Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32036 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32036 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Gioia Tauro il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/07/2023 della Corte di appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore della parte civile NOME NOME, avvocato NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso, con conferma delle statuizioni civili, nonché la liquidazione delle spese; udite le conclusioni dei difensori di COGNOME NOME, avvocato NOME COGNOME e avvocato NOME COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14/09/2022 il Tribunale di Milano ha dichiarato NOME COGNOME, all’epoca in servizio presso la polizia locale di Milano, responsabile del reato di calunnia aggravata commesso nei confronti del proprio ex Comandante, NOME
COGNOME (capo 1) e del reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 (capo 2).
La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha riqualificato tale ultimo reato in quello di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n 309/1990 e ha, conseguentemente, rideterminato la pena.
I fatti per cui è intervenuta condanna attengono:
alla calunnia reale commessa in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME e consistita nell’incolpare falsamente del reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/1990, simulandone le tracce, il Comandante del comando di polizia locale di Corbetta, dove l’imputato aveva prestato servizio e da cui era stato allontanato per mancato superamento del periodo di prova. Il reato è stato commesso facendo rinvenire n. 5 involucri di cocaina del peso lordo di 3,1 gr. all’inter dell’autovettura della persona offesa (capo 1);
al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 per essersi illecitamente procurato e aver ceduto in modo occulto a NOME COGNOME cocaina, in modo da far apparire l’illecito possesso della stessa (capo 2, commesso sempre in concorso con COGNOME e COGNOME).
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo dei propri difensori, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo vengono dedotti i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione all’art. 603 cod. proc. pen. La difesa aveva richiesto l’integrazione dell’istruttoria in appello mediante l’analisi del reperto di sostanz stupefacente in sequestro, al fine di provare che il ricorrente non lo aveva mai toccato. Con motivazione illogica, però, la Corte di appello ha disatteso tale richiesta, ritenendo l’accertamento non indispensabile ai fini della decisione.
Inoltre, era stata richiesta l’acquisizione di alcune chat scambiate su whapp idonee a dimostrare che il rapporto conflittuale con la persona offesa non ha avuto origine nel risentimento dell’imputato per il proprio allontanamento dal comando di Corbetta per mancato superamento del periodo di prova ma è dovuto alla scoperta di fatti illeciti commessi dalla donna, fatti che egli aveva appreso al momento del suo arrivo al comando e sui quali aveva iniziato a indagare. Anche tale istanza è stata disattesa, in modo illogico, dalla Corte, che ha ritenuto le conversazioni non rilevanti perché attenenti a fatti non oggetto di imputazione.
2.2. Con il secondo motivo vengono dedotti i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione agli artt. 192 e 533 cod proc. pen.
La sentenza è contraddittoria, laddove afferma sia che le voci sull’assunzione di stupefacenti da parte della persona offesa e del sindaco, con cui la donna aveva una relazione, erano circolate prima dell’arrivo dell’imputato al comando, sia che quest’ultimo fu il primo a diffonderle, ed erra nella valutazione dei singoli elementi indiziari, privi dei caratteri di certezza, gravità, precisione e concordanza, ritenendo certo, con motivazione che, in realtà, non trova riscontro nel materiale probatorio, che l’imputato sia rimasto a casa con la compagna il giorno 03/01/2023 fino alle ore 20.00, uscendo solo dopo aver appreso da quest’ultima che la persona offesa aveva scritto su una chat comune che stava andando in palestra. Il provvedimento impugnato, inoltre, non spiega adeguatamente l’assenza di segni di effrazione sull’auto della NOME né affronta compiutamente la censura difensiva secondo cui la conoscenza dell’indagine in corso da parte dei carabinieri nei confronti della persona offesa e dell’avvenuta installazione di un GPS sulla sua auto sarebbero stati ostativi al compimento dei fatti di reato addebitati a COGNOME, che con i carabinieri stava collaborando ben prima del ritrovamento dello stupefacente.
