Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29023 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29023 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato in ALBANIA il 06/05/1987
avverso la sentenza del 20/11/2024 della CORTE D’APPELLO DI ROMA
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, che ha riformato quanto alla pena quella del giudice di prime cure, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile dei delitti di furto in abitazione;
Rilevato che in data 14 maggio 2025 il difensore ha depositato memoria e motivi nuovi, allegando alla stessa documenti, con richiesta di trasmissione degli atti alla Sezione competente;
Considerato quanto al primo motivo di ricorso e al primo motivo aggiunto – che lamentano violazione di legge in relazione agli art. 63, comma quarto, 64, comma 1, 157, comma 2 e 161 cod. pen., nonché vizio di motivazione – che lo stesso è manifestamente infondato. Difatti, non si è verificata l’estinzione per prescrizione del reato avendo la Corte territoriale fatto, almeno in parte, buon governo delle norme in precedenza indicate, come emerge al par. 5 della sentenza impugnata. A riguardo va evidenziato che l’imputato risponde del delitto previsto dall’art. 624-bis cod. pen. aggravato ex art. 625, n. 2 cod. pen. nonché della recidiva reiterata specifica infraquinquennale. La recidiva reiterata infraquinquennale risulta essere aggravante ad effetto speciale più grave di quella prevista dal comma terzo dell’art. 624 bis cod.
pen. (a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale che ha ritenuto più grave il comma terzo dell’art. 624 bis cod. pen.): infatti, l’aumento ex art. 99 c. 4 cod. pen è di due terzi della pena, cosicché fissa il termine di prescrizione ordinario ad anni 11 mesi 8, aumentata in tal modo la pena base massima dell’art. 625 bis comma 1 cod. pen. di anni sette di reclusione, quindi in misura superiore a quanto previsto dal terzo comma della norma incriminatrice, che fissa il massimo edittale in anni dieci di reclusione. Ai sensi dell’art. 63, comma 4, cod. pen. per l’ulteriore aggravante ad effetto speciale dell’art. 624 bis, comma terzo, cod. pen. ai fini della prescrizione la pena va aumentata di un terzo (sul punto, Sez. 6, n. 23831 del 14/05/2019, Pastore, Rv. 275986 – 01; conf.: N. 33871 del 2010 Rv. 248130 – 01, N. 31065 del 2012 Rv. 253525 – 01, N. 47028 del 2013 Rv. 257520 – 01): pertanto, il termine ordinario risulta essere di anni 15 e mesi 6. Ad ogni buon conto, tornando alla censura del ricorrente, la natura di recidiva-aggravante ad effetto speciale, qualora la stessa sia stata ritenuta meno grave ai sensi dell’art. 63, comma quarto, cod. pen e abbia determinato l’aumento solo di un terzo, come ritenuto dalla Corte di appello, non determina però la ‘perdita’ della natura di recidiva qualificata rilevante ai fi dell’interruzione della prescrizione, cosicché deve comunque trovare applicazione l’aumento di due terzi ex art. 161, u.c., cod. pen. A riguardo va richiamato quanto affermato dalle Sezioni Unite – Sez. U, n. 30046 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283328 – 01, foll. 10 e 11 in motivazione – per le quali con l’art. 63, comma quarto, cod. pen. «il legislatore ha espressamente riconosciuto come la natura di ciascuna delle circostanza aggravanti, come qualificate dal comma precedente («Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento della pena superiore ad un terzo»), non venga meno né subisca un mutamento in ragione del fatto che il giudice, in relazione al riconoscimento di una o più circostanze ulteriori rispetto alla prima, decida in concreto di operare un aumento della pena in misura pari o inferiore ad un terzo; aumento, peraltro, discrezionale, potendo egli persino decidere di non operare alcun incremento della pena come già aumentata in ragione del riconoscimento della prima circostanza aggravante. Al riguardo, questa Corte di cassazione ha in più occasioni evidenziato come, ai fini dell’applicazione della disciplina della prescrizione del reato, le circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria del reato e quelle ad effetto speciale mantengano la loro natura anche se, concorrendo con altra circostanza analoga, non possono comportare un aumento superiore ad un terzo ai sensi dell’art. 63, quarto comma, cod. pen. (cosi, mu/tis, Sez. 6, n. 23831 del 14/05/2019, Pastore, Rv. 275986-01; Sez. 2, n. 47028 