Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25350 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25350 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a VALLO DELLA LUCANIA il 17/07/1988 NOME COGNOME nato a VALLO DELLA LUCANIA il 12/07/1985
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei avverso la sentenza del 29/10/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; ricorsi;
uditi i difensori:
Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME,
Avv. NOME COGNOME per COGNOME, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania, emessa il 19 ottobre 2023, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato
di sequestro di persona perché estinto per remissione della querela ed ha confermato la loro responsabilità per il reato di rapina in concorso, commesso ai danni di Valletta Giovanni, al quale, con violenza e minaccia e dopo averlo costretto a salire a bordo di una autovettura, sottraevano il portafogli contenente denaro, carte bancomat e documenti.
Ricorrono per cassazione gli imputati, a mezzo dei loro rispettivi difensori e con distinti atti.
3. COGNOME NOME.
3.1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale, in composizione monocratica ed a dibattimento già apertosi (dunque tardivamente), trasmesso gli atti al Tribunale in composizione collegiale, ritenendo sussistente la contestazione in fatto dell’aggravante delle più persone riunite nel reato di rapina, nonostante il processo avesse avuto inizio attraverso il decreto di giudizio immediato e senza la celebrazione dell’udienza preliminare, sicché avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 33 septies, comma 2, cod. proc. pen., il quale prevede che se il giudice monocratico ritiene che il reato appartiene alla cognizione del collegio, dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al Pubblico ministero.
Tale violazione di legge – che avrebbe leso le prerogative difensive consistenti nella possibilità di accedere a riti alternativi – era stata eccepita davanti Tribunale in composizione collegiale ed anche con l’atto di appello.
Inoltre, il difensore censura la decisione del giudice di primo grado di ritenere sussistente l’aggravante delle più persone riunite, nonostante la stessa non facesse parte del capo di imputazione, che, per questo, come attestato anche dal Tribunale in composizione collegiale, era stato modificato, con inevitabile violazione del diritto di difesa, essendo rimessa solo al Pubblico ministero, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., la contestazione di una circostanza aggravante non contenuta nel capo di imputazione.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di omessa motivazione in relazione alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, finalizzata, da un lato, alla nuova escussione della persona offesa, anche alla luce della intervenuta remissione della querela per il reato di sequestro di persona e, dall’altro, alla acquisizione di copia di messaggi whatsapp provenienti dalla stessa persona offesa e diretti ad un terzo soggetto sopravvenuti rispetto alla sentenza di primo grado ed alla proposizione dell’atto di appello – aventi rilevanza decisiva per la posizione del ricorrente, in quanto idonei a scagionarlo dalle accuse o, comunque, ad attenuarne la responsabilità.
Tale richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello sarebbe stata negata dalla Corte con motivazione inconsistente quanto a pertinenza e rilevanza della prova e, per di più, errata nella parte in cui ha ritenuto tardiva richiesta di acquisizione documentale, nonostante si trattasse di prova sopravvenuta, la cui incerta provenienza, ritenuta dalla Corte, a maggior ragione avrebbe dovuto giustificare la nuova audizione della persona offesa sul punto.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato d rapina.
La Corte si sarebbe appiattita sulla motivazione della sentenza di primo grado, senza confrontarsi con le doglianze difensive contenute nell’atto di appello a proposito delle dichiarazioni della persona offesa, intese a rimarcarne la contraddittorietà e l’assenza di riscontri, così da doversene inferire l’inattendibilità.
In ogni caso, non sarebbe stata adeguatamente valutata la circostanza, della quale gli stessi giudici di merito hanno dato atto, che il ricorrente aveva tentato di fermare l’azione del coimputato contro la vittima, dissociandosi dalla sua condotta e non coadiuvandolo nella asportazione del portafogli della persona offesa; alla luce di ciò, ingiustamente sarebbe stata negata anche l’applicazione degli artt. 116 e 114 cod.pen.
La Corte avrebbe, inoltre, equivocato il tenore delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato, non aventi contenuto ammissivo delle sue responsabilità.
3.4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4) cod.pen. – avanzata in sede di discussione in appello ma concedibile ai sensi dell’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. – avuto riguardo all’esiguo valore dei beni sottratti.
3.5. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata concessione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, richiesta dalla difesa in sede di discussione.