Il ricorrente censura, infine, l’attendibilità della persona offesa, che è incorsa i numerose contraddizioni, anche in riferimento alla persona sospettata di aver occultato lo stupefacente; sotto altro profilo segnala che sarebbero stati necessari riscontri alla sua deposizione, tenuto conto della conflittualità esistente con l’imputato e della circostanza che la stessa si è costituita parte civile.
2.3. Con il terzo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, poiché il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, e cioè la salute pubblica, non è stato messo in pericolo da COGNOME, che, anzi, con la condotta che gli viene addebitata ha sottratto droga dal mercato, in quanto l’unica finalità dell’acquisto sarebbe stata quella di accusare falsamente la persona offesa, occultando lo stupefacente nella sua vettura e facendolo sequestrare.
2.4. Con il quarto motivo si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione all’art. 368 cod. pen., in quanto, anche laddove si dovesse ritenere provata la condotta materiale addebitata a COGNOME, essa non integrerebbe il delitto di calunnia, perché l’illecito simulato ha natura amministrativa (essendo riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 75 d.P.R. 309/1990) e non penale.
2.5. Con il quinto, il sesto e il settimo motivo si articolano i vizi di violazione legge e di difetto di motivazione in relazione al profilo circostanziale. Erroneamente la Corte di appello ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., in quanto la reazione dell’imputato non è abietta né futile, né sproporzionata al torto subito in ambito lavorativo (allontanamento dal comando di Corbetta per mancato superamento del periodo di prova).
Inoltre, è insussistente l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 cod. pen., in quanto la qualifica di COGNOME si è rivelata del tutto ininfluente rispetto all’azione delittu asseritamente compiuta.
Infine, insussistente è anche l’aggravante di cui all’art. 61 n. 10 cod. pen., in quanto la persona offesa non rivestiva la qualifica di pubblico ufficiale fuori dall’orario di servizio e dal Comune ove svolgeva funzioni di comandante della polizia locale.
2.6. Con l’ottavo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione con riferimento alla commisurazione della pena e alla omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti contestate.
Con pec del 04/04/2024 sono stati presentati motivi aggiunti con cui si insiste per la valutazione di ammissibilità del ricorso e si chiede di produrre la sentenza di assoluzione emessa nei confronti di NOME COGNOME in data 08/11/2023 (definitiva il 07/02/2024), che non poteva essere prodotta nel giudizio di appello, perché ad esso successiva.
Disposta la trattazione orale del procedimento, le parti hanno concluso come in epigrafe indicato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente va accolta la richiesta di produzione della sentenza emessa nei confronti di NOME COGNOME in data 08/11/2023 (definitiva il 07/02/2024), ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. Questa Corte si è già espressa in tal senso, affermando che l’irricevibilità di documenti nuovi in sede di legittimità, che trova ragione nel ruolo di pura legittimità della Corte di cassazione, subisce una eccezione nella produzione di quei documenti che l’interessato non era stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 6, n. 13461 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284473 – 01).
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Premesso che il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice di appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Sez. 3, n. 34626 del 15/07/2022, 283522), la Corte di appello, con argomentazione
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logica e immune da vizi, ha motivato in ordine all’assenza dei presupposti di cui all’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., in quanto le conversazioni di cui è stata richiesta l’acquisizione non rivestono carattere di decisività ai fini del decidere.
