Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31763 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31763 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CASTEL D’AZZANO il 13/02/1960
avverso la sentenza del 05/11/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME la quale ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso
Ritenuto in fatto
Con sentenza n. 38030 del 10 maggio 2019, la Prima sezione di questa Corte annullava senza rinvio la sentenza della Corte d’appello di Venezia del 21 settembre 2017, per essere i reati di falso ideologico ascritti -dal capo A) al capo P)- a NOME COGNOME estinti per intervenuta prescrizione; annullava con rinvio la decisione con riferimento al trattamento sanzionatorio previsto per i restanti reati di falso ideologico di cui ai capi da Q), R), T), U) e Z). Quanto ai reati di cui all’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, ascritti alla ricorrente, la Prima sezione ricordava come fosse stata contestata una sola delle ipotesi aggravanti previste dall’art. 12, comma 3, cit. e precisamente quella indicata nella lett. d) per essere stato il fatto commesso in concorso da tre o più persone ed utilizzando documenti illegalmente ottenuti. Ne derivava l’obbligo, per il giudice del rinvio, nel rideterminare la pena, di applicare l’art. 69 cod. pen., tenendo conto del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche già formulato in favore della ricorrente, sia pure in relazione solo ai reati di falso ideologico.
Giudicando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza impugnata in questa sede, ha rideterminato la pena nei confronti della ricorrente in anni quattro, mesi dieci e giorni 15 di reclusione ed euro 3.220 di multa.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, per erronea determinazione del calcolo della pena. In particolare, si contesta il calcolo concernente l’aumento per la continuazione, che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, doveva indicarsi in mesi quattro, non già 18 mesi, posto che, come ricordato in premessa dalla medesima sentenza rescissoria, soltanto quattro sono i reati non prescritti (di cui ai capi Q, R, T, U della rubrica).
2.2 Col secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, per avere i giudici dell’appello computato nella rideterminazione della pena anche il reato di cui al capo w1), che non era stato, invece, oggetto di giudizio. Quel reato aveva formato oggetto di correzione materiale del dispositivo, in cui era stato indicato anche il reato in parola.
2.3 Col terzo motivo, si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto che si fosse formato il giudicato cd. graduale, ex art. 624 del codice di rito, relativamente alla responsabilità
dell’imputata per i reati di cui all’art. 12, comma 3, d. lgs. n. 286 del 1998. Anche a voler accedere alla tesi del giudicato graduale, la difesa osserva che “i
reati ascritti all’imputata ex art. art. 12, comma 3, d. Igs. n. 286 del 1998 devono
ritenersi prescritti per effetto della sentenza Corte cost. n. 63 del 2022, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della circostanza aggravante di cui alla lett. d) del citato art. 12, comma 3, d. Igs. n. 286 del 1998, limitatamente alle parole “ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti.” Il riconoscimento dell’art. 62 bis cod. pen., con giudizio di prevalenza sull’aggravante di cui alla lett. d) dell’art. 12, comma 3, del citato d. Igs., oltre a ricondurre le violazioni contestate alla forbice edittale (da anni uno ad anni cinque di reclusione) prevista dal primo comma dell’art. 12 d. Igs. n. 286 del 1998, imporrebbe di elidere il disposto di cui all’art. 157 cod. pen., attesa la caducazione della circostanza aggravante a effetto speciale ad opera della citata sentenza della Corte costituzionale.
2.4 Col quarto motivo, si lamenta violazione di legge, per avere la Corte d’appello ritenuto che si fosse formato e consolidato un giudicato graduale in punto di penale responsabilità in capo alla ricorrente. Secondo la difesa, in ossequio alla riconosciuta applicazione dell’articolo 69 cod. pen., tutti i reati in contestazione nell’ambito dei capi di imputazione residui dovrebbero ritenersi prescritti.
Sono pervenute le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME la quale ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è fondato, nei limiti di seguito indicati. Come correttamente contestato dalla difesa, la Corte d’appello ha errato, infatti, nel computare un aumento, a titolo di continuazione, di mesi 18 di reclusione per i 18 reati di falso, posto che quattordici dei delitti di falso (segnatamente, quelli di cui ai capi a), b), c), d), e), f), g), h), i), I), m), n), o), p)), ricompresi dalla Corte in tale calcol rideterminazione della pena, erano stati già dichiarati estinti per prescrizione. Ne consegue l’illegittimità della relativa pena, inflitta a titolo di aumento per la continuazione, pari a complessivi anni uno e mesi due di reclusione. Ai fini del calcolo dell’aumento per la continuazione per i delitti di falso, la Corte territoriale avrebbe dovuto, dunque, tener conto unicamente dei reati di falso non sub 1 del “ritenuto in fatto”). Fin qui, le censure difensive vanno condivise; al contrario, deve rigettarsi l’eccezione nel punto in c essa non considera che, ai fini del computo per la continuazione, rilevano (per l terzo motivo di ricorso) altresì i reati di cui
prescritti, già indicati (retro, ragioni illustrate infra, nell’esame del all’art. 12, comma 3, d. Igs. n. 286 del 1998, indicati a p. 4 della gravata sente
2. Il secondo motivo è infondato. Sebbene risulti dagli atti, come osservato dalla ricorrente, la correzione del dispositivo per l’errore materiale consistito nell’indicazione del reato di cui al capo wl), che non aveva formato oggetto d’impugnazione, deve notarsi anche che, nel concreto calcolo relativo alla continuazione per i reati di cui all’art. 12, comma 3, d. Igs. n. 286 del 1998, la Corte d’appello applica 14 mesi per quattordici reati, escludendo quindi il reato sub w1) della rubrica, computando il quale il calcolo per la continuazione sarebbe arrivato a 15 mesi di detenzione in più, non già a 14, come in effetti ritenuto.
3. I motivi terzo e quarto – esaminabili congiuntamente perché logicamente connessi – sono infondati. Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, la sentenza Corte cost. n. 63 del 10 marzo 2022, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della lettera d) del citato art. 12, comma 3, d. Igs. n. 286 del 1998, non ha travolto per intero quella lettera, lasciando invece sopravvivere la disposizione nella parte in cui prevede che il fatto sia “commesso da tre o più persone in concorso tra loro”. La parte della lettera d) colpita dalla pronuncia di illegittimità costituzionale ha riguardo unicamente alle parole “o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti.” Si rimarca, per inciso, che l’aggravamento della pena era collegato (prima dell’intervento demolitorio della Consulta) dal legislatore ad ogni singola ipotesi ; indipendentemente dalla ricorrenza di una o più situazioni tra quelle previste, come testimoniato dalla funzione disgiuntiva delle congiunzioni “ovvero” e “o”.
Pertanto, atteso che la circostanza aggravante a effetto speciale dell’essere il fatto “commesso da tre o più persone in concorso tra loro”- che è stata contestata alla ricorrente – è sopravvissuta alla citata pronuncia di illegittimità costituzionale, di essa correttamente la Corte d’appello ha tenuto conto ai