Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25808 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25808 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/09/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOMECOGNOME lette/errt-ite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del 9 ottobre 2023 della Corte di appello di Napoli che, quale giudice dell’esecuzione, ha applicato la disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo:
al reato di associazione di tipo mafioso, ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen., giudicato all’esito di rito abbreviato dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 9 maggio 2012, definitiva il 3 ottobre 2013, che aveva irrogato la pena di anni nove e mesi quattro di reclusione;
2) ai reati di istigazione alla corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio e di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, aggravati dalla c.d. agevolazione mafiosa, ai sensi degli artt. 319, 321 cod. pen., 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, 309 e 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203), giudicati all’esito di giudizio abbreviato dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 14 maggio 2012, definitiva il 18 ottobre 2013, che aveva irrogato la pena di anni sei e mesi quattro di reclusione ed euro 40.000,00 di multa;
3) ai reati di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai sensi degli artt. 73 e 74 T.U. stup., giudicati all’esito di rito abbreviato dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 18 marzo 2016, divenuta definitiva, che aveva riconosciuto il vincolo della continuazione anche con il reato sub 1, irrogando la pena finale di anni diciotto di reclusione, così quantificata: pena base di anni venti di reclusione per il reato ex art. 74 T.U. stup., aumentata di anni uno di reclusione per la continuazione con il reato ex art. 73 T.U. stup., ulteriormente aumentata di anni sei di reclusione per la continuazione con il reato sub 1, diminuita di un terzo per la scelta del rito abbreviato.
La Corte di appello ha evidenziato che il precedente giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 4 ottobre 2016, aveva già applicato la disciplina della continuazione tra i reati sub 1 e 2, rideterminando la pena finale in anni tredici e mesi quattro di reclusione, così quantificata: pena base di anni nove e mesi quattro di reclusione per il reato associativo (già ridotta per la scelta del rito abbreviato), aumentata di anni quattro di reclusione per la continuazione con gli altri reati (anno quattro e mesi sei di reclusione per il reato ex ar . 73 T.U. stup. e mesi nove di reclusione per ciascun reato ex artt. 319 e 321 cod. pen., ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato).
Il giudice dell’esecuzione, quindi, ritenendo sussistenti gli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso tra tutti i reati oggetto dell’istanza, ha rideterminato la pena finale in anni ventidue di reclusione, così quantificata: pena base di anni venti di reclusione per il reato ex art. 74 T.U. stup., aumentata di anni uno di reclusione per la continuazione con il reato ex art. 73 T.U. stup., aumentata di anni sei per il reato sub 1, aumentata di anni quattro e mesi sei di reclusione per il reato ex art. 73 T.U. stup., ulteriormente aumentata di mesi nove di reclusione per ciascun reato ex artt. 319 e 321 cod. pen., ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato.
Il ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 78, 81, 132, 133 cod. pen., 442, comma 2, e 671 cod. proc. pen., e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione, preso atto che il giudice della cognizione sub 3 e il precedente giudice dell’esecuzione (con l’ordinanza del 4 ottobre 2016) avevano riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati oggetto dell’istanza in maniera distinta e parziale, pur risultando il reato ex art. 416-bis cod. pen. in comune, avrebbe poi rideterminato in maniera errata la pena finale.
Secondo il ricorrente, infatti, il giudice dell’esecuzione avrebbe disposto un aumento di pena eccessivo per i reati posti in continuazione, essendosi limitato a richiamare gli aumenti di pena stabiliti nei precedenti provvedimenti, senza considerare che le rispettive pene base erano diverse e senza offrire sul punto alcuna valida motivazione.
Il ricorrente, inoltre, contesta il provvedimento impugnato, nella parte in cui il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di rispettare il limite di cui all’art. 78 cod. pen. prima del calcolo della riduzione di pena per la scelta del rito abbreviato.