La sentenza sottolinea, poi, che la completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile la richiesta di analisi del reperto, che ha carattere del tutto esplorativo, in quanto finalizzata alla ricerca di nuovi elementi di prova.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Con motivazione estremamente analitica, logica e non contraddittoria, la Corte ha ricostruito gli spostamenti dell’imputato il giorno in cui è stata ritrovato stupefacente non solo attraverso l’esame delle celle telefoniche agganciate con le chiamate effettuate dal proprio telefono cellulare e dei tabulati del traffico telefonico ma anche attraverso la visione delle immagini delle telecamere comunali site sulla pubblica via, che hanno ripreso i movimenti dell’autovettura dell’imputato fino al momento in cui è giunto nei pressi della palestra dove si trovava parcheggiata l’auto della persona offesa (ore 20.46). Alle ore 21.13 tale NOME ha segnalato ai carabinieri di aver consegnato stupefacente alla «signora .. NOME» indicando solo il luogo (comune di Baranzate); poco dopo imputato ha inviato un messaggio ai carabinieri confermando la circostanza, asseritamente appresa da una propria fonte, e aggiungendo che lo stupefacente era stata occultato dentro l’autovettura, precisando anche il luogo ove era parcheggiata. In una successiva comunicazione con i carabinieri ha riferito che era la sua stessa fonte ad aver effettuato la segnalazione, su sua indicazione.
Il ricorrente sostiene che la conoscenza dell’indagine in corso da parte dei carabinieri nei confronti della persona offesa e dell’avvenuta installazione di un GPS sulla sua auto sarebbero stati ostativi al compimento dei fatti di reato addebitatigli ma la Corte di appello, con percorso argomentativo immune da censure, osserva che proprio perché l’auto era monitorata l’imputato aveva la certezza che i suoi spostamenti sarebbero coincisi con le segnalazioni ai carabinieri, le quali avrebbero avuto, quindi, maggior credibilità.
Infondata è anche la deduzione dell’omessa valorizzazione della collaborazione dell’imputato con i carabinieri; dalla sentenza emerge che i carabinieri stavano svolgendo una indagine per reati contro la pubblica amministrazione nei confronti della persona offesa e del sindaco mentre l’imputato ha ripetutamente segnalato loro presunte consegne di stupefacente a NOME sin dalla primavera del 2019 (pag. 24 e ss.). Anzi, proprio il numero di segnalazioni (nel giugno 2019, il 01/08/2019, il 03/09/2019, il 16/12/2019 e, infine, il 03/01/2020) è ritenuto «di fondamentale importanza, perché denota la precipua volontà di sollecitare un
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contro
llo di quest’ultima da parte delle forze dell’ordine, al fine di trovarla i possesso di sostanza stupefacente» (pag. 25).
In questo contesto, essendo incontestato che l’imputato diffuse la notizia relativa alla assunzione di sostanza stupefacente da parte della persona offesa, unitamente al sindaco COGNOME, è irrilevante stabilire se egli ne fu anche la prima fonte.
La motivazione della sentenza, infine, si sottrae alle censure svolte nell’atto di ricorso in ordine assenza di segni di effrazione sull’auto della persona offesa, spiegabile in ragione della esperienza maturata dall’imputato come ufficiale di polizia giudiziaria nel settore del contrasto agli stupefacenti, in cui spesso si deve ricorrere, direttamente o mezzo di intermediari, all’apertura di serrature (p. 38).
Quanto, infine, all’attendibilità della persona offesa rileva il Collegio che si tratt di questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609). La sentenza impugnata sul punto è motivata in modo logico e coerente in ordine ai rapporti tra l’imputato e la persona offesa, alla mancata assunzione di sostanze stupefacenti da parte di quest’ultima, alla reazione a fronte del ritrovamento di stupefacente.
4. Il terzo motivo di ricorso è infondato in quanto il delitto di cui all’art. 73 d.P.R n. 309/1990 è stato integrato con l’acquisto a fini di cessione di sostanza stupefacente, come correttamente rilevato dal giudice di appello.
5. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Ai fini della configurabilità del reato di calunnia, che è reato di pericolo, occorre soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile; cosicché soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, è da ritenere insussistente l’elemento materiale del delitto di calunnia (Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, COGNOME, Rv. 272754 – 01).
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi, sottolineando che la suddivisione dello stupefacente in diversi involucri e le modalità particolarmente accorte del suo occultamento rendevano concretamente ipotizzabile la fattispecie di reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/1990, come
confermato dal fatto che effettivamente nei confronti della persona offesa è stato iscritto un procedimento per tale reato.