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 257520; Sez. 2, n. 31065 del 10/05/2012, COGNOME, Rv. 253525). È vero che la disposizione dettata dall’art. 63, quarto comma, cod. pen., nel regolare gli effetti pratici del concorso di più circostanze omogenee ad effetto speciale, fissa un ‘criterio di temperamento’ che, nel limitare il potere discrezionale Corte di Cassazione – copia non ufficiale del giudice, opera in maniera differente da quanto accade con il “meccanismo di contenimento” fissato dall’art. 99, sesto comma, cod. pen., che stabilisce un “tetto massimo” all’aumento di pena, facendo venire meno qualsivoglia margine di discrezionalità decisionale del giudice. Ma, nell’ottica che qui interessa, può essere sottolineata l’esistenza di un palese “parallelismo” tra le due anzidette disposizioni poste a raffronto, nelle quali è riconoscibile l’elemento comune della mancata incidenza di quei criteri di contenimento degli aumenti della pena, dunque di determinazione limitata del quantum, sulla natura della circostanza aggravante di cui viene fatta applicazione». Analogamente, al di là del meccanismo di cumulo, anche ai fini dell’applicazione della misura cautelare e della esegesi dell’art. 278 cod. proc. pen. «le Sezioni Unite hanno avuto modo di porre in luce come, nel caso concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o circostanze ad effetto speciale, si debba tener conto, ai sensi dell’art. 63, quarto comma, cod. pen., della pena stabilita per la circostanza più grave, aumentata di un terzo, e come tale aumento costituisca cumulo giuridico delle ulteriori pene e limite legale dei relativi aumenti per le circostanze meno gravi del tipo già detto, che tuttavia mantengono la loro natura (in questo senso Sez. U, n. 16 del 08/04/1998, Vitrano, Rv. 210709-01). In pratica, si è posto in luce come la natura della circostanza, comune o ad effetto speciale, non p derivare dal meccanismo relativo all’aumento della pena previsto dall’art. 63 citato per le circostanze ulteriori rispetto a quella più grave, perché esso è ispirato al criterio de cumulo giuridico, tant’è che se così non fosse la medesima circostanza muterebbe natura, da circostanza ad effetto speciale a circostanza comune, a seconda che fosse contestata da sola ovvero dalla posizione assunta nell’ordine di gravità delle circostanze concorrenti ogni circostanza mantiene la sua natura perché è irragionevole ritenere che la muti a seconda della sua collocazione nell’ordine di gravità delle circostanze che concorrono, ma anche e soprattutto che la regola dell’aumento fino ad un terzo posta dalla norma codicistica costituisce certo un cumulo giuridico delle pene per le ulteriore circostanze, ma assolve anche alla funzione di limite legale della pena per la particolare ipotesi considerata Quindi, la natura della circostanza è sempre la stessa». Se dunque la natura di aggravante ad effetto speciale, quindi anche della recidiva ex art. 99, comma 4, cod. pen., non muta ai fini della prescrizione, tornando al calcolo del relativo termine, l’aumento di due terzi ex art. 161, u.c., cod. pen. determina il termine massimo di anni 25 e mesi 10, cosicché il termine, rispetto alla data di consumazione del reato del 11 marzo 2006, risulta scadere il 4 gennaio 2032. Pertanto, il motivo è manifestamente infondato; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerato che il secondo motivo di ricorso e il secondo motivo aggiunto lamentano vizio di motivazione in ordine alla omessa valutazione della natura frammentaria, e quindi inidonea, della impronta papillare ad attestare la presenza dell’imputato. A ben vedere, va in primo luogo evidenziato che il motivo in esame lamenta una asserita contraddittorietà fra il verbale di sopralluogo della polizia giudiziaria e la relazione della Polizia Scientifica. Si tratta di una denuncia travisamento della prova, fra la motivazione impugnata e il significante emergente dalla Relazione di sopralluogo con la quale non si sarebbe confrontata la Corte di appello. Ma a riguardo deve evidenziarsi in primo luogo che il motivo è aspecifico, in quanto allegata al ricorso vi è esclusivamente la relazione (o parte della stessa) della Polizia Scientifica, non anche il verbale di sopralluogo che doveva attestare la natura frammentaria, degradata e di pessima qualità dell’impronta. Deve richiamarsi come il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’at inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impiant