Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20064 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20064 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Firenze
COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/09/2023 del Tribunale di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udite le richieste del AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso proposto dall’indagato e l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, in accoglimento di quello proposto dal AVV_NOTAIO della Repubblica; udite le richieste del difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di accogliere il proprio ricorso e di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso de
AVV_NOTAIO ministero.
RITENUTO IN FATTO
In parziale accoglimento dell’appello proposto dal AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, a norma dell’art. 310 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale che ne aveva respinto la richiesta di misure cautelari personali, il Tribunale di quella città ha disposto l’applicazione degli arresti domiciliari nei confronti NOME COGNOME, in relazione a due delitti di calunnia, aggravati dalla finalità d agevolazione dell’associazione RAGIONE_SOCIALE denominata “RAGIONE_SOCIALE“, ai sensi dell’art. 416-bis.1, cod. pen.
1.1. Uno di questi egli l’avrebbe commesso in danno di NOME COGNOME, per averlo accusato, con dichiarazioni rese al AVV_NOTAIO ministero presso il Tribunale di Firenze, di fatti inquadrabili nei reati di ricettazione e di riciclaggio, puniti artt. 648 e 648-bis, cod. pen., avendo affermato:
che costui aveva custodito una complessiva somma di circa due miliardi di lire, proveniente da NOME COGNOME, elemento di vertice dell’RAGIONE_SOCIALE;
che parte di queste somme, nella misura di ottocento milioni, COGNOME l’aveva consegnata ad esso dichiarante, affinché la girasse a NOME COGNOME – allora esponente della stessa associazione RAGIONE_SOCIALE e successivamente divenuto collaboratore di giustizia – al fine di reinnmetterla nella disponibilità de “mandamento” mafioso del quartiere “Brancaccio” di Palermo, guidato dal COGNOME e dal fratello di questi, NOME;
che esso dichiarante aveva regalato al NOME una somma di denaro, da questi poi impiegata per acquistare una casa nel comune di Ghiffa, in provincia di Verbania, sul lago Maggiore.
1.2. Il secondo caso riguarda il giornalista televisivo NOME COGNOME, il quale, rendendo informazioni al medesimo ufficio del AVV_NOTAIO ministero, aveva dichiarato: che, durante un loro incontro, COGNOME gli aveva mostrato una fotografia, dicendogli che risaliva all’anno DATA_NASCITA; che tale fotografia ritraeva predetto COGNOME insieme ad altre due persone, da esso dichiarante riconosciute per il Generale dei Carabinieri NOME COGNOME e per l’ex-Presidente del Consiglio dei Ministri NOME COGNOME; che COGNOME gli aveva riferito dell’esistenza di u documento contenente precise indicazioni sulla vicenda divenuta nota come la “RAGIONE_SOCIALE“.
Successivamente interrogato dallo stesso AVV_NOTAIO ministero sul punto, COGNOME, reso edotto di quanto dichiarato da COGNOME, aveva negato la circostanza, affermando che «la foto non esiste» e che si trattava di «un’invenzione del giornalista», altresì negando di aver mai parlato con questi del documento sulla “RAGIONE_SOCIALE“, del quale non conosceva l’esistenza.
In questo modo – secondo l’accusa – egli avrebbe accusato COGNOME del delitto di false informazioni al AVV_NOTAIO ministero, previsto e punito dall’art. 371-bis, cod. pen., nonché di quelli di diffamazione e calunnia (artt. 595 e 368, cod. pen.) ai danni di NOME.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, impugnando esclusivamente il punto relativo all’esclusione dell’aggravante della finalità di agevolazione dell’associazione RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” (art. 416-bis.1, cit.).
2.1. Secondo l’Ufficio ricorrente, COGNOME avrebbe agito con l’intento di agevolare detta RAGIONE_SOCIALE criminale, «interessata a delegittimare chi accusa e a non accreditare l’esistenza di accuse nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, legati all’RAGIONE_SOCIALE e parti dell’accordo stragista, funzionale al scambio tra il compimento dei delitti citati e interventi sulla legislazione afferente fra l’altro, al regime detentivo applicato ai detenuti per RAGIONE_SOCIALE» (così si legg nell’incolpazione provvisoria).