6. Infondati sono i motivi di ricorso relativi alle aggravanti; la Corte di appello ha ampiamente motivato in relazione alla sussistenza dei futili motivi di cui all’art. 61 n. 1. cod. pen., sulla base della sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato (torto subito per l’allontanamento dal comando della polizia municipale di Corbetta) e del dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale. L’imputato, infatti, pur avendo ottenuto ragione dal giudice del lavoro, che ha annullato il licenziamento, si è spinto oltre, fino ad accusare la persona offesa di un grave reato, ponendo a rischio non solo la sua vita professionale ma anche la sua stessa libertà personale.
Quanto all’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 cod. pen., la Corte ha sottolineato come l’imputato abbia profittato della sua condizione di pubblico ufficiale per effettuare le segnalazioni ai carabinieri, accuratamente pianificate. La sera dei fatti ha chiamato il vice brigadiere che stava conducendo le indagini nei confronti della persona offesa dicendo che la propria fonte aveva venduto stupefacente a quest’ultima e che si trattava della stessa persona che aveva fatto la segnalazione al NUMERO_TELEFONO, dando, così concretezza alla chiamata anonima, che altrimenti sarebbe stata troppo generica per provocare un controllo.
In relazione alla configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 10 cod. pen., la sentenza ha fatto corretta applicazione dell’orientamento secondo cui è necessario che il fatto sia commesso con l’intenzione di vulnerare l’integrità morale della persona che riveste la qualità di pubblico ufficiale, in ragione della funzione espletata (Sez. 5, n. 1178 del 20/11/2020, Scarpato, Rv. 280490), in quanto la condotta posta in essere è stata deliberatamente volta a delegittimare la persona offesa nell’esercizio delle sue funzioni minandone l’integrità morale.
7. Infondato, infine, è l’ottavo motivo di ricorso.
La sentenza impugnata, con analitica motivazione, ha ritenuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e tale statuizione, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfugge al sindacato di legittimità, in quanto sorretta da un ragionamento non illogico che ha tenuto conto, nel giudizio di bilanciamento, del corretto comportamento processuale, da un lato, e dell’intensità del disvalore dei motivi a delinquere, della gravità dell strumentalizzazione delle pubbliche funzioni, della penosità del patimento inferto alla persona offesa dall’altro (Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Rv. 270450).
Ad identiche conclusioni si deve pervenire in riferimento alla censura relativa al trattamento sanzionatorio, in quanto la Corte di appello ha adempiuto all’obbligo di motivazione sulla determinazione in concreto della misura della pena, indicando gli elementi ritenuti rilevanti ai sensi dell’art. 133 cod. pen., con riferimento all modalità esecutive della condotta (che hanno implicato una minuziosa preparazione e una lunga pianificazione), all’intensità del dolo, alla gravità del danno cagionato alla persona offesa, in considerazione anche del suo ruolo istituzionale. Anche l’aumento in continuazione è stato motivato in riferimento alla quantità (3,1 gr.), al tipo (cocaina), alla purezza (80% di principio attivo) di stupefacente.
8. Con i motivi aggiunti il ricorrente, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui nel giudizio di legittimità è consentita l’acquisizione di una sentenza irrevocabile quando l’interessato non sia stato in grado di produrla nei precedenti gradi di giudizio, ma è da escludersi che spetti al giudice di legittimità il confronto probatorio tra gli elementi in fatto accertati posti a sostegno della sentenza passata in giudicato con la situazione probatoria propria del processo nel quale viene acquisita, trattandosi di valutazione propria del giudizio di merito, ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, proprio al fine di consentire una rivalutazione nel merito della situazione probatoria (Sez. 2, n. 19409 del 13/02/2019, COGNOME, Rv. 276653 02).
NOME COGNOME è stato assolto, ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. dal reato di calunnia e di cessione di sostanze stupefacenti commesso in concorso con NOME COGNOME in danno di NOME COGNOME per non aver commesso il fatto.
