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Calunnia aggravata: quando la falsa accusa è reato

La Corte di Cassazione si pronuncia su un complesso caso di calunnia aggravata, annullando parzialmente un’ordinanza di arresti domiciliari. La sentenza distingue tra due episodi di presunta calunnia: una contro un giornalista, ritenuta sussistente, e una contro un imprenditore, per la quale si richiede una nuova valutazione. Viene inoltre accolto il ricorso della Procura, imponendo di riesaminare l’aggravante di aver agito per agevolare un’associazione mafiosa. La decisione chiarisce i confini del reato di calunnia, specialmente riguardo alla prova della consapevolezza della falsità dell’accusa.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Calunnia Aggravata: La Cassazione Traccia i Confini del Reato

Con la sentenza n. 20064 del 2024, la Corte di Cassazione offre un’importante analisi sul delitto di calunnia aggravata, delineando con precisione i presupposti per la sua configurabilità. Il caso, complesso e delicato, coinvolge accuse incrociate, presunti legami con la criminalità organizzata di stampo mafioso e il mondo del giornalismo, fornendo spunti fondamentali sulla prova della consapevolezza della falsità di un’accusa.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria trae origine da un’ordinanza che disponeva gli arresti domiciliari per un indagato, accusato di due distinti episodi di calunnia. Entrambi i reati erano contestati con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare un’associazione mafiosa.

Il primo episodio riguardava le dichiarazioni rese dall’indagato contro un noto giornalista televisivo. Quest’ultimo aveva riferito alla Procura che l’indagato gli aveva mostrato una fotografia compromettente, ritraente un potente boss mafioso in compagnia di un ex Presidente del Consiglio e di un ex-generale dei Carabinieri. Interrogato in merito, l’indagato negava categoricamente l’esistenza della foto, definendola una pura “invenzione del giornalista”. Con questa dichiarazione, secondo l’accusa, egli aveva incolpato il giornalista di aver reso false informazioni al pubblico ministero.

Il secondo episodio concerneva un imprenditore, accusato dall’indagato di aver custodito e riciclato ingenti somme di denaro (circa due miliardi di lire) provenienti da un vertice di un’organizzazione mafiosa.

Il Tribunale di Firenze aveva inizialmente concesso gli arresti domiciliari, escludendo però l’aggravante mafiosa. Contro questa decisione avevano proposto ricorso sia la Procura, per il mancato riconoscimento dell’aggravante, sia la difesa dell’indagato, per l’insussistenza delle accuse.

La Decisione della Cassazione sulla Calunnia aggravata

La Corte di Cassazione ha esaminato separatamente i due episodi, giungendo a conclusioni diverse.

Per quanto riguarda la calunnia ai danni del giornalista, la Corte ha rigettato il ricorso della difesa. Affermare che la foto “non esiste” ed è “un’invenzione del giornalista” non è una semplice negazione, ma un’accusa diretta e univoca di aver mentito deliberatamente all’autorità giudiziaria. Secondo la Corte, questa condotta integra pienamente il reato di calunnia, poiché attribuisce a un’altra persona un fatto penalmente rilevante (false informazioni al PM), pur sapendola innocente.

Diversa è stata la valutazione per la calunnia nei confronti dell’imprenditore. Su questo punto, la Cassazione ha accolto il ricorso della difesa, annullando l’ordinanza con rinvio al Tribunale. La Corte ha ritenuto insufficiente la motivazione del giudice di merito, che aveva dedotto la falsità delle accuse mosse dall’indagato semplicemente dal fatto che l’imprenditore le avesse respinte e che non ci fossero prove a sostegno.

Infine, la Corte ha accolto il ricorso della Procura, stabilendo che il Tribunale dovrà riesaminare la sussistenza dell’aggravante di agevolazione mafiosa, la cui esclusione era stata giudicata illogica e non sufficientemente motivata.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della sentenza sono cruciali per comprendere i principi di diritto applicati.

Sul primo punto, la Cassazione ribadisce che per configurare la calunnia non è necessaria una denuncia formale; è sufficiente qualsiasi dichiarazione resa all’autorità giudiziaria che incolpi qualcuno di un reato. Negare l’esistenza di un fatto, attribuendone la narrazione a una “invenzione” altrui, equivale ad accusare quella persona di aver commesso un reato.

Sul secondo punto, la Corte sottolinea un principio garantista fondamentale: la consapevole falsità di un’accusa non può essere desunta automaticamente dalla mancata dimostrazione della sua veridicità. In altre parole, non basta che un’accusa non sia provata perché l’accusatore sia ritenuto un calunniatore. È necessario dimostrare che egli, nel momento in cui ha mosso l’accusa, era pienamente consapevole dell’innocenza dell’incolpato. Il Tribunale dovrà quindi condurre una valutazione più approfondita, considerando tutti gli elementi a disposizione.

Per quanto riguarda l’aggravante mafiosa, la Corte ha ritenuto illogico escluderla a priori, data la natura delle accuse e i soggetti coinvolti, tutti legati a vicende centrali nella storia della criminalità organizzata. La presenza di un possibile movente personale o economico (come la remunerazione per le interviste) non esclude di per sé la finalità di agevolare l’associazione mafiosa, potendo le due finalità coesistere.

Conclusioni

Questa sentenza della Corte di Cassazione offre chiarimenti preziosi sulla calunnia aggravata. Innanzitutto, conferma che negare un fatto accusando un’altra persona di averlo inventato davanti ai magistrati è un comportamento che può integrare il reato. In secondo luogo, e con grande importanza, riafferma che la colpevolezza per calunnia richiede una prova rigorosa della consapevolezza della falsità dell’accusa, non potendosi basare su una semplice assenza di prove a carico della persona accusata. Infine, la decisione ribadisce l’ampia portata dell’aggravante di agevolazione mafiosa, che può sussistere anche in presenza di altri moventi di natura personale. Il caso torna ora al Tribunale di Firenze per una nuova e più attenta valutazione alla luce di questi principi.

Negare un fatto affermando che sia un’invenzione di chi lo ha dichiarato costituisce calunnia?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, affermare che un fatto riportato da una persona all’autorità giudiziaria è una sua “invenzione” non è una semplice difesa, ma un’accusa diretta di aver deliberatamente mentito. Questo comportamento integra il reato di calunnia, poiché incolpa quella persona di aver commesso un reato (false informazioni al pubblico ministero).

Se non ci sono prove a sostegno di un’accusa, chi l’ha mossa è automaticamente colpevole di calunnia?
No. La Corte ha chiarito che la consapevole falsità dell’accusa, elemento essenziale del reato di calunnia, non può essere dedotta semplicemente dalla mancata dimostrazione della sua fondatezza. Per condannare qualcuno per calunnia, è necessario provare che quella persona era cosciente dell’innocenza dell’accusato al momento della sua dichiarazione.

L’aggravante di aver agevolato un’associazione mafiosa può essere esclusa se chi agisce ha anche un interesse economico personale?
No. La Corte ha stabilito che la finalità di agevolare l’associazione mafiosa non deve essere necessariamente l’unica motivazione dell’agente. Essa può coesistere con altri scopi, come un guadagno personale. Pertanto, la presenza di un movente economico non è di per sé sufficiente a escludere l’applicazione di questa specifica aggravante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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