La motivazione offerta dalla Corte di appello sul punto sarebbe ritagliata sul coimputato COGNOME che aveva formulato analoga richiesta, ma nulla direbbe a proposito del ricorrente.
3.6. Con il sesto motivo di ricorso, si deduce violazione di legge per avere la Corte ritenuto che il primo giudice avesse riconosciuto le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alle circostanze di opposto segno, anziché in misura equivalente, con consequenziale errato calcolo della pena e mancata applicazione della sospensione condizionale di essa.
4. COGNOME NOME.
4.1. Con il primo motivo di ricorso, ci si duole del rigetto della richiesta rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per motivi sovrapponibili a quelli del primo ricorrente, sottolineandosi che la richiesta di nuova escussione della persona offesa non era tardiva, in quanto contenuta nel primo motivo di appello e poi ribadita alla prima udienza in seguito alla attività difensiva del coimputato, interferente con il giudizio di attendibilità della vittima.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deducono argomenti sovrapponibili a quelli del primo ricorrente a proposito della violazione dei criteri sulla ripartizio di competenza tra giudice monocratico e collegiale in conseguenza della contestazione dell’aggravante delle più persone riunite nel delitto di rapina, sottolineandosi la mancanza di motivazione sul punto, la tardività del provvedimento del giudice monocratico rispetto a quanto previsto dall’art. 33 quinquies cod. proc. pen. e la violazione delle prerogative difensive, anche sotto il profilo della mancata nuova escussione dei testimoni davanti al Tribunale in composizione collegiale.
4.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deducono censure sovrapponibili a quelle del primo ricorrente a proposito delle circostanze attenuanti generiche e del giudizio di bilanciamento ad esse relativo.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per non avere concesso la pena sostitutiva richiesta senza un adeguato vaglio della personalità del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati solo in relazione al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, mentre sono nel complesso infondati con riguardo a tutti gli altri motivi, che devono essere rigettati.
1. COGNOME Daniele.
1.1. Il primo motivo di ricorso, comune ai due ricorrenti, è infondato.
1.1.2. Dall’esame degli atti, reso necessario dalla natura processuale della questione, risulta che il processo, dopo l’arresto in flagranza degli imputati, aveva avuto inizio attraverso il decreto di giudizio immediato emesso dal Giudice per le indagini preliminari in data 15 aprile 2014, su richiesta del Pubblico ministero.
Il decreto conteneva, ai sensi dell’art. 456, comma 2, cod. proc. pen., l’avviso agli imputati della possibilità di richiedere riti alternativi.
Ne consegue che, citati davanti al Tribunale in composizione monocratica, entrambi i ricorrenti avrebbero potuto scegliere di definire il procedimento con il rito abbreviato o con il patteggiamento.
Ciò, rispetto alle contestazioni di sequestro di persona e rapina in concorso di cui al capo di imputazione, che indica gli artt. 110, 605 e 628 cod.pen.
La mancata richiesta di riti alternativi – rispetto alle ipotesi di reato contesta è scaturita da una libera scelta dei ricorrenti, sicché essi non possono dolersi, con riguardo a questa prima fase del processo, di alcuna lesione delle loro prerogative difensive.
1.1.3. Il Tribunale monocratico, a dibattimento inoltrato – ed esattamente all’udienza del 17 maggio 2023 – aveva ritenuto sussistente, in fatto, l’aggravante delle più persone riunite, trasmettendo gli atti al Tribunale in composizione collegiale, competente in relazione al reato di rapina aggravata ai sensi dell’art. 628, terzo comma, n. 1), cod.pen.
1.1.5. E’ vero che tale provvedimento è intervenuto oltre il termine previsto dall’art. 33-quinquies cod. proc. pen.; tuttavia, la violazione di tale disposizione non è assistita da alcuna nullità e della sua mancata applicazione i ricorrenti non hanno ragione di dolersi, in quanto la decisione aveva avuto l’effetto di porli davanti al giudizio di un organo sovraordinato come il Tribunale in composizione collegiale.
1.1.6. D’altra parte, una volta ritenuta la competenza del Tribunale in composizione collegiale – a seguito della ritenuta sussistenza di una contestazione in fatto dell’aggravante delle più persone riunite nel reato di rapina di cui al capo B – il Tribunale monocratico (sebbene il processo, al suo esordio, non fosse passato attraverso l’udienza preliminare), non avrebbe potuto disporre la trasmissione degli atti al Pubblico ministero, secondo quanto previsto dall’art. 33-septies cod. proc. pen.