Secondo la sentenza a carico di COGNOME oggi impugnata, il contributo causale di NOME è stato quello di contattare, utilizzando il falso nome di NOME, i carabinieri per segnalare l’avvenuta cessione di stupefacente a NOME.
La circostanza che sia stato COGNOME ad effettuare la segnalazione viene dedotta da una serie di elementi: a) dalla circostanza che la sera del 03/01/2020 l’imputato, per recarsi dalla sua abitazione al piazzale antistante la palestra ove era parcheggiata l’auto della persona offesa è passato davanti casa del COGNOME, avendo ripetuto lo stesso percorso seguito in altra occasione (il 28/11/2020); b) dal legame fiduciario tra i due, tale che il COGNOME era al corrente dei forti contrasti esistenti tra l’imputato e la persona offesa; c) dal fatto che in precedenti occasioni l’imputato, la sua compagna NOME COGNOME e il COGNOME si sono scambiati informazioni sui movimenti della persona offesa.
Le consulenze foniche eseguite sono state considerate non idonee a porre in dubbio il compendio indiziario esistente nei suoi confronti, perché non consentono né di affermare ma nemmeno di escludere che la voce del sedicente NOME sia di COGNOME.
La sentenza di appello che assolve COGNOME per non aver commesso il fatto si basa sulla considerazione che gli elementi indiziari indicati dal giudice di primo grado – benché indubbiamente sussistenti – non siano sufficienti a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell’imputato.
Vengono valorizzati, in primo luogo, il fatto che le consulenze tecniche pongono seri dubbi in merito al fatto che la voce del soggetto che ha effettuato la chiamata al NUMERO_TELEFONO il 03/01/2020 sia quella di COGNOME e, in secondo luogo, che l’esame delle celle telefoniche agganciate dall’utenza in uso al COGNOME e quella in uso ad NOME sono diverse. Il fatto che NOME sia stato l’unico soggetto di origine albanese con il quale COGNOME aveva intrattenuto conversazioni telefoniche o via sms nella data del 03/01/2020 è stato ritenuto privo di qualsivoglia valenza probatoria, alla luce del pluriennale rapporto tra i due.
La Corte ha, poi, rilevato che nell’ipotesi in cui la droga fosse stata occultata nell’auto della persona offesa non il 03/01/2020 ma, come sostenuto dalla difesa, il precedente 17/12/2019, quando venne effettuata un’altra segnalazione ai carabinieri, il COGNOME avrebbe anche un alibi, trovandosi quel giorno in Albania.
Ciò premesso, rileva il collegio che la sentenza a carico di COGNOME è del tutto compatibile con quella a carico di COGNOME, in quanto la prima attiene unicamente all’identificazione del correo, ossia il sedicente NOME.
In sostanza, la mancata certa identificazione del complice non è idonea né a escludere né a mettere in dubbio la responsabilità di COGNOME, presso la cui abitazione, in sede di perquisizione, sono stati rinvenuti sia la scheda SIM utilizzata dal sedicente NOME la sera del 03/01/2020 per effettuare la segnalazione anonima, sia il telefono cellulare (identificato con IMEI) in cui quella scheda, la medesima sera, era stata inserita. Accertamenti successivi hanno permesso di appurare che entrambi erano nella disponibilità dell’imputato sin dalla primavera del 2019.
Le considerazioni che precedono impongono di respingere la richiesta di annullamento con rinvio al giudice di merito per la rivalutazione, alla luce della sentenza emessa nei confronti di COGNOME, del materiale probatorio a carico di COGNOME, in quanto tale sentenza non riguarda in alcun modo la posizione dell’odierno imputato.
9. Conclusivamente il ricorso va rigettato e l’imputato va condannato la pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME che liquida in complessivi euro 3686, oltre accessori di legge.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME che liquida in complessivi euro 3686, oltre accessori di legge. Manda alla cancelleria per gli avvisi di cui all’art. 154ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il I C6/2024