Sul punto, il ricorrente non condivide l’interpretazione giurisprudenziale secondo la quale il ridimensionamento della pena finale in anni trenta di reclusione debba essere garantito solo dopo tale riduzione, posto che l’ordinamento non potrebbe prevedere che una pena illegale, quale deve intendersi quella superiore ai trenta anni di reclusione, possa costituire il punto di partenza per l’applicazione di un’altra norma giuridica (l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. In tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve
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anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269).
Su un piano generale, risulta consolidato il principio secondo il quale nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai “criteri di cui all’art. 133 cod. pen.” deve ritener motivazione sufficiente per dimostrare l’adeguatezza della pena all’entità del fatto; invero, l’obbligo della motivazione, in ordine alla congruità della pena inflitta, tanto più si attenua quanto maggiormente la pena, in concreto irrogata, si avvicina al minimo edittale (Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464). E, per converso, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 d 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189).
Principi non dissimili sono stati espressi con particolare riferimento alle pene determinate in materia di continuazione: se per i reati satellite è irrogata una pena notevolmente inferiore al minimo edittale della fattispecie legale di reato, l’obbligo di motivazione si riduce, mentre, qualora la pena coincida con il minimo edittale della fattispecie legale di reato o addirittura lo superi, l’obbligo motivazionale si fa più stringente ed il giudice deve dare conto specificamente del criterio adottato, tanto più quando abbia determinato la pena base per il reato ritenuto più grave applicando il minimo edittale e/o quando abbia applicato una misura di pena in aumento sproporzionata, pur in presenza delle medesime fattispecie di reato (Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, non mass. sul punto).
Nel caso di specie, il giudice di merito, partendo dal presupposto che l’aumento di pena per la continuazione non vada operato in modo onnicomprensivo, ha determinato la pena complessiva individuando non solo il reato più grave stabilito per la pena base, ma anche calcolando l’aumento di pena in modo distinto per i singoli reati satellite, specificando l’entità dei singoli aumenti di pena.
Il ricorrente, infatti, non si confronta con il provvedimento impugnato, nella parte in cui il giudice dell’esecuzione ha ritenuto di condividere quanto già deciso sul punto dal precedente giudice dell’esecuzione (con l’ordinanza del 4 ottobre 2016) e dal giudice della cognizione sub 3.
Sul punto, il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che l’aumento di pena in continuazione stabilito dalla Corte di appello di Napoli in ordine al reato ex rt. 416-bis e quelli applicati con ordinanza del 4 ottobre 2016 in ordine ai reati sub 2 (singolarmente individuati) fossero congrui e proporzionati.
Così facendo, il giudice dell’esecuzione, fornendo sul punto idonea motivazione, ha correttamente applicato al caso di specie i sopra condivisi principi di diritto.
1.2. Il ricorso, poi, non può essere accolto neanche nella parte in cui lamenta l’erronea applicazione dell’art. 78 cod. pen.
Sul punto, infatti, è stato già chiarito che, in sede di esecuzione, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione tra più reati che hanno formato oggetto di giudizio abbreviato, la riduzione di pena per il rito opera necessariamente prima – e non dopo, come in sede di cognizione – del criterio moderatore del cumulo materiale previsto dall’art. 78 cod. pen., in forza del quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta (Sez. 1, n. 9522 del 14/05/2019, dep. 2020, Mabouka, Rv. 278494).
Tale soluzione ermeneutica, condivisa dal Collegio, si fonda sulla constatazione dell’eccezionalità della potestà riconosciuta al giudice dell’esecuzione di rideterminare – nelle ipotesi tassativamente previste dal legislatore – la pena applicata con sentenze passate in giudicato.
Il diverso ordine applicativo del criterio moderatore del cumulo materiale tra la fase di cognizione e quella di esecuzione, quindi, trae giustificazione nella diversità di situazioni determinata dall’efficacia preclusiva derivante dal principio dell’intangibilità del giudicato penale.
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29/03/2024