2.2. Il Tribunale ha escluso l’aggravante perché le interviste con il giornalista COGNOME prevedevano una remunerazione, ed altresì perché COGNOME sarebbe persona legata non solo ai fratelli COGNOME ma «con raccordi riconducibili altrove», come si evincerebbe dall’aver anticipato al giornalista NOME COGNOME – della redazione della trasmissione televisiva “RAGIONE_SOCIALE” della RAGIONE_SOCIALE – l’imminente cattura di NOME COGNOME, uno dei capi di “RAGIONE_SOCIALE“, latitante da decenni, riferendogli altresì di contatti intrattenuti con esponenti dei servizi segreti.
2.3. La ricorrente Procura distrettuale censura l’incoerenza logica della decisione, una volta che lo stesso Tribunale abbia ritenuto dimostrati i dati di fatto su cui poggia l’accusa, e cioè, essenzialmente: gli strettissimi, qualificati, risalen ma ancora attuali legami personali tra COGNOME ed i fratelli COGNOME, in particolare NOME; il ruolo di primo piano di costoro, già processualmente accertato, all’interno della compagine RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, con riferimento alla c.d. “stagione delle stragi” dei primi anni ’90 del secolo scorso; la natura calunniosa delle accuse mosse dal ricorrente a NOME e NOME; l’unico denominatore comune di tali condotte, per il resto eccentriche, ovvero quello della delegittimazione d possibili fonti probatorie per l’indagine in corso su quelle stragi.
Ne discende – ad avviso dell’Ufficio ricorrente – che il movente e lo scopo di tali calunnie non possa individuarsi che nell’interesse di “RAGIONE_SOCIALE” a preservare e mantenere in vita i legami con le forze politiche con cui sarebbe intervenuto il “RAGIONE_SOCIALE stragista”, al fine di realizzare l’obiettivo perseguito attraverso di es ovvero interventi normativi che allentino il regime detentivo di rigore per i mafiosi.
In quest’ottica – prosegue il ricorso – le condotte calunniose del COGNOME, per la rilevanza del contesto e dei soggetti a vario titolo da esse coinvolti, si presentano oggettivamente capaci di agevolare, anche solo potenzialmente, l’associazione RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, poco importerebbe se COGNOME perseguisse concorrenti scopi di lucro personale, legàti alla remunerazione delle interviste con COGNOME: per la configurazione dell’aggravante in parola, infatti, la finalità agevolativ dell’associazione RAGIONE_SOCIALE non necessariamente dev’essere quella esclusiva dell’agente.
La decisione del Tribunale è stata impugnata anche dall’indagato, per il tramite del proprio difensore, sulla base di tre motivi, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente esposto.
3.1. Il primo consiste nella violazione di legge e nei vizi della motivazione in punto di gravità indiziaria.
3.1.1. Relativamente alla calunnia verso il giornalista COGNOME, gli argomenti difensivi, che il ricorso rassegna anche con il richiamo dei passaggi qualificanti dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, il quale aveva escluso l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza, possono così sintetizzarsi:
il delitto di calunnia presuppone che la falsa accusa venga resa in un atto formale di denuncia, querela, richiesta o istanza di punizione, mentre il verbale d’informazioni al AVV_NOTAIO ministero ha natura e funzioni diverse;
il Tribunale si limita essenzialmente a considerare la difformità delle dichiarazioni sull’esistenza della fotografia, rese da COGNOME e COGNOME;
la falsa accusa di un reato presuppone che l’agente si raffiguri e conosca, seppur non in dettaglio, gli elementi strutturali del reato da lui falsamente attribuito ad altri: nel caso in esame, invece, l’ordinanza non spiega da dove si desuma che COGNOME si sia rappresentato che la negazione dell’esistenza della foto potesse far sorgere un’accusa di false informazioni al AVV_NOTAIO ministero e diffamazione a carico del COGNOME;
più che l’esistenza della foto, COGNOME ha negato di averne la disponibilità (si citano, a tal proposito, brani di sue conversazioni intercettate con familiari ed un giornalista): e, in effetti, essa non è mai stata rinvenuta in suo possesso né, comunque, c’è prova della sua esistenza;
è ben possibile che COGNOME abbia tratto in inganno COGNOME, mostrandogli una foto ma rappresentandogliene un contenuto difforme dal vero, che il giornalista non ha potuto verificare, avendola vista in condizioni di tempo e di luce non favorevoli;
perché sia configurabile il delitto di calunnia, occorre il pericolo concreto che si avvii un’indagine nei confronti del soggetto falsamente accusato; nello
specifico, invece, ciò non poteva verificarsi, poiché gli inquirenti avevano intercettato i contatti tra COGNOME e COGNOME, potendo perciò verificare in anticipo tenore delle loro conversazioni, da cui emergeva palesemente la buona fede del giornalista: di qui, l’impossibilità, in concreto, d’indagare quest’ultimo p eventuali delitti commessi con le sue dichiarazioni al AVV_NOTAIO ministero;
non avendo mai avuto la disponibilità della ipotetica foto, COGNOME non poteva dichiarare il contrario agli inquirenti, poiché, in tal caso, egli si sarebb reso responsabile del delitto di cui al citato art. 371-bis;
l’ordinanza, infine, non esamina le ragioni per cui si debba ritenere che COGNOME abbia accusato COGNOME di avere, con le sue dichiarazioni, anche diffamato COGNOME.
