato per reati come ricettazione e omesso versamento di ritenute. Secondo i giudici, la commissione di un ulteriore delitto dimostrava sia il fallimento dell’effetto deterrente delle condanne precedenti sia una spiccata inclinazione a delinquere, soprattutto per scopi di lucro. Anche l’aumento di pena applicato è stato ritenuto conforme ai limiti di legge.
le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su principi giuridici consolidati. La calunnia non richiede necessariamente un’accusa nominativa. È sufficiente che la condotta sia tale da far convergere i sospetti su una persona determinata o facilmente determinabile, che l’accusatore sa essere innocente. La falsa denuncia di smarrimento di un assegno rientra perfettamente in questa casistica, poiché il soggetto che tenterà di incassarlo diventerà automaticamente il principale sospettato.
La Corte ha inoltre chiarito che i precedenti penali di un imputato possono avere una duplice valenza: da un lato, giustificano l’applicazione dell’aggravante della recidiva; dall’altro, possono essere legittimamente usati come elemento ostativo per negare la concessione delle attenuanti generiche. Non vi è alcuna contraddizione in ciò, poiché i due istituti (recidiva e attenuanti) hanno finalità e presupposti diversi.
Infine, la pena è stata giudicata congrua, in quanto calcolata partendo dal minimo edittale previsto per il reato di calunnia e aumentata in misura ragionevole per la recidiva, nel pieno rispetto dei limiti imposti dal codice penale.
le conclusioni
L’ordinanza della Cassazione rappresenta un monito importante: l’utilizzo strumentale della denuncia di smarrimento per sottrarsi ai propri obblighi di pagamento non è una scorciatoia priva di conseguenze. Al contrario, è una condotta penalmente rilevante che integra il grave reato di calunnia. La decisione conferma la necessità di agire con correttezza e buona fede nei rapporti giuridici ed economici, ricordando che la legge tutela non solo il creditore, ma anche l’amministrazione della giustizia, che non deve essere sviata da false accuse.
Denunciare lo smarrimento di un assegno dato in pagamento è reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, denunciare falsamente lo smarrimento di un assegno, dopo averlo consegnato in pagamento a qualcuno, integra il reato di calunnia previsto dall’art. 368 del codice penale.
Perché la falsa denuncia di smarrimento di un assegno integra la calunnia?
Perché tale denuncia, sebbene non accusi direttamente una persona specifica, è idonea a far iniziare un procedimento penale per reati come furto o ricettazione a carico di chi, legittimamente, presenterà l’assegno per l’incasso. L’accusatore sa che tale persona è innocente.
I precedenti penali di una persona possono impedirle di ottenere le attenuanti generiche?
Sì, la Corte ha confermato che la presenza di numerosi precedenti penali è un elemento che il giudice può legittimamente valutare per negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto indice di una maggiore capacità a delinquere.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6161 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6161 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASERTA il 06/07/1964
avverso la sentenza del 02/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso dell’imputato COGNOME NOME e letta la memoria depositata dal difensore dell’imputato, nella quale si insiste per l’accoglimento del ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
OSSERVA
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso, afferenti alla condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 368 cod. pen., sono inammissibili in quanto reiterativi di analoghe censure formulate in appello e alle quali la sentenza impugnata ha fornito adeguata risposta e comunque manifestamente infondati;
Considerato, invero, che con il primo motivo il ricorrente eccepisce la nullità del giudizio atteso che in udienza preliminare ne è stata dichiarata l’assenza nonostante non vi fosse prova della avvenuta notifica dell’avviso per detta udienza e, comunque, l’imputato fosse detenuto per altra causa. Al riguardo, in primo luogo va rilevato che la questione non è stata oggetto di doglianza in appello (né il ricorrente evidenzia di averla sollevata in precedenza) e risulta dunque in questa sede preclusa, imponendo accertamenti non consentiti a questa Corte; sotto altro profilo, è del tutto indimostrata la conoscenza da parte del Gup dello stato di detenzione dell’imputato al momento della celebrazione dell’udienza, atteso che tale situazione non può certo dedursi da un “certificato aggiornato del casellario giudiziale”, atto successivo allo svolgimento di detta udienza.
Rilevato che inammissibile risulta anche il secondo motivo, relativo all’affermazione di penale responsabilità del ricorrente. Con motivazione non illogica, la Corte di appello ha ritenuto attendibili le dichiarazioni rese dalla persona offesa COGNOME che ha riferito di avere ricevuto in pagamento dall’imputato l’assegno poi denunciato smarrito da quest’ultimo; al riguardo le doglianze del ricorrente risultano aspecifiche e volte a introdurre una diversa ricostruzione dei fatti, non consentita in questa sede. Sotto il profilo della qualificazione giuridica – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente integra pienamente la fattispecie di calunnia la falsa denuncia di smarrimento di assegni bancari, presentata da un soggetto dopo averli
consegnati ad altra persona in adempimento di un’obbligazione, atteso che essa, sebbene non contenga un’accusa diretta concernente uno specifico reato, è idonea a determinare ragionevolmente l’apertura di un procedimento penale, per un fatto procedibile d’ufficio – il delitto di furto o ricettazione – a carico persona determinata, ossia il negoziatore del titolo (Sez. 6, n. 7573 del 27/01/2023. COGNOME, Rv. 284241 – 01).
Rilevato che, inammissibile risulta l’ulteriore motivo di ricorso, relativo alla conferma della recidiva reiterata e infraquinquennale. La Corte di appello evidenzia (pag. 5 s.) le numerose condanne irrevocabili per delitti non colposi (ricettazione; omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali) le ultime delle quali irrevocabili nel 2014 e nel 2015. Atteso che il reato oggetto del giudizio è del 27 febbraio del 2015 sussistono tutti i presupposti formali per ritenere l’aggravante speciale. La sentenza impugnata – a sostegno della sussistenza della ratio a fondamento della recidiva – ha altresì rilevato che l’ulteriore delitto commesso dimostra, da un lato, il mancato effetto deterrente delle precedenti condanne e, dall’altro lato, la particolare inclinazione al delitto da parte dell’imputato, soprattutto per perseguire finalità lucrative come dimostrato dalle precedenti condanne per ricettazione e omesso versamento delle ritenute, finalità da ultimo perseguita, appunto, con la falsa denuncia di smarrimento dell’assegno, pur avendolo consegnato in pagamento di prestazione già ottenuta. Né risulta violato il limite di cui all’art. 99 comma 6 cod. pen.: la pena base per il delitto di calunnia è di due anni di reclusione e l’aumento a titolo di recidiva, pari a un anno e quattro mesi, non eccede il cumulo delle pene inflitte con le precedenti sentenze (complessivamente, un anno e dieci mesi). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato che, infine, manifestamente infondato risulta l’ultimo motivo del ricorso nel quale si censura la motivazione relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche, considerato che il richiamo, quale elemento ostativo, ai numerosi precedenti penali, risulta del tutto conforme al principio in base al quale i giudizi circa la concedibilità di dette attenuanti e quello sulla recidiva hanno natura diversa, di tal che è ben possibile che il medesimo elemento rientrante nell’art. 133 cod. pen. – venga utilizzato a sostegno di entrambe le statuizioni. Infine, del tutto infondata è la doglianza – peraltro generica relativa alla dosimetria della pena, che è stata irrogata nel minimo edittale della
fattispecie ex art. 368 cod. pen., poi aumentata entro i limiti di cui all’art. 99 ultimo comma cod. pen.
Considerato che il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/01/2025.