Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21588 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21588 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 11/03/2025
R.G.N. 1033/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MARCIANISE il 19/10/1956 udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
avverso l’ordinanza del 16/07/2024 del Tribunale di sorveglianza di Bologna lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME
COGNOME che, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 16 luglio 2024 il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha dichiarato inammissibile la richiesta di applicazione della misura alternativa della semilibertà avanzata da NOME COGNOME detenuto in espiazione della pena di trenta anni di reclusione calcolata mediante l’applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 cod. pen., con decorrenza della stessa dal 26/03/2010 al 14/07/2036.
Secondo il Tribunale di sorveglianza la domanda Ł inammissibile, non avendo il detenuto ancora espiato i due terzi della pena, come richiesto per la concessione della misura alternativa in questione. Secondo la sentenza Sez. U, n. 30753/2023, quando debba procedersi allo scioglimento del cumulo giuridico per calcolare l’ammissibilità di un beneficio penitenziario, deve farsi riferimento alla pena irrogata per ciascun delitto, anche se Ł stato applicato il criterio moderatore previsto dall’art. 78 cod. pen., valutazione che già impedirebbe a questo detenuto la concessione della misura alternativa richiesta, stante l’elevata quantità delle pene ottenute per ciascun reato ostativo commesso. La misura, peraltro, non Ł concedibile anche perchØ egli, in ogni caso, non ha ancora espiato neppure i due terzi della pena calcolata applicando il criterio dell’art. 78 cod. pen., dovendo l’espiazione in corso, relativa al terzo cumulo parziale formato dal pubblico ministero, essere ritenuta iniziata il 26/03/2010 e non, come da lui sostenuto, il 02/11/2006, avendo egli riportato una condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. commesso sino al 25/03/2010, mentre si trovava in stato di detenzione, e non potendo calcolarsi, in relazione ad esso, la pena espiata prima della sua consumazione. Secondo il Tribunale del riesame, infatti, anche tenendo conto della
liberazione anticipata, concessa per 1350 giorni di reclusione (pari a tre anni, otto mesi e quindici giorni), alla data odierna non sono stati ancora espiati, a partire dal 26/03/2010, i necessari venti anni di reclusione.
Il Tribunale, inoltre, ha ritenuto la richiesta non accoglibile anche nel merito, valutando prematura la concessione della misura richiesta, alla luce della rilevante caratura criminale del detenuto e della brevità del suo percorso di reinserimento sociale all’esterno del carcere, appena iniziato e consistito solo in quattro permessi premio ad horas, svolti uno con scorta e gli altri con accompagnamento, percorso perciò ancora inidoneo a consentire di valutare l’effettiva presa di distanza dall’originario contesto criminale.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge penale nella valutazione del superamento del limite di pena per l’accesso al beneficio richiesto.
Il Tribunale di sorveglianza si Ł appiattito sul cumulo di pena emesso dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Napoli, che ha erroneamente calcolato la continuazione, senza tenere conto del fatto che il ricorrente Ł detenuto ininterrottamente dal 02/11/2006. La Procura generale ha individuato due periodi di detenzione definitiva, uno iniziato il 06/03/2001 e comprendente tutte le condanne riportate per reati commessi antecedentemente, e l’altro iniziato il 02/11/2006, e comprendente le condanne relative ai reati commessi sino a quella data. Ha poi aggiunto un terzo periodo detentivo, che comprende solo la condanna per il delitto associativo commesso dal 17/05/2005 al 25/03/2010, calcolando quindi la pena complessiva in trenta anni di reclusione, decorrenti dal 26/03/2010, cioŁ decorrenti dal giorno successivo alla cessazione dell’ultimo delitto commesso. Molte di tali condanne, però, sono state ritenute in continuazione tra loro, ed in particolare quella relativa al delitto commesso sino al 2010 Ł stata ritenuta legata dal vincolo della continuazione con altra condanna riportata il 17/05/2005 e divenuta irrevocabile il 11/07/2006, inserita dalla Procura nel primo periodo di detenzione.
Secondo la corte di cassazione, in tema di pena espiata per l’accesso ai benefici penitenziari deve tenersi conto, ai fini della maturazione dei requisiti temporali, della esecuzione di pene concorrenti: ad oggi, perciò, il ricorrente ha espiato gli oltre 14 anni decorsi dal 26/03/2010, nonchØ tre anni, otto mesi e quindici giorni di liberazione anticipata e tre anni, quattro mesi e ventiquattro giorni di pena espiata prima della data indicata, per un totale di oltre ventuno anni di reclusione.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce la nullità dell’ordinanza per mancanza di motivazione.