3.1.2. Riguardo alla calunnia verso NOME, i passaggi significativi del ricorso, in sintesi, sono i seguenti:
la mancanza, anche in questo caso, di una denuncia, querela, richiesta o istanza di punizione, trattandosi di dichiarazioni rese da COGNOME in sede d’informazioni al AVV_NOTAIO ministero;
l’assenza, per COGNOME come per COGNOME, di un concreto pericolo di essere sottoposto ad indagini, in questo caso, però, per una ragione diversa, ovvero perché gli ipotetici reati di riciclaggio e ricettazione, dei quali COGNOME l’avreb accusato, si collocherebbero, al più tardi, nel 1997, e quindi sarebbero all’evidenza estinti per prescrizione, senza alcuna necessità d’indagine;
il Tribunale si è limitato a valorizzare la mancata dimostrazione di quelle accuse, rilevando: che esse non sono sorrette da alcuna documentazione, anche soltanto informale; che l’immobile di proprietà del COGNOME situato a Ghiffa è a lui pervenuto per via ereditaria; che COGNOME nutrisse rancore verso la moglie di costui, la quale aveva presentato nei suoi confronti due denunce;
tuttavia, il mancato accertamento della veridicità delle accuse non equivale a dimostrarne la consapevole falsità; piuttosto, va evidenziato che la negazione delle stesse da parte di NOME e di sua moglie rientra nella fisiologia della dialettica investigativa; che il trascorrere di un lungo periodo di tempo può aver reso difficile la verifica di un acquisto dell’immobile di Ghiffa, da costoro eventualmente compiuto tramite interposta persona, non essendo stata comunque compiuta un’indagine specifica sulle modalità di tale acquisizione; che è logicamente improbabile trovare traccia documentale di spostamenti di denaro illegali; che COGNOME, in alcune indagini del passato, è stato accostato ai COGNOME.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunciano violazioni di legge e vizi di motivazione in punto di esigenze cautelari.
Il Tribunale – si rileva – ha ravvisato l’esistenza di esigenze cautelari, perché COGNOME avrebbe commesso i reati con modalità inquietanti, ovvero con dichiarazioni all’autorità giudiziaria ed attraverso i sodal.
Al riguardo, tuttavia, la difesa obietta quanto segue: che la calunnia non possa commettersi altrimenti che mediante dichiarazioni all’autorità giudiziaria; che irrilevante, ai fini di una possibile reiterazione del reato, è l’utilizzo piattaforme social; che, infine, non può esistere un pericolo di c.d. “inquinamento” probatorio rispetto ad un reato – se esistente – dimostrato da atti giudiziari già perfezionati.
3.3. Il terzo motivo lamenta i medesimi vizi, con riferimento alla parte dell’ordinanza relativa alla scelta di una misura custodiale, giustificata – secondo la difesa – da mere clausole di stile e senza una reale spiegazione delle ragioni per cui non possa ritenersi adeguata una misura più blanda.
