Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26413 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26413 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SIDERNO il DATA_NASCITA
COGNOME DEMETRIO nato a MELITO DI PORTO SALVO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/05/2023 della CORTE APPELLO di RIEGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi; udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per i ricorrenti, che ha chiesto di accogliere i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 18 luglio 2018, la Corte di appello di Reggio Calabria (per quanto qui di interesse), in parziale riforma della sentenza di primo
grado, aveva condannato COGNOME NOME alla pena di tredici anni e quattro mesi di reclusione ed euro 180.000,00 di multa, per i reati di cui ai capi 1 (partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti), 3 e 4 (relativi a due ipotesi di trasporto e importazione di cocaina), e COGNOME NOME alla pena di nove anni e quattro mesi di reclusione ed euro 120.000,00 di multa, per il reato di cui al capo 4.
Con sentenza del 3 marzo 2020, la Quinta Sezione penale di questa Corte aveva annullato (nei confronti sia del COGNOME che del COGNOME) con rinvio la sentenza di appello, limitatamente al trattamento sanzionatorio. Aveva imposto al giudice del rinvio di procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio irrogato alla luce dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale 29 gennaio 2019, n. 40, che aveva ridefinito i parametri di proporzionalità e adeguatezza della pena prevista per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione all’art. 27, comma 3, Cost.
Con sentenza del 12 maggio 2021, la Corte di appello di Reggio Calabria, in sede di rinvio, aveva confermato il trattamento sanzionatorio irrogato agli imputati.
3.1. Avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello – che, quale giudice del rinvio, aveva confermato il trattamento sanzionatorio – avevano proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, deducendo i vizi di violazione di legge e di motivazione, sostenendo che: la decisione risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del giudizio dosimetrico formulato; erano stati elusi i principi affermati dalla Corte di cassazione in sede di annullamento.
Con sentenza emessa il 9 giugno 2022, la Prima Sezione di questa Corte aveva annullato con rinvio la sentenza della Corte territoriale.
Aveva rilevato che la Corte territoriale non si era conformata alle indicazioni contenute nella sentenza di annullamento, rideterminando il trattamento sanzionatorio nella stessa misura edittale della sentenza di primo grado, «senza effettuare alcuna rivalutazione dosimetrica della pena irrogata agli imputati». Aveva, pertanto, annullato nuovamente la sentenza di secondo grado, precisando che, nell’ulteriore giudizio di rinvio, la Corte di appello di Reggio Calabria avrebbe dovuto fare riferimento, nel determinare gli aumenti di pena a titolo di continuazione, alla più favorevole cornice edittale prevista per i singoli delitti.
Con sentenza emessa il 31 maggio 2023, la Corte di appello dì Reggio Calabria, in sede di rinvio, ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME NOME in anni nove e mesi dieci di reclusione ed euro 60.000,00 di multa e quella inflitta a COGNOME NOME in anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 50.000,00 di multa.
In particolare, con riferimento alla posizione del COGNOME, ha “ratificato” l’accordo intervenuto, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., tra le parti: pena base, per il reato di cui al capo 3, anni sette di reclusione ed euro 60.000,00 di multa; aumentata, per l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, ad anni undici e mesi otto di reclusione ed euro 75.000,00 di multa; aumentata, per la continuazione con il reato di cui al capo 4, ad anni dodici e mesi nove di reclusione ed euro 90.000,00 di multa; aumentata, per la continuazione con il reato di cui al capo 1, ad anni quattordici e mesi nove di reclusione ed euro 90.000,00 di multa; ridotta, per la scelta del rito abbreviato, ad anni nove e mesi dieci di reclusione ed euro 60.000,00 di multa.
Con riferimento alla posizione del COGNOME, ha ritenuto congrua la pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 50.000,00 di multa, così determinata: pena base anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 60.000,00 di multa; aumentata, per l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, ad anni dieci di reclusione ed euro 75.000,00 di multa; ridotta, per la scelta del rito abbreviato, ad anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 50.000,00 di multa.
Avverso la “nuova” sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo dei loro difensori.
Il ricorso di COGNOME NOME si compone di un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 81 cod. pen.
Il ricorrente sostiene che la Corte di appello sarebbe caduta in errore nel determinare il reato più grave e, conseguentemente, nel calcolare la pena.
Il ricorso di COGNOME NOME si compone di un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 597 e 627 cod. proc. pen., 133 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorrente sostiene che la Corte di appello, essendosi discostata dal minimo edittale, avrebbe dovuto motivare in maniera adeguata. La pena applicata, in ogni caso, sarebbe eccessiva rispetto alla gravità dei fatti e alla capacità a delinquere dell’imputato e sproporzionata rispetto a quella applicata al Valleionga, che è stato
condannato per tre reati – di cui uno relativo alla partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti – alla pena di anni nove e mesi dieci di reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del COGNOME deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. L’unico motivo di ricorso è inammissibile per plurime convergenti ragioni. In primo luogo, è manifestamente infondato.