Il Tribunale di sorveglianza non ha motivato in merito alle ragioni del rigetto della richiesta di calcolare l’entità della pena espiata secondo i criteri sopra esposti e non secondo quelli adottati dalla Procura Generale, il cui provvedimento di cumulo Ł stato separatamente impugnato.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
In data 28/02/2025 il ricorrente ha depositato una memoria di replica alla requisitoria, ribadendo l’erroneità della declaratoria di inammissibilità dell’istanza, avendo egli già espiato oltre due terzi della pena, dovendo l’espiazione essere calcolata dal 02/11/2006, anche per l’avvenuta applicazione dell’istituto della continuazione con riferimento all’ultima condanna riportata. Inoltre, stante il rilievo del procuratore generale, il ricorrente afferma di avere svolto un positivo percorso di allontanamento dal crimine, nonchØ di studio e di attività intramuraria e di volontariato, tanto da vedersi concedere quattro permessi premio, nonchØ di essersi dissociato formalmente dal clan COGNOME e di avere compiuto concreti gesti diretti al risarcimento per i gravi delitti commessi.
Il ricorso Ł infondato in entrambi i suoi motivi, e deve essere rigettato.
L’ordinanza ha motivato in maniera esaustiva il calcolo effettuato per verificare la sussistenza o meno del requisito dell’avere il condannato espiato non meno dei due terzi della pena inflitta, anche tenendo conto della sua entità conseguente all’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., ed Ł pertanto infondato il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce la nullità dell’ordinanza per l’assenza di motivazione.
Il Tribunale di sorveglianza ha applicato il criterio di calcolo piø favorevole al condannato, calcolando l’entità della pena da espiare in base al computo conseguente all’applicazione del citato criterio moderatore, senza procedere allo scioglimento del cumulo imposto, invece, quando in esso sono compresi reati ostativi, la cui sanzione dovrebbe essere calcolata per intero, e non nella misura conseguente alla riduzione ai sensi dell’art. 78 cod. pen. Questa Corte ha stabilito, infatti, che «In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. per il superamento della soglia massima di trenta anni di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini va effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria» (Sez. U, n. 30753 del15/12/2022, dep. 2023 Rv. 284820). Nel presente caso tale principio comporta che le pene residue da espiare in relazione al secondo cumulo parziale predisposto dal pubblico ministero, pari a ventisei anni, sette mesi e sei giorni di reclusione, che sono state inserite nel terzo cumulo parziale, in espiazione dal 26/03/2010, unitamente alla condanna a quattro anni di reclusione irrogati, a seguito di continuazione, per l’ultimo delitto commesso, e poi ridotti a trenta anni di reclusione in virtø dell’art. 78 cod. pen., dovrebbero essere prese in esame nella loro entità originaria, essendo tutte relative a delitti ostativi alla concessione dei benefici penitenziari.
Il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto corretto, infatti, il calcolo delle pene da espiare predisposto dalla Procura generale presso la Corte di appello di Napoli in data 14 marzo 2023. Essa ha formato, nel cumulo definitivo, tre distinti ‘momenti concorsuali’, per la necessità di rispettare il divieto di fungibilità previsto dall’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., e in ognuno di essi ha calcolato le pene da espiare relative ai reati commessi sino all’inizio della detenzione definitiva, riducendone l’entità complessiva mediante l’applicazione del criterio di cui all’art. 78 cod. pen. Le pene ancora da espiare in relazione a ciascun cumulo parziale sono state aggiunte al cumulo successivo: così la pena residua del primo cumulo parziale ha concorso al calcolo della pena da espiare in virtø del secondo cumulo parziale, pari a settantuno anni, undici mesi e otto giorni di reclusione (oltre alla pena pecuniaria), ridotti ai sensi dell’art. 78 cod. pen. ad anni trenta di reclusione.
