Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2575 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2575 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/02/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale il 9/02/2015 il Tribunale di Napoli aveva dichiarato NOME responsabile del reato previsto dagli artt. 110,624 bis, 625 nn. 2 e 5 cod. pen. perché, in concorso con due complici, al fine di trarne profitto per sé o per altri, si era introdotto nella portineria del condominio sito in Napoli INDIRIZZO impossessandosi delle chiavi di ingresso di due appartamenti del predetto stabile custodite nella guardiola. Con le aggravanti del fatto commesso con violenza sulle cose consistita nell’effrazione della porta d’ingresso della guardiola e da tre persone. In Napoli il 2 giugno 2006 con la recidiva reiterata e specifica.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione impugnando la sentenza, con il primo motivo, per essere il reato contestato estinto per intervenuta prescrizione. Non essendo intervenute sospensioni, i giudici di appello hanno ritenuto che la recidiva reiterata specifica comportasse un duplice aumento ai sensi degli artt. 157, 160, 161 cod. pen. La difesa contesta tale interpretazione ritenendo che si debba escludere dal secondo calcolo l’applicazione del maggior tempo previsto per la recidiva sulla porzione di tempo che costituisce il risultato del primo aumento. In tal modo, il termine di prescrizione sarebbe spirato il 2 febbraio 2023.
2.1. Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato. Il ricorrente ritiene la sentenza solo apparentemente motivata in quanto sono rimasti privi di riscontro gli aspetti censurati dalla difesa nei motivi di appello, segnatamente la sussistenza di elementi meramente indiziari non certi e suggestivi. L’imputato non è stato identificato ma meramente riconosciuto dai militari operanti, sostenendo la difesa la scarsa attendibilità di quanto affermato dal teste di polizia giudiziaria alla luce della circostanza che l’avvistamento sarebbe avvenuto a notte fonda con un grado di visibilità ridotto; il rinvenimento delle chiavi, solo ipoteticamente lasciate cadere dal soggetto avvistato poco prima, è avvenuto solo diverso tempo dopo la perquisizione e l’identificazione di altri due soggetti visti uscire dallo stabile, non essendo cert che le chiavi rinvenute al suolo fossero state lasciate cadere dal soggetto solo probabilmente riconosciuto. Anche i rapporti di frequentazione tra il ricorrente e i soggetti visti uscire dallo stabile sono stati desunti dal fatto che sul cellulare d uno dei due fermati vi fosse una chiamata in arrivo da parte di un tale NOME, senza alcun conseguente accertamento della titolarità dell’utenza da cui la
chiamata proveniva. L’assenza di logicità e la carenza di elementi di prova certi si è riverberata, si assume, sull’apparato motivazionale viziando la sentenza.
2.2. Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62 bis cod. peri. nonchè per vizio di motivazione sul punto. La difesa si duole del fatto che la Corte territoriale abbia negato il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche omettendo una compiuta motivazione e senza tenere conto della condotta serbata dall’imputato successivamente al reato e nel corso del processo.
2.3. Con il quarto motivo deduce violazione dell’art.606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 99,132,133 cod. pen. nonché per vizio di motivazione sul punto. La difesa aveva censurato la sentenza di primo grado in quanto il giudice aveva irrogato una pena particolarmente severa e aveva chiesto al giudice di appello l’esclusione della recidiva e la rimodulazione della pena inflitta. Sebbene quando la pena si discosti dal minimo edittale sia richiesta adeguata motivazione, nel caso in esame risulta omessa l’indicazione dei criteri soggettivi e oggettivi elencati nell’art. 133 cod. pen. valutati e apprezzati anche in funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Ai sensi dell’art.157 cod. pen., per stabilire il tempo necessario a prescrivere non si tiene conto di quanto previsto dall’art. 69 cod. pen.; non rileva, dunque, nel caso in esame il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee e, considerato che ai sensi dell’art. 157 cod. pen. si deve tenere conto delle circostanze aggravanti ad effetto speciale, il tempo necessario a estinguere il reato contestato nel caso in esame deve essere computato nel modo che segue: in base all’art. 624 bis, comma 3, cod. pen. si parte dalla pena massima di 10 anni che deve essere aumentata di cinque anni ai sensi dell’art. 99, comma 4, cod. peri., aumentando a seguito delle interruzioni fino al limite massimo previsto dall’art. 161, comma 2, cod. pen. consistente nell’aumento di due terzi del tempo necessario a prescrivere calcolato ai sensi dell’art. 157 cod. pen., pari nel caso in esame, come detto, a 15 anni. Trova, infatti, applicazione al caso in esame il principio
più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale la recidiva reiterata, in quanto circostanza a effetto speciale, incide sia sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ex art. 157, comma 2, cod. pen., sia, in presenza di atti interruttivi, su quello del termine massimo, ex art. 161, comma 2, cod. pen., senza che tale duplice valenza comporti violazione del principio del ne bis in idem sostanziale o dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso Zolotoukhine c. Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione (ex plurimis: Sez. 4, n. 44610 del 21/09/2023, COGNOME, Rv. 285267 – 01; Sez. 4, n. 6152 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272021 – 01; Sez. 6, n. 48954 del 21/09/2016, COGNOME, Rv. 268224 – 01).
