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Calunnia aggravata: condanna per aver incastrato l’ex capo

La Cassazione conferma la condanna per calunnia aggravata a un ex agente di polizia locale che, per vendetta dopo un licenziamento, aveva nascosto cocaina nell’auto della sua ex comandante per accusarla falsamente di spaccio. La Corte ha ritenuto irrilevante l’assoluzione del presunto complice e ha confermato la sussistenza del reato e delle aggravanti, inclusa quella dei futili motivi e dell’abuso di funzioni.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Calunnia Aggravata: Incastra l’Ex Capo con la Droga, la Cassazione Conferma la Condanna

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32036 del 2024, ha affrontato un delicato caso di calunnia aggravata, confermando la condanna di un ex agente di polizia locale. Quest’ultimo, spinto da rancore per il mancato superamento del periodo di prova, aveva orchestrato un piano per incastrare la sua ex comandante, accusandola falsamente di un grave reato legato agli stupefacenti. La pronuncia offre importanti spunti sulla configurabilità del reato di calunnia e sulla valutazione delle circostanze aggravanti, come i futili motivi e l’abuso di funzioni.

I Fatti: una vendetta pianificata

La vicenda trae origine dalla fine del rapporto di lavoro di un agente di polizia locale, allontanato dal comando per non aver superato il periodo di prova. Sentendosi vittima di un’ingiustizia, l’uomo decideva di vendicarsi della sua ex comandante. In concorso con altre persone, si procurava circa 3 grammi di cocaina, suddivisa in cinque involucri, e la nascondeva all’interno dell’autovettura della donna. Successivamente, veniva effettuata una segnalazione anonima alle forze dell’ordine per far rinvenire la sostanza e far così apparire la comandante come una persona coinvolta in attività di spaccio.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte di Appello avevano ritenuto l’ex agente colpevole del reato di calunnia aggravata e di illecita cessione di sostanze stupefacenti. Le sentenze di merito avevano ricostruito meticolosamente gli spostamenti dell’imputato il giorno dei fatti, basandosi su dati telefonici, tabulati e immagini di videosorveglianza, che provavano la sua presenza nei pressi dell’auto della vittima poco prima del ritrovamento della droga.

I Motivi del Ricorso e la questione della calunnia aggravata

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. Tra i principali:

1. Errata valutazione delle prove: Si contestava la ricostruzione dei fatti, ritenuta insufficiente e contraddittoria.
2. Insussistenza della calunnia: Secondo la difesa, l’illecito simulato (il possesso di una modica quantità di droga) sarebbe stato al massimo un illecito amministrativo (uso personale) e non un reato penale (spaccio). Di conseguenza, mancava un presupposto essenziale per il reato di calunnia.
3. Inapplicabilità delle aggravanti: Si contestava la sussistenza dei futili motivi, dell’abuso della qualità di pubblico ufficiale e della commissione del fatto ai danni di un pubblico ufficiale.
4. Assoluzione del co-imputato: La difesa ha inoltre chiesto di considerare una sentenza che assolveva uno dei presunti complici, sostenendo che ciò avrebbe dovuto indebolire l’impianto accusatorio.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. In primo luogo, i giudici hanno ritenuto la motivazione della Corte d’Appello logica e coerente nella ricostruzione dei fatti. L’assoluzione del presunto complice è stata giudicata irrilevante, poiché basata su una mancata certa identificazione di quest’ultimo e non sull’insussistenza del fatto, mentre le prove a carico dell’imputato principale (come il ritrovamento a casa sua della SIM e del telefono usati per la segnalazione) sono rimaste pienamente valide.

Sul punto cruciale della configurabilità della calunnia aggravata, la Corte ha specificato che, per integrare il reato, è sufficiente che la falsa accusa contenga gli elementi necessari per l’inizio di un procedimento penale. Le modalità con cui la droga era stata occultata (suddivisa in dosi) rendevano del tutto verosimile l’ipotesi di spaccio, un reato penale, e non solo quella di uso personale.

Anche le aggravanti sono state confermate. Il motivo è stato ritenuto futile per l’enorme sproporzione tra il presunto torto subito (il licenziamento) e la gravità della vendetta. È stata riconosciuta anche l’aggravante dell’abuso di funzioni, poiché l’imputato aveva sfruttato la sua conoscenza delle procedure e la sua credibilità come operatore di polizia per rendere più efficaci le sue false segnalazioni. Infine, il reato è stato commesso con l’intento di ledere l’integrità morale della vittima proprio in quanto comandante della polizia locale, delegittimandola nel suo ruolo.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce la gravità del reato di calunnia, un delitto che mina il corretto funzionamento della giustizia. La Corte sottolinea come la simulazione di un reato non richieda la perfezione: è sufficiente che l’accusa appaia plausibile e idonea a dare avvio a un’indagine penale. La pronuncia è inoltre un monito severo contro l’abuso di potere e di conoscenza da parte di chi appartiene alle forze dell’ordine, evidenziando come tali condotte vengano sanzionate con particolare rigore, anche attraverso l’applicazione di specifiche circostanze aggravanti.

Perché si configura il reato di calunnia anche se il fatto falsamente attribuito (possesso di droga) avrebbe potuto essere un illecito solo amministrativo?
La Cassazione ha chiarito che le modalità della condotta (suddivisione della droga in involucri e occultamento) rendevano concretamente ipotizzabile un’accusa di spaccio (reato penale previsto dall’art. 73 d.P.R. 309/1990), non solo di uso personale (illecito amministrativo). Per la calunnia è sufficiente che la falsa incolpazione contenga gli elementi per l’esercizio dell’azione penale.

L’assoluzione di un presunto complice può influenzare la posizione dell’altro imputato nello stesso processo?
No. In questo caso, la Corte ha stabilito che l’assoluzione del complice per insufficienza di prove sulla sua identità non è idonea a escludere o mettere in dubbio la responsabilità dell’imputato principale, la cui colpevolezza era supportata da prove dirette e diverse (come il ritrovamento di SIM e telefono usati per la falsa segnalazione presso la sua abitazione).

Quando un motivo viene considerato ‘futile’ al punto da aggravare il reato?
Secondo la sentenza, un motivo è futile quando esiste una palese sproporzione tra il reato commesso e la causa che lo ha scatenato. In questo caso, la reazione dell’imputato (accusare falsamente di un grave reato l’ex comandante) è stata ritenuta assolutamente sproporzionata e ingiustificata rispetto al torto subito (l’allontanamento dal posto di lavoro), configurando così l’aggravante dei futili motivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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