Di questa pena il ricorrente ha espiato, a partire dal 02/11/2006 e sino al 25/03/2010, tre anni, quattro mesi e ventiquattro giorni, per cui la pena residua, pari a ventisei anni, sette mesi e sei giorni di reclusione, Ł stata cumulata a quella di quattro anni di reclusione irrogata, come detto, per la condanna emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 23 giugno 2015 e divenuta irrevocabile in data 06 novembre 2015, relativa al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. commesso sino al 25/03/2010, per un totale, ridotto ai sensi dell’art. 78 cod. pen., di trenta anni di reclusione da espiare a partire dal 26/03/2010. Di detta pena il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto espiati, alla data della sua decisione, quattordici anni, tre mesi e venti giorni, ed anche sommando a tale periodo quello relativo alla liberazione anticipata già concessa, indicato dall’ordinanza in 1350 giorni, non si raggiunge una espiazione pari ad almeno venti anni di reclusione.
L’affermazione del ricorrente, secondo cui a tale calcolo dovrebbe essere aggiunto il periodo di tre anni, quattro mesi e ventiquattro giorni di reclusione, in quanto espiati prima del 26/03/2010, Ł errata: detta pena Ł stata espiata in relazione al secondo cumulo parziale, comprendente le
condanne relative ai reati commessi prima del 02/11/2006, ed Ł stata già detratta prima di formare, con la pena residua, il terzo cumulo parziale. Se essa venisse nuovamente detratta, anche dal terzo cumulo parziale, della sua espiazione si terrebbe conto due volte. La formazione del terzo cumulo parziale, peraltro, Ł necessaria stante la non fungibilità delle pene espiate prima del 25/03/2010, data di commissione dell’unico reato compreso in detto cumulo: le pene espiate a partire dal 02/11/2006, infatti, non possono essere computate in relazione al delitto commesso dopo tale data, per il divieto stabilito dall’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., e il sopravvenire della condanna per esso impone la predisposizione di un nuovo cumulo parziale, relativo all’espiazione della pena irrogata per tale reato. La formazione di tale nuovo cumulo, peraltro, comporta un effetto favorevole per il condannato, in quanto consente una ulteriore applicazione del criterio moderatore, e non la mera sommatoria della pena di cui alla nuova condanna a quella di trenta anni di reclusione determinata con il secondo cumulo parziale, e in espiazione a partire dal 02/11/2006.
Il fatto che il reato commesso sino al 25/03/2010 sia stato ritenuto unito per continuazione a delitti precedenti, infine, Ł irrilevante, dovendo tenersi conto, per l’applicazione dell’art. 657 cod. proc. pen., della data di consumazione di ciascuno dei reati in espiazione. Come Ł stato precisato da questa Corte, «Il riconoscimento del vincolo della continuazione tra reati in sede esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza residua possa essere automaticamente imputata alla pena da eseguire, a ciò ostando la disposizione di cui all’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., per cui vanno computate a tale fine solo la custodia cautelare o le pene espiate sine titulo dopo la commissione del reato e dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono» (Sez. 1, n. 17531 del 22/02/2023, Rv. 284435; Sez. 1, n. 36859 del 08/06/2021, Rv. 282033).
L’ordinanza impugnata, pertanto, Ł motivata in modo esaustivo e corretto, nel ritenere che il ricorrente non abbia ancora espiato i due terzi della pena in corso di espiazione a partire dal 26/03/2010, e la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di concessione della misura alternativa della semidetenzione non Ł suscettibile di censura.
Deve inoltre sottolinearsi che il ricorso non avrebbe potuto essere accolto, anche nel caso che i motivi proposti fossero stati ritenuti fondati, perchØ esso non si confronta con la valutazione di non meritevolezza del beneficio richiesto, contenuta nell’ordinanza impugnata.
La valutazione del Tribunale di sorveglianza, secondo cui il ricorrente non ha ancora compiuto un percorso di reinserimento sociale, all’esterno del carcere, sufficiente per poter verificare l’allontanamento dal contesto criminale in cui egli risulta avere operato in passato, non Ł stata impugnata, nØ il ricorrente ne ha sostenuto l’erroneità, essendosi limitato, nella sola memoria di replica alla requisitoria del pubblico ministero, ad affermare di avere fornito plurime prove di ripudio del proprio passato criminale e di volontà di reinserimento sociale. Il diniego del beneficio richiesto, pertanto, dovrebbe in ogni caso essere confermato, stante la omessa impugnazione dell’ordinanza nella parte in cui ha ritenuto che il condannato non ne sia, allo stato, meritevole.
Per le ragioni esposte il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 11/03/2025.
Il Presidente NOME COGNOME