Al riguardo, va ricordato che, «in tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse» (Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 255347).
Nel caso in esame, la difesa e il Procuratore generale, il cui accordo è stato recepito nella sentenza impugnata, hanno individuato quale reato più grave quello di cui al capo 3, relativo al trasporto e all’importazione dal Paraguay di 329 kg. di cocaina, in relazione ai quali i giudici di merito hanno ritenuto integrata la fattispecie di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, aggravata dalle circostanze previste dall’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e dall’art. 4, legge n. 146 del 2009 (oggi art. 61-bis cod. pen.).
La scelta appare corretta, atteso che il massimo edittale previsto per la fattispecie base è di venti anni di reclusione e che l’aggravante di cui dall’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, comporta un aumento di pena dalla metà a due terzi e quella prevista dall’art. 4, legge n. 146 del 2009 (oggi art. 61-bis cod. pen.) comporta un aumento di pena da un terzo alla metà (quest’ultima, tuttavia, non è stata applicata per il criterio moderatore previsto dall’art. 63, comma 4, cod. pen.).
Il reato di cui al capo 4 è relativo al trasporto e all’importazione dalla Bolivi di 70 kg. di cocaina, in relazione ai quali i giudici di merito hanno ritenuto integrata la fattispecie di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, aggravata sempre dalle circostanze previste dall’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e dall’art. 4, legge n. 146 del 2009 (oggi art. 61-bis cod. pen.). Si tratta della medesima fattispecie astratta, ritenuta meno grave, in considerazione del minore quantitativo di cocaina importato.
Il reato di cui al capo 1, invece, è relativo alla partecipazione all’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, aggravata dalla circostanza di cui all’art. 4, legge n. 146 del 2006 (oggi art. 61-bis cod. pen.). Il massimo edittale
previsto per la fattispecie base è di anni dieci di reclusione e i giudici di merito hanno ritenuto applicabile una sola aggravante: quella di cui all’art. 4, legge n. 146 del 2009 (oggi art. 61-bis cod. pen.).
Appare, dunque, evidente che, applicando i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, il reato più grave risulti proprio quello di cui al ca 3, correttamente individuato dalle parti e dalla Corte di appello.
Sotto altro profilo, il ricorso si presenta intrinsecamente generico, atteso che il ricorrente afferma che la Corte di appello avrebbe errato nell’individuare il reato più grave, senza specificare in cosa sarebbe consistito l’errore né quale sarebbe il reato più grave.
Sotto un profilo ancora diverso, deve essere rilevato che questa Corte ha chiarito che, a seguito del concordato, le uniche doglianze proponibili in sede di legittimità sono quelle relative alla volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta, al contenuto difforme della pronuncia del giudice, all’applicazione di una pena illegale, all’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, Fazio, Rv. 284481; Sez. 6, n. 41254 del 04/2019, Leone, Rv, 277196; Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, Rv. 273194; Sez. 4, n. 53565 del 27/09/2017, Ferro, Rv. 271258).
Ebbene, nel caso in esame, non sembra sussistere alcuna delle situazioni in questione. In particolare, va escluso che ricorra l’ipotesi dell’illegalità della pena atteso che il trattamento sanzionatorio rientra pienamente nei limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e ss., 65 e 71 e ss. cod. pen. e nei limiti editt previsti per le singole fattispecie di reato.
Il ricorso del COGNOME deve essere dichiarato inammissibile.
2.1. L’unico motivo di ricorso è inammissibile.
Esso prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione della sua congruità, ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Rv. 238851), come nel caso di specie (cfr. pagine 5 e 6 della sentenza impugnata).
Va, in ogni caso, rilevato che la Corte di appello, nel determinare la pena per il reato più grave, si è di poco discostata dal minimo editale e che non risulta congruo il confronto con la pena applicata all’imputato COGNOME, atteso che per quest’ultimo la pena è stata determinata attraverso l’accordo raggiunto tra le parti.
Va peraltro evidenziato che la pena base per il reato più grave contestato al COGNOME – relativo alla medesima fattispecie astratta seppure avente ad oggetto un quantitativo notevolmente maggiore di cocaina importata – è stata determinata addirittura in misura maggiore a quella fissata per il COGNOME (sette anni di reclusione ed euro 60.000,00 di multa).
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 26 marzo 2024.