Oltre, poi, a ribadire l’irrilevanza dell’uso dei social rispetto alla fattispecie della calunnia, la difesa ha evidenziato l’inutilità di una misura custodiale, posto che nulla vieterebbe all’indagato, pur in costanza di restrizione, di sporgere denunce all’autorità giudiziaria verso chicchessia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Evidenti ragioni di pregiudizialità logica rendono necessario trattare prioritariamente il ricorso della difesa, dato che con esso si contesta la configurabilità dei reati oggetto d’addebito provvisorio e non solamente di una circostanza aggravante, come invece fa il AVV_NOTAIO ministero con la sua impugnazione.
In quanto comune ad entrambi gli episodi delittuosi ipotizzati e tale, se fondata, da escludere la configurabilità dei reati e da assorbire, perciò, tutte le altre, va anzitutto esaminata la doglianza relativa alla forma della falsa accusa, alla necessità, cioè, che essa venga formulata in un tipico atto di denuncia.
La censura è manifestamente infondata.
Questa Corte ha più volte avuto modo di precisare che, in tema di calunnia, non è necessaria per la configurabilità del reato una denuncia in senso formale, essendo sufficiente che taluno, rivolgendosi in qualsiasi forma all’autorità giudiziaria ovvero ad altra autorità avente l’obbligo di riferire ad essa, esponga fatti concretanti gli estremi di un reato, addebitandoli a persona di cui conosce l’innocenza (tra moltissime altre, v. Sez. 6, n. 12076 del 19/02/2020, COGNOME Miceli, Rv. 278724; Sez. 6, n. 44594 del 08/10/2008, COGNOME, Rv. 241654).
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Venendo, quindi, ai singoli reati oggetto d’incolpazione, e seguendo l’ordine di esposizione del ricorso, vanno esaminate le doglianze riguardanti il delitto di calunnia verso il giornalista COGNOME.
Nessuna di esse è fondata.
2.1. Secondo quanto si legge nell’ordinanza impugnata, che il ricorso non denuncia essere il prodotto di un travisamento delle risultanze probatorie e che, pertanto, non può essere sindacata da questa Corte in punto di ricostruzione dei fatti, COGNOME, al contrario di quanto prospettato nel suo ricorso, non si è limitato a sostenere di non essere in possesso della fotografia ritraente COGNOME, COGNOME e COGNOME, né ha addotto che COGNOME avesse male inteso o percepito, od anche, magari, che egli l’avesse deliberatamente tratto in inganno, mostrandogli una fotografia non genuina o rappresentandogliene un contenuto difforme da quello effettivo.
Informato dai pubblici ministeri che lo interrogavano delle dichiarazioni rese agli stessi dal giornalista, secondo cui egli gli aveva mostrato quella immagine, COGNOME ha affermato, senza mezzi termini, che «la foto non esiste» e si trattava di «un’invenzione del giornalista». È evidente, dunque, che, in questo modo, egli ha escluso qualsiasi possibilità di equivoco, apertamente ed univocamente accusando COGNOME di aver deliberatamente mentito allorché aveva reso ai pubblici ministeri le proprie dichiarazioni, “inventandosi”, appunto, la circostanza relativa all’esibizione di una fotografia, poco importa se vera o falsa.
In presenza, dunque, di un tale contrasto di dichiarazioni, non vi può essere un’alternativa: nel rendere le rispettive informazioni all’autorità giudiziari inquirente, o ha mentito COGNOME o ha mentito COGNOME.
Tuttavia, se nessuno, neppure la difesa ricorrente, adduce un eventuale interesse del giornalista che potesse razionalmente giustificare una sua menzogna, COGNOME, al contrario, viene descritto nell’ordinanza impugnata come un soggetto dalle relazioni opache anche con apparati istituzionali; ma soprattutto – secondo quanto illustrato in dettaglio dal Tribunale (pagg. 19 ss. ord.) – egli ha riferit dell’esistenza di quella fotografia anche ad un altro giornalista, che ha pure registrato il loro colloquio, fornendone la traccia audio agli inquirenti.