Infatti, occorre ricordare il principio di diritto secondo cui, nel giudizio immediat l’inosservanza delle disposizioni che regolano l’attribuzione dei reati al tribunale in composizione monocratica ovvero in composizione collegiale, comporta, per regola generale, la trasmissione degli atti al giudice ritenuto competente senza regressione di fase e, quindi, senza restituzione degli atti al pubblico ministero (Sez. U, n. 29316 del 26/02/2015, COGNOME).
In altra successiva decisione di questa Corte di legittimità, è stato affermato, a conferma, che è abnorme, determinando un’indebita regressione del procedimento, il provvedimento con il quale il giudice monocratico, investito del giudizio immediato, disponga, ai sensi dell’art. 33-septies cod. proc. pen., la trasmissione degli atti al pubblico ministero, piuttosto che al giudice collegial competente, in quanto, stante la richiesta di giudizio immediato da parte
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dell’imputato e la conseguente valutazione espressa dal giudice per le indagini preliminari, non può ritenersi che sia stata indebitamente omessa la fase dell’udienza preliminare (Sez. 2, n. 4874 del 28/10/2020, dep. 2021, Guarda, Rv. 280612-01).
1.1.7. La decisione del Tribunale monocratico di ritenere sussistente la contestazione in fatto dell’aggravante delle più persone riunite nel reato di rapina, è esente da ogni censura sia di tipo formale che sostanziale.
In primo luogo – come è stato precisato in un passaggio motivazionale della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge “per «contestazione in fatto» si intende, e si intenderà nel seguito – in conformità ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità con particolare riguardo alle circostanze aggravanti – una formulazione dell’imputazione che non sia espressa nell’enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell’indicazione della specifica norma di legge che la prevede, ma riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie, consentendo all’imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi (Sez. 1, n. 51260 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 271261; Sez. 6, n. 4461 del 15/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269615; Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255793; Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, COGNOME, Rv. 253776; Sez. 5, n. 38588 del 16/09/2008, COGNOME, Rv. 242027)”.
In altra decisione di legittimità, si è precisato che, in tema circostanze aggravanti, è ammissibile la c.d. contestazione in fatto quando vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o ad oggetti determinati nelle loro caratteristiche, idonei riportare nell’imputazione tutti gli elementi costitutivi de fattispecie aggravatrice, rendendo così possibile l’adeguato esercizio del diritto di difesa (Sez. 2, n. 15999 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279335-01). In secondo luogo, la lettura congiunta dei due capi di imputazione – resa necessaria dall’espresso richiamo nel capo B delle condotte inerenti al sequestro di persona, di cui al capo A – dà effettiva contezza del fatto (poi acclarato i giudizio e mai contestato da alcuno ed, anzi, ammesso dallo stesso ricorrente COGNOME per quanto di interesse) che i due ricorrenti avevano commesso le condotte delittuose attraverso un’azione congiunta ai danni della vittima, da entrambi costretta con violenza e minaccia a salire a bordo dell’auto ove veniva trasportata, minacciata e colpita con violenza, così impossessandosi del suo portafogli, alla presenza simultanea di entrambi gli imputati.
Vale richiamare il principio, particolarmente adattabile al caso in esame, secondo cui, in tema di lesioni personali volontarie, deve ritenersi legittimamente
contestata in fatto e ritenuta in sentenza l’aggravante delle più persone riunite nel caso in cui il capo d’imputazione, pur non menzionando l’art. 585, primo comma, cod. pen., rappresenti la simultanea presenza di almeno due soggetti nel luogo e al momento di realizzazione della condotta violenta (Sez. 5, n. 22120 del 28/04/2022, Lo Monaco, Rv. 283218-01).
Ne consegue, in terzo luogo, che la dinamica processuale testé esaminata è altra cosa rispetto ai casi in cui si proceda a nuove contestazioni, secondo la disciplina di cui agli artt. 516 e segg. cod. proc. pen.