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato. La Corte di appello ha fondato il giudizio di attribuzione del fatto all’imputato sui seguenti elementi: l’imputato era soggetto noto alle Forze dell’ordine e l’assistente capo COGNOME aveva avuto modo di vedere bene il suo volto; avendolo riconosciuto, lo aveva chiamato per nome e a quel punto l’COGNOME aveva gettato a terra qualcosa, dandosi alla fuga; subito dopo aver bloccato altri due soggetti che uscivano dal medesimo stabile sito in INDIRIZZO, gli agenti avevano rinvenuto a terra l’oggetto gettato dall’imputato, ovvero la chiave d’ingresso del portone di quel medesimo stabile; i complici erano in possesso di 19 chiavi; la porta d’ingresso della portineria dello stabile era stata scassinata ed erano state sottratte varie chiavi che consentivano l’apertura di alcune delle abitazioni del palazzo.
2.1. La Corte territoriale ha ritenuto pienamente attendibile la prova dichiarativa resa dagli agenti di polizia giudiziaria, escludendo ogni dubbio circa l’ascrivibilità del fatto anche all’imputato, aggiungendo che sul telefono cellulare di uno dei complici, mentre la polizia giudiziaria era impegnata nell’attività investigativa, erano pervenute varie telefonate da un soggetto registrato come NOME, successivamente correlando tali dati indiziari. L’individuazione è manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, cosicchè a tale prova atipica il giudice può ricorrere per fondare il giudizio di colpevolezza; nel caso in esame, peraltro, tale prova è stata corroborata da elementi indiziari che i giudici di merito hanno, non illogicamente, considerato dotati del grado di gravità e precisione necessari per desumerne l’ascrivibilità del fatto all’imputato nel rispetto del criterio d valutazione dettato dall’art.192, comma 2, cod. proc. pen.
2.2. Ulteriore indizio è stato, infatti, rinvenuto nella esistenza di rapporti d frequentazione tra l’imputato e i due complici, desunta non dalle suindicate
telefonate, come allega il ricorrente, ma da precedenti controlli di polizia giudiziaria.
2.3. Con tale articolato complesso di elementi indiziari, corrispondenti a dati certi, la censura omette di confrontarsi compiutamente, limitandosi ad allegare la natura dubbia e suggestiva di fatti che, invece, risultano indicati e valutati dal giudice di merito come dati indiziari certi, in ossequio al principio interpretativo più volte enunciato nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale l’operazione di lettura complessiva dell’intero compendio probatorio di natura indiretta, che non si esaurisce nella mera sommatoria degli indizi ma esige la loro valorizzazione in una prospettiva globale e unitaria tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo, deve essere preceduta dall’operazione propedeutica, da cui non può prescindersi, che consiste nella valutazione separata dei singoli elementi di prova indiziaria, che devono essere presi in esame e saggiati individualmente nella loro, intrinseca, valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità richiesto dalla legge, che ciascuno di essi deve possedere (Sez. U n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231678; Sez. 1 n. 30448 del 9/06/2010, COGNOME, Rv. 248384; Sez. 2 n. 42482 del 19/09/2013, COGNOME, Rv. 256967). Nell’ambito di tale metodo di formazione della prova, di tipo inferenziale e di natura logico-deduttiva, assume rilevanza determinante il dato della certezza dell’indizio, che costituisce espressione del requisito normativo della precisione codificato dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., nel senso che ciascun indizio deve corrispondere a un fatto certo, e cioè realmente esistente e non soltanto verosimile o supposto (Sez. 1, n. 18149 del 11/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266882 – 01; Sez. 1 n. 44324 del 18/04/2013, COGNOME, Rv. 258321), munito di una valenza dimostrativa di regola solo possibilistica, dalla cui lettura, coordinata sinergicamente con quella degli altri elementi indiziari ricavati da fatti altrettanto certi nella loro esiste storica, deve essere possibile pervenire, attraverso un ragionamento di tipo induttivo basato su regole di esperienza consolidate e affidabili che consenta di superare l’ambiguità residua dei singoli indizi attraverso il loro apprezzamento unitario, alla dimostrazione del fatto ignoto oggetto di prova, secondo lo schema del c.d. sillogismo giudiziario (Sez. U n. 6682 del 4/02/1992, COGNOME, Rv. 191230). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il terzo e il quarto motivo di ricorso, afferenti al trattament sanzionatorio, sono manifestamente infondati. Con riguardo al giudizio discrezionale di determinazione del trattamento sanzionatorio, va ricordato che una specifica e dettagliata motivazione in merito ai criteri seguiti dal giudice si richiede quante volte la sanzione sia determinata in misura prossima al massimo
edittale o comunque superiore alla media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di merito, la sola scelta implicitamente basata sui criteri di cui all’art. 133 cod. pen. di irrogare una pena in misura media o prossima al minimo edittale (Sez.4, n.27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv.25835601; Sez.2, n.28852 del 8/05/2013, COGNOME, Rv.25646401; Sez. 4, n.21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv.25619701). Si richiama, quanto all’onere motivazionale del giudice in punto determinazione della pena, il costante orientamento della Corte di legittimità (Sez. U. n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 24593101; Sez. 3 n. 35570 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 27069401; Sez. 4 n. 48391 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 26533201). Alla determinazione della pena base in misura pari ad anni uno di reclusione ed euro 400 di multa consegue, nel caso concreto, la pertinenza del principio per il quale ricorre un onere attenuato di motivazione, che può essere soddisfatto anche solo attraverso il richiamo al canone dell’adeguatezza della pena inflitta, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (ex multis, Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283). La Corte territoriale non si è sottratta, peraltro, all’enunciazione degli elementi ritenuti di maggior peso, segnatamente la circostanza che l’imputato sia soggetto pluripregiudicato per reati contro il patrimonio, sia per ritenere di estremo favore il giudizio di bilanciamento già operato in primo grado sia per desumere dall’ulteriore episodio criminoso sub iudice un giudizio di maggiore pericolosità ai fini dell’applicazione della recidiva.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9 gennaio 2024
Il Presidente