argomentativo del provvedimento impugnato. (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 17/01/2019, COGNOME, Rv. 274816 – 07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010 – dep. 22/12/2010, COGNOME, Rv. 249035). Nel caso in esame difettano i requisiti: sub c) – il verbale di sopralluogo non è stato allegato, se non per estratto, come anche la relazione della Polizia Scientifica, e non è consentito a questa Corte accedere agli atti, non essendo dedotto error in procedendo ma un vizio di motivazione; sub d) – in quanto la decisività viene solo asserita, senza valutare che, al di là del contenuto del verbale di sopralluogo, come rileva la stessa Corte di appello, è l’accertamento tecnico a verificare l’adeguatezza della impronta rilevata a consentire l’identificazione: tema questo esplorato senza vizi logici manifesti dalla sentenza impugnata con il quale non si confronta specificamente il ricorrente. Ne consegue la natura aspecifica del motivo, oltre che la sua manifesta infondatezza, in quanto il risultato delle indagini dattiloscopiche offre piena garanzia di attendibilità e può costituire fonte di prova senza elementi sussidiari di conferma, anche nel caso in cui sia relativo all’impronta di un solo dito, purché evidenzi almeno sedici o diciassette punti caratteristici uguali per forma e posizione, in quanto fornisce la certezza che la persona con riguardo alla Corte di Cassazione – copia non ufficiale
quale detta verifica è effettuata si è trovata sul luogo in cui è stato commesso il reato; ne consegue che il risultato legittimamente è utilizzato dal giudice ai fini del giudizi di colpevolezza, in assenza di giustificazioni o prova contraria su detta presenza (Sez. 5, n. 54493 del 28/09/2018, J., Rv. 274167 – 01; conf.: N. 48734 del 2014 Rv. 261296 – 01, N. 44561 del 2014 Rv. 260861 – 01, N. 12792 del 2010 Rv. 246901 01). Nel caso in esame, infatti, la Corte di appello rileva che si è verificata corrispondenza di ben 24 punti caratteristici dell’impronta repertata con quella dell’imputato;
Rilevato che il terzo motivo e il terzo motivo aggiunto – che censurano il diniego di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti e la disparità di trattamento a riguardo con il coimputato – è aspecifico in quanto non si confronta con la motivazione impugnata, che dava conto che a fronte del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche le stesse dovevano ritenersi equivalenti per l’obiettivo disvalore della condotta, per il valore della refurtiva e per la personali del COGNOME, incline al delitto come dimostrato da successive condotte di reato, come anche per la contestazione della recidiva e della aggravante della violenza sulle cose. I profili della giovane età dell’imputato e della circostanza dell’azione, in assenza di persona nell’abitazione, venivano valorizzati per il riconoscimento delle attenuanti generiche, cosicchè la motivazione della Corte territoriale è accurata e composita, certamente non affetta da vizio di manifesta illogicità, non dovendo la Corte valutare tutti gli elementi, anche addotti con l’appello, dal che ne consegue che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzar l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. Un., n. 10713 del 25 febbraio 2010, COGNOME, Rv. 245931). Quanto alla dedotta disparità di trattamento con il coimputato, va rilevato come la doglianza sia manifestamente infondata, in quanto in tema di ricorso per cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3 , n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839 – 01; conf. N. 21838 del 2012 Rv. 252880 – 01, N. 27115 del 2015 Rv. 264020 – 01): nel caso in esame il giudizio di equivalenza è congruamente motivato, per quanto rilevato, e certamente la dosimetria della pena e il giudizio di bilanciamento fra circostanze operato nel giudizio parallelo per il coimputato, definito con concordato in appello, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
per un verso non può condizionare la valutazione nel presente giudizio, per altro verso non appare comunque connotato da elementi di palese irragionevolezza;
Considerato, comunque, che i motivi aggiunti sono inammissibili in quanto lo è il ricorso principale, come anche non consentita l’allegazione della documentazione
correlata ai motivi nuovi;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 2 luglio 2025
Il consi ;ere estensore
Il Presidente