Qui, il Tribunale monocratico ha – come si è visto legittimamente – ritenuto sussistente una circostanza aggravante contenuta ab origine nel capo di imputazione e rispetto alla cui esistenza ed eventuale applicazione, in quanto riconoscibile per le ragioni dette nonostante la mancata indicazione dell’articolo di legge, gli imputati non avrebbero subito alcuna lesione delle prerogative difensive neanche se si fosse pervenuti a condanna per il reato di rapina aggravata senza altri eventi processuali rilevanti per il tema in esame.
In quarto luogo, proprio perché si tratta di una aggravante contenuta fin dall’inizio nel capo di imputazione, lo svolgimento del processo fino a quel momento avvenuto davanti al Tribunale monocratico, non era bisognevole di alcuna obbligata riproduzione davanti al Tribunale in composizione collegiale, che non aveva alcuna necessità, per garantire i diritti della difesa, di risentire i te escussi davanti al primo organo giudicante.
Peraltro, l’art. 33-nonies cod. proc. pen. prevede espressamente, in siffatti casi, la conservazione degli atti del procedimento, stabilendo che l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del Tribunale non determina l’invalidità degli atti del procedimento, né l’inutilizzabilità delle pro già acquisite.
1.1.8. Il Tribunale in composizione collegiale, all’udienza del 22 giugno 2023, aveva erroneamente ritenuto che l’organo monocratico avesse effettuato una modifica del capo di imputazione, contestando una nuova aggravante in esso non contenuta ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., facoltà che – peraltro – il Tribunal in composizione monocratica non avrebbe avuto, essendo di pertinenza del Pubblico ministero.
E, però, neanche di questa statuizione i ricorrenti hanno motivo di dolersi, in quanto il Tribunale collegiale, in forza di quanto da lui stesso ritenuto, ha provveduto, ai sensi dell’art. 520 cod. proc. pen., a notificare il verbale di udienza ad entrambi i ricorrenti non presenti, avvisandoli della possibilità di chiedere rit alternativi rispetto alla “nuova” (che nuova non era) contestazione di rapina aggravata dalle più persone riunite, facoltà della quale i ricorrenti non hanno inteso avvalersi per loro libera scelta.
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Di tal che, in definitiva, non si evidenzia alcuna lesione delle prerogative difensive in nessuna fase del processo di primo grado.
Tanto assorbe ogni ulteriore deduzione sul punto.
1.2. E’ infondato anche il secondo motivo.
E’ pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che in tema di ricorso pe cassazione può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l’esistenza nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione di determinate prove in appello (da ultimo, Sez, 6, n.1440 del 22/10/2014, dep.2015, PR).
Inoltre, sempre in punto di diritto, va evidenziato che la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale a quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 2015, dep. 2016, Rv. 266820).
Nel caso in esame, la Corte di appello – giustificando la sua decisione attraverso la motivazione inerente all’intero asse del tema della responsabilità dei ricorrenti, ivi compreso quello della attendibilità della persona offesa e dei riscontri esterni al suo narrato – ha ritenuto superfluo ed irrilevante ai fini della decisione la nuova escussione della vittima e l’acquisizione di messaggi dalla stessa inviati a terza persona a molti anni di distanza dai fatti.
Sebbene la richiesta di acquisizione dei messaggi non fosse tardiva, trattandosi di prova sopravvenuta rispetto alla sentenza di primo grado (come la stessa Corte di merito ha precisato a fg. 6 della sentenza impugnata) e, dunque, catalogabile nell’ambito dell’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., la superfluità di tale prova, affermata dalla sentenza impugnata in uno a quella inerente alla nuova escussione della persona offesa, copre ogni ulteriore valutazione ed è coerente con l’intero costrutto motivazionale della sentenza (cui occorre fare riferimento), soprattutto nella parte in cui è stato ritenuto il pieno concorso del ricorrente COGNOME nella condotta più aggressiva commessa dal COGNOME dopo che lo stesso COGNOME lo aveva accompagnato a prelevare la vittima ed aveva acconsentito al suo trasporto coatto all’interno dell’autovettura senza consentirle di uscire ed, anzi, continuando a fare giri con l’autovettura da lui guidata mentre il correo COGNOME colpiva la persona offesa sottraendole anche il portafogli, infine scaricando il malcapitato dal veicolo e allontanandosi senza prestare alcun soccorso e “senza prendere le distanze dalla condotta illecita dell’amico, che, al
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contrario, ha mostrato di condividere in pieno” (fgg. 10 e 11 della sentenza impugnata).
