Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27091 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27091 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Como il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/01/2023 della Corte d’appello di Trento;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, in difesa delle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
uditi gli AVV_NOTAIO in difesa dell’imputato, i quali hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Trento riduceva la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, confermando tuttavia la condanna di NOME COGNOME per calunnia aggravata (art. 368, commi 1 e 2, cod. pen.) per aver egli, con tre denunce presentate ai Carabinieri del locale Comando-Stazione, incolpato NOME e COGNOME NOME dei reati di violenza privata ed estorsione aggravata, pur sapendoli innocenti.
Ha presentato ricorso l’imputato, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, deducendo i seguenti due motivi.
2.1. Errata applicazione dell’ipotesi aggravata di calunnia e relativo vizio di motivazione.
Respingendo le deduzioni in appello, i Giudici di secondo grado hanno ritenuto che l’estorsione di cui l’COGNOME era stato falsamente incolpato dal ricorrente fosse aggravata (e quindi punibile con la reclusione superiore a 10 anni) per l’episodio del “bastone”. Tuttavia, nella querela l’imputato si era limitato a riferire che l’COGNOME aveva in mano un manganello (non un bastone), circostanza insufficiente a configurare l’aggravante, posto che la minaccia, come riconosce la giurisprudenza di legittimità, deve essere concreta e che l’COGNOME è un maresciallo dell’Esercito, sicché la detenzione dell’arma di ordinanza ben poteva essere compatibile con le abitudini del militare, senza che peraltro risulti specificato che del manganello l’COGNOME avesse fatto o intendesse fare uso.
2.2. Mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e vizio di motivazione.
La Corte d’appello ha motivato il diniego opposto alla richiesta difensiva in ragione della previa commissione di reati della stessa indole, che integrerebbero il requisito dell’abitualità, ostativo al riconoscimento della particolare tenuità d fatto.
Il ricorrente non è stato, però, dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, né ha mai commesso reati della stessa indole della calunnia, dal certificato penale risultando che è stato condannato per i reati di cui agli artt. 477 cod. pen., 612 cod. pen., 477-482 cod. pen., tutti peraltro commessi oltre due anni prima della calunnia (giugno-agosto 2015).
OSSERVATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Dalle sentenze di merito (che, trattandosi di c.d. doppia conforme, formano un unico corpo decisionale. Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E.,
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Rv. 277218), si evince come l’imputato avesse avuto una relazione con NOME COGNOME da cui denunciò, mediante la presentazione due querele e di una integrazione, di essere tiranneggiato, adducendo che tale donna gli avesse, in varie occasioni, estorto denaro anche con l’aiuto del padre (di lei), NOME COGNOME, Maresciallo dell’esercito, il quale si sarebbe recato in un’occasione presso la casa del ricorrente «armato di un manganello in legno e con fare intimidatorio».
Rinviati COGNOME e COGNOME a giudizio, dall’esame del COGNOME – in quel procedimento persona offesa -, emergevano, tuttavia, esitazioni e contraddizioni che infine esitavano in una vera e propria ritrattazione. In particolare, l’imputato ammise la pretestuosità e l’infondatezza delle accuse, di fatto rendendo, come precisa la sentenza di primo grado, la confessione ed esprimendo la volontà di ritrattare (seppur subordinata alla condizione che la donna riprendesse la relazione ormai interrotta), volontà poi confermata da altre dichiarazioni, anche scritte, e riscontrata da testimonianze.
1.2. Ciò premesso, con specifico riguardo all’aggravante della calunnia, i Giudici di secondo grado, dopo aver precisato che la presenza minacciosa ed armata dell’COGNOME aveva rappresentato, nella narrazione calunniosa dell’imputato, la conseguenza del mancato regalo richiesto dalla figlia nel giorno del suo compleanno, aggiungono che la falsa incolpazione riguardava un delitto punibile con la reclusione superiore nel massimo a dieci anni, con conseguente applicazione dell’art. 368, comma 2, cod. pen.
1.3. Tale conclusione non può essere revocata in dubbio.
Si prescinda dal fatto che – come già ricordato – la sentenza impugnata precisa che, secondo la narrazione del COGNOME, quando questi tornò nella propria casa, vi avrebbe trovato l’COGNOME che, «armato di manganello e con fare intimidatorio», lo invitava a sedersi (la specificazione in ordine al possesso dell’arma non avrebbe avuto ragion d’essere se non fosse stata legata, nelle intenzioni del querelante, all’asserita minaccia).
Si prescinda anche dal fatto che le sentenze richiamate nel ricorso (Sez. 2, n. 13187 del 20/06/1986, COGNOME, Rv. 174387; Sez. 2, n. 7023 del 25/02/1986, COGNOME, Rv. 173323; Sez. 1, n. 10438 del 16/02/1977, COGNOME, Rv. 136670; Sez. 2, n. 17431 del 01/03/1989, COGNOME, Rv. 182850) riguardano mere armigiocattolo (non armi vere e proprie) e che, quindi, non sono pertinenti.
Dirimente è che l’art. 629, comma 2, cod. pen., nel fissare la pena massima di anni venti di reclusione (per l’estorsione tentata la pena massima ex art. 56 cod. pen., è pari ad anni tredici e mesi quattro), richiama le aggravanti di cui all’art. 628, comma 3, cod. pen. e, quindi, non soltanto l’uso delle armi (art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen.), ma anche l’essere il fatto commesso nei luoghi di cui all’articolo 624-bis cod. pen. (art. 628, comma 3, n. 3-bis, cod. pen.)
In modo ineccepibile, dunque, la sentenza impugnata ha ritenuto la configurabilità della calunnia nella forma aggravata «poiché i fatti oggetto delle false denunce-querele sarebbero avvenuti con armi e nei luoghi di cui all’art. 624bis cod. pen.», avendo sostenuto il ricorrente che la richiesta estorsiva era stata formulata presso il proprio domicilio.
2. Il secondo motivo è infondato.
In risposta alle deduzioni in appello, la Corte di secondo grado ha reso una motivazione compiuta, seppur sintetica, e non manifestamente illogica – pertanto non sindacabile in sede di legittimità – là dove ha negato la declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pe (astrattamente applicabile in ragione delle modifiche apportate ai limiti edittali dal d. Igs. 10/10/2022, n. 150) perché l’imputato aveva già riportato due condanne per delitti di falso documentale (artt. 477-482 cod. pen. e 482 cod. pen.).
Ha, infatti, ritenuto tali reati della stessa indole della calunnia per cui procede e, dunque, suscettibili di configurare la situazione di abitualità che costituisce ragione ostativa all’applicazione della disposizione invocata: facendo per tal via applicazione dell’orientamento di legittimità secondo cui tale requisito, al di là della possibile diversità di bene giuridico tutelato, nonché delle differenze strutturali tra fattispecie, deve essere valutato in rapporto al concreto caso esaminato (cfr. Sez. 5, n. 53401 del 30/05/2018, M., Rv. 274186; Sez. 4, n. 27323 del 04/05/2017, COGNOME, Rv. 270107) e non avendo il ricorrente addotto argomentazioni idonee a superare la valutazione dei Giudici di merito.
Peraltro, essendo stato il fatto commesso nel 2015, risultano decorsi i termini di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, sicché il reato deve essere dichiarato estinto.
La sentenza, dunque, deve essere annullata senza rinvio, con la conferma delle statuizioni civili e la consepenziale condanna a rifondere le spese secondo quanto meglio indicato nel dispositivo.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME NOME e COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 04/06/2024