Deve pertanto ritenersi ragionevolmente illustrata, entro i limiti propri della cognizione in sede cautelare, e come tale sottratta al sindacato di legittimità affidato a questa Suprema Corte, la conclusione raggiunta dal Tribunale in punto di gravità indiziaria, secondo cui a mentire sia stato COGNOME, con la conseguenza che l’accusa da lui formulata a carico di COGNOME debba, allo stato, riteners scientemente calunniosa.
3 .2. Ricostruito il fatto nei termini esposti dall’ordinanza impugnata, non può non rilevarsi, infatti, come l’indagato, nel momento in cui ha reso quella
dichiarazione, si sia rappresentato che stava accusando il giornalista di aver commesso un reato.
Per l’esistenza del dolo di calunnia, infatti, non è necessario che l’accusatore sia consapevole dell’esistenza di una specifica norma incriminatrice della condotta da lui falsamente attribuita ad altri, essendo sufficiente, invece, che egli sia consapevole del fatto che tale condotta sia comunque vietata e punita dalla legge penale.
Nel caso specifico, pertanto, considerando la tipologia della condotta attribuita a COGNOME, quella, cioè, di aver dichiarato il falso ad un’autorità giudizia nell’àmbito di un’indagine penale e nel corso di una formale audizione, si rivela infondata l’obiezione difensiva con cui si dubita di tale consapevolezza da parte dell’indagato, trattandosi di un comportamento – quello oggetto delle sue accuse – la cui illiceità penale può considerarsi ab immemorabile patrimonio comune della generalità degli ordinamenti.
3.3. Egualmente infondata è l’osservazione difensiva per cui non si sarebbe concretizzato, nel caso in esame, il pericolo dell’avvio di un’indagine nei confronti di COGNOME.
Perché possa configurarsi il delitto di calunnia, trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente l’astratta possibilità dell’inizio di un procedimento penale a carico della persona falsamente incolpata; esso, perciò, non è integrato soltanto nell’ipotesi in cui la falsa accusa abbia ad oggetto fatti manifestamente inverosimili o incredibili, per i modi e le circostanze in cui è stata effettuata o per l’assoluta inattendibilit del contenuto, così che, per l’accertamento della sua infondatezza, non sia necessario svolgere alcuna indagine, risultando in tal caso l’azione sostanzialmente priva dell’attitudine a ledere gli interessi protetti a norma dell’art 49, cod. pen.. (Sez. 6, n. 26177 del 17/03/2009, COGNOME, Rv. 244357).
Deve trattarsi, in altri termini, di addebiti che non rivestano il carattere del serietà, compendiandosi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare, perché in contrasto con i più elementari principi della logica e del buon senso, la concreta ipotizzabilità del reato denunciato (Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, COGNOME, Rv. 272754; Sez. 6, n. 10282 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 259268).
Si versa, dunque, nel caso in esame, in un’ipotesi certamente non riconducibile alle richiamate fattispecie, sol che si pensi: alla complessità della più ampia vicenda oggetto dell’indagine in cui le dichiarazioni sono state rese dai vari soggetti; al fatto che, per lo specifico episodio della fotografia, non vi siano alt elementi di prova diversi dalle contrapposte dichiarazioni dei soggetti in esso coinvolti; nonché alla circostanza per cui – secondo quanto prospetta la difesa l’innocenza dell’accusato COGNOME deriverebbe dal suo difetto di dolo: profilo, questo,
che però, in linea AVV_NOTAIO, raramente è suscettibile di accertamento immediato, ma soprattutto che, nel caso specifico, la stessa difesa ricorrente finisce contraddittoriamente per lasciare in dubbio, nel momento in cui non indica a chiare lettere quale sarebbe stato il comportamento tenuto nell’occasione da COGNOME (se, cioè, egli non abbia esibito a COGNOME alcuna fotografia oppure se gli abbia mostrato un falso o, ancora, gli abbia fatto vedere una foto autentica, tuttavia descrivendone il contenuto in modo inveritiero e senza consentire al suo interlocutore di esaminarlo compiutamente).
3.4. D’altro canto, neppure può sostenersi che COGNOME si sia trovato costretto a rendere quelle false accuse all’indirizzo di COGNOME per la necessità di evitare d rendere egli stesso false informazioni al AVV_NOTAIO ministero (affermando l’esistenza di una fotografia in realtà inesistente), oppure di occultare un eventuale inganno da lui ordito ai danni di costui e, quindi, per non disvelare la sua penale responsabilità per un tentativo di truffa, così da rendere ipotizzabile l’applicazione, in suo favore, della scriminante dell’art. 384, cod. pen.: quella, cioè, di aver agito per la necessità di salvarsi da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.
Per sollevarsi da qualsiasi rischio di incriminazione, infatti, gli sarebbe stato sufficiente allegare che COGNOME lo avesse frainteso o fosse altrimenti incorso in errore sul contenuto della fotografia, senza necessariamente doverlo accusare di essersi “inventato” tutto: di qui, l’assenza del requisito dell’inevitabilità altrime dell’eventuale nocumento, necessario perché detta esimente, in ipotesi, possa trovare applicazione.
3.5. Da ultimo, infondata deve ritenersi la censura dedotta in ordine al difetto di motivazione dell’ordinanza sulla circostanza per cui COGNOME, sostenendo che COGNOME abbia detto il falso agli inquirenti, lo avrebbe accusato anche del delitto d diffamazione ai danni di COGNOME.
È invero incontestabile che, semmai non vera, l’affermazione di quel giornalista di aver visto una fotografia che ritraeva NOME in compagnia di un individuo giudicato da plurime sentenze come un importantissimo capo-RAGIONE_SOCIALE, e come tale altresì noto alle cronache, fosse idonea ad arrecare un gravissimo pregiudizio all’onore di colui che, all’epoca, era un politico di primissimo piano.
5.6. Per quel che attiene, dunque, al quadro di gravità indiziaria delineato per il reato di calunnia provvisoriamente ipotizzato nei confronti di NOME, il ricorso è infondato e deve essere sul punto rigettato.
Non altrettanto deve dirsi per quel che riguarda l’analogo delitto che l’indagato è accusato di aver commesso ai danni di NOME COGNOME.
4 .1. Privo di fondamento è l’assunto difensivo dell’inesistenza di un pericolo di avvio di indagini a carico di costui, in ragione del fatto che le accuse rivolteg da COGNOME riguardassero reati comunque prescritti.
In proposito, è sufficiente rammentare la pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui il delitto di calunnia è realizzato anche quando il reato attribuito all’innocente sia estinto per prescrizione al momento della denuncia, in quanto l’accertamento dell’estinzione del reato presuppone comunque la verifica della configurabilità dell’ipotesi criminosa e l’analisi dell’individuazione del decorrenza del termine prescrizionale, le quali richiedono un accertamento già idoneo a realizzare lo sviamento dell’amministrazione della giustizia, poiché si sviluppa su circostanze non veritiere (fra molte, Sez. 2, n. 14761/2017, dep. 2018, COGNOME, cit., Rv. 272753).
4 .2. Merita accoglimento, invece, la doglianza difensiva mossa in ordine alla inadeguatezza del percorso argomentativo dell’ordinanza a sorreggere un giudizio di gravità indiziaria, intesa come qualificata probabilità – in questo caso – di sussistenza del reato.
In effetti, il Tribunale giunge a ritenere calunniose le accuse formulata da COGNOME a COGNOME soltanto perché da quest’ultimo respinte e non altrimenti suffragate. Non si misura criticamente, invece, con le osservazioni difensive che ragionevolmente sviliscono la rilevanza di tali aspetti, evidenziando, per un verso, l’ovvio interesse del COGNOME a stornare da sé la grave ed infamante accusa di aver riciclato i denari provenienti da COGNOME; nonché, per l’altro, l’oggettiva difficolt di rinvenire elementi di conferma di operazioni finanziarie per interposta persona eventualmente avvenute vari lustri prima.
Si tratta di profili fattuali, invece, che richiedono un più attento vagl delibativo, non potendo la consapevole falsità di un’accusa desumersi semplicemente dalla mancata dimostrazione della sua fondatezza, come in definitiva ha fatto il Tribunale per questa parte dell’impugnata ordinanza.
4 .3. Relativamente, dunque, al giudizio di gravità indiziaria per il delitto d calunnia ipotizzato nei confronti di COGNOME, il ricorso è fondato e l’ordinanza impugnata dev’essere annullata, con rinvio del giudizio al giudice di merito, affinché provveda ad eliminare i vizi rilevati, colmando la relativa lacuna motivazionale.
57 Dev’essere accolto, inoltre, il ricorso proposto dal AVV_NOTAIO ministero avverso il mancato riconoscimento dell’aggravante della finalità di agevolare l’associazione RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, perseguita dall’indagato con la sua condotta calunniosa, dovendo su questo punto il Tribunale emendare o integrare la propria motivazione, anche alla luce delle conclusioni cui perverrà in merito alla
ricostruzione della vicenda relativa all’imputazione di calunnia provvisoriamente formulata nei confronti del COGNOME.
Al riguardo, illogica deve ritenersi l’esclusione dell’esistenza di detta circostanza aggravante allorché venga riconosciuto un quadro di gravità indiziaria in relazione a due delitti di calunnia completamente distinti, per contenuti, contesti, destinatari e finanche per tempi di commissione, e che presentano un solo elemento comune: la potenziale incidenza negativa sulla valenza dimostrativa di rilevanti risultanze investigative a carico di uno dei vertici di “RAGIONE_SOCIALE“, raccolte nell’àmbito di un’indagine giudiziaria su un fatto centrale per la vita e gl interessi di quel sodalizio criminale.
Del tutto oscuro, poi, e perciò tale da meritare ulteriori spiegazioni, è il riferimento, quale possibile finalità alternativa perseguita dal COGNOME, a suoi “contatti” con i servizi segreti ed alla previsione di una remunerazione per le sue interviste con COGNOME, che comunque non giustificherebbero le accuse calunniose verso COGNOME, laddove accertate.
Peraltro, ove anche si consideri la evocata circostanza degli stretti e perduranti rapporti personali di COGNOME con i fratelli COGNOME, è razionalmente arduo ipotizzare che quegli abbia agito per favorire soltanto costoro uti singuli e non, invece, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel suo complesso, tenuto conto che si trattava di soggetti posti all’apice delle gerarchie del predetto sodalizio e di vicende riguardanti un interesse primario di tutti gli aderenti ad esso, qual è l’ammorbidimento del c.d. “carcere duro”.
Giova ricordare, in proposito, che – come correttamente rilevato dal AVV_NOTAIO ministero nel suo ricorso – la finalità agevolativa dell’associazione criminale, perché l’aggravante possa configurarsi, deve sì costituire lo scopo diretto perseguito dall’agente, ma non anche quello esclusivo, potendo la sua azione essere sorretta anche da concorrenti finalità egoistiche (fra moltissime altre, Sez. 6, n. 29311 del 03/12/2014, dep. 2015, Cioffo, Rv. 264082): di qui, dunque, la non decisività di per sé, in senso ostativo al riconoscimento dell’aggravante, dell’eventuale intento speculativo del COGNOME, sotteso alle sue interviste televisive con il giornalista COGNOME.
Anche, in definitiva, sul punto relativo all’esclusione dell’aggravante dell’aver agito per agevolare l’associazione RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, l’ordinanza impugnata dev’essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, affinché il Tribunale provveda ad eliminare i rilevati vizi della motivazione.
6 . La necessità di rivedere il giudizio di gravità indiziaria in relazione a profi essenziali come la sussistenza di un reato e di una circostanza aggravante ad effetto speciale, la quale, peraltro, renderebbe operante la presunzione legale
dell’esistenza di esigenze cautelari e dell’esclusiva adeguatezza della custod carcere (art. 275, comma 3, cod. proc. pen.), impone l’annullamento con rinvi del provvedimento impugnato anche per una nuova e più compiuta verifica delle predette esigenze e delle misure più adeguate alla loro salvaguardia, laddo ritenute esistenti.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso del AVV_NOTAIO ministero, annulla l’ordinanz impugnata relativamente all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1, cod. pen..
In parziale accoglimento del ricorso proposto da COGNOME NOME, annulla altresì l’ordinanza impugnata relativamente alla imputazione provvisoria calunnia nei confronti di COGNOME NOME sub 2), rigettando nel resto il ricorso.
Rinvia per nuovo giudizio sui predetti capi al Tribunale di Firenze, competent ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2024.