Tale motivazione è priva di vizi logico-ricostruttivi e giuridici; essa inerisce a merito del giudizio e consente di ritenere logico che tale accertamento di fatto sia sovrastante rispetto alla necessità di acquisizione di nuovi elementi sopravvenuti ed inerenti alla responsabilità del COGNOME od, anche, ad una attenuazione del suo ruolo attraverso il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod.pen. o l’applicazione dell’art. 116 cod.pen., evenienze pure escluse nello specifico dalla Corte territoriale nel medesimo contesto motivazionale.
1.3. E’ infondato il terzo motivo.
La Corte di appello, anche in forza di quanto precisato in relazione al secondo motivo di ricorso, ha ampiamente motivato in ordine alla responsabilità del ricorrente, individuandone, come si è detto, il pieno concorso nel reato, attraverso la valorizzazione di circostanze oggettive che riscontravano il racconto della persona offesa (come le dichiarazioni di terzi soggetti che avevano assistito al prelievo coatto della vittima e seguito l’autovettura per un tratto di strada, referto medico attestante le lesioni personali subite dalla persona offesa, le tracce di sangue ritrovate sull’autovettura).
E’ stata anche esaminata ed esclusa, in forza di quanto prima detto con riguardo al secondo motivo, l’eventualità di un concorso anomalo del ricorrente nel reato e di una sua minima partecipazione al fatto.
La sentenza impugnata non soffre, sotto i cennati profili, di alcun vizio motivazionale rilevabile in questa sede, anche a prescindere dalle dichiarazioni spontanee dell’imputato – che non ha negato il fatto dimostrandosi dispiaciuto di quanto accaduto e tentando di minimizzare il suo apporto alla commissione della rapina – e dalla sua scelta, non accolta dal Procuratore generale di appello, di concordare la pena con rinunzia ai motivi sulla responsabilità.
1.4. E’ infondato il quarto motivo.
L’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4) cod.pen. non era stata richiesta con l’atto di appello ma solo, del tutto genericamente, in sede di discussione del processo di secondo grado.
E’ vero che, davanti a questa richiesta, sia pure generica, la Corte avrebbe dovuto pronunciarsi in quanto si trattava di un beneficio che avrebbe potuto anche essere concesso d’ufficio, ai sensi dell’art. 597, comma 5, cod. proc. pen.
Tuttavia, dall’intero compendio motivazionale deve ritenersi che la circostanza attenuante è stata implicitamente disattesa, avuto riguardo alla gravità della rapina, in quanto assistita da sequestro di persona dimostrativo di una lesione all’integrità morale della vittima che va ben oltre il mero rilievo dell’esiguo danno
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economico causatole (sul quale si è focalizzato il ricorso); a specifico rafforzamento dell’assunto che tale circostanza attenuante comune deve tenere conto della natura plurioffensiva del reato di rapina, che non colpisce solo il patrimonio ma anche l’integrità fisica e morale della persona offesa (in questo senso, tra le tante, Sez.2, n. 50987 del 17/12/2015, COGNOME, Rv. 265685; Sez. 2, n. 19308 del 20/01/2010, COGNOME, Rv. 247363)..
Deve, pertanto, farsi applicazione del principio di diritto secondo cui, il dovere di motivazione della sentenza è adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo necessaria l’analisi approfondita e l’esame dettagliato delle predette ed è sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105). 1.5. E’ infondato anche il quinto motivo.
La richiesta di pena sostitutiva non era stata avanzata con l’atto di appello ma solo in sede di discussione nel processo di secondo grado.
La sentenza impugnata non ha specificamente motivato sul punto, se non con riguardo ad analoga richiesta del coimputato COGNOME (in questo caso, però, contenuta nell’atto di appello di quest’ultimo).
Tuttavia, non vi era alcun obbligo per il giudice territoriale di motivare su tale richiesta del COGNOME, non trattandosi di una facoltà rientrante tra quelle previste dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen.
Va GLYPH ribadito, GLYPH in GLYPH proposito, GLYPH il GLYPH principio secondo il quale, GLYPH in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il giudice d’appello non può disporre la sostituzione “ex officio” nel caso in cui, nell’atto di gravame, non sia stata formulata una specifica e motivata richiesta al riguardo, non rientrando la conversione della pena detentiva nel novero dei benefici e delle diminuenti tassativamente indicati dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., che costituisce disposizione derogatoria, di natura eccezionale, al principio devolutivo dell’appello. (In motivazione, la Corte ha altresì affermato che è onere dell’appellante supportare la richiesta di sostituzione delle pene detentive brevi con specifiche deduzioni e che il mancato assolvimento di tale onere comporta l’inammissibilità originaria della richiesta) (Sez. 2, n. 1188 del 22/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287460-01, che costituisce applicazione del più generale principio già espresso da Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, Punzo).
D’altra parte, nel primo grado di giudizio, pendente alla data di entrata in vigore del d.l.vo 10 ottobre 2022 n. 150, non vi era stata alcuna richiesta dell’imputato
in ordine alle pene sostitutive, sicché egli non aveva inteso avvalersi di tale possibilità secondo la disposizione transitoria di cui all’art. 95 del decreto citat (a mente della quale le pene sostitutive “si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento di entrata in vigore del presente decreto”).
In grado di appello, instauratosi a seguito di atto di impugnazione del 26 febbraio 2024 – e, dunque, oltre il periodo transitorio previsto dalla norma appena citata – la richiesta avrebbe dovuto essere proposta con l’atto di appello, in ossequio al citato principio devolutivo che regola la materia.
1.6. E’ fondato il sesto motivo.
Nel dispositivo della sentenza di primo grado erano state riconosciute le circostanze attenuanti generiche come equivalenti alla aggravante.
Nella motivazione della sua sentenza, il Tribunale aveva commesso l’errore di non bilanciare ab origine le circostanze eterogenee ma di effettuare il calcolo partendo dalla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione oltre la multa per il più grave reato di rapina, ritenendola quale pena minima edittale (e, dunque, inequivocabilmente riferendosi alla fattispecie aggravata), per poi effettuare la diminuzione di un terzo per le circostanze attenuanti generiche, giungendo alla pena di anni tre di reclusione oltre la multa.
Tale errore di calcolo, non rendendo chiara la volontà del giudice, avrebbe dovuto condurre ad applicare la regola generale secondo cui il dispositivo prevale sulla motivazione (Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690-01).
La Corte di appello ha ritenuto che il primo giudice avesse riconosciuto le circostanze attenuanti generiche come prevalenti sull’aggravante (cfr. ordinanza di correzione della sentenza di secondo grado del 24 dicembre 2024), tuttavia non pervenendo ad alcuna diminuzione della sanzione finale inflitta dal Tribunale, se non per quanto relativo alla (ininfluente) elisione dell’aumento di pena in continuazione per il reato di sequestro di persona che si era estinto per remissione della querela nelle more della decisione di primo grado.
Di tal che, il calcolo della pena effettuato dai giudici di merito rivela un cort circuito che non consente di valutarne la legittimità e che merita un nuovo esame di merito volto a chiarirne i contenuti.
2. COGNOME NOME.
2.1. Quanto ai primi due motivi di ricorso, si richiamano integralmente le argomentazioni spese a proposito delle analoghe censure proposte dal ricorrente COGNOME per quanto inerenti alla dedotta violazione delle norme sulla competenza del giudice monocratico e collegiale ed alla più generale violazione
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delle prerogative difensive, nonché in relazione alla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello.
2.2. Il terzo motivo di ricorso, relativo al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, è fondato per le stesse ragioni espresse a proposito del COGNOME,
cui si rinvia.
2.3. Il quarto motivo è manifestamente infondato in quanto non si confronta con l’ampia motivazione della sentenza impugnata a proposito delle ragioni che hanno
condotto la Corte ad escludere l’applicazione di pene sostitutive, basate sulla negativa personalità dell’imputato sotto il profilo della sua inclinazione a
delinquere, tratta, oltre che dai precedenti penali, anche dalle specifiche modalità
del fatto e dal ruolo in esso assunto dal ricorrente; valutazione di merito insita nel potere discrezionale del giudice, non rivedibile in questa sede perché non
viziata da manifesta illogicità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al giudizio di bilanciamento, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto i ricorsi e dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità. Così deciso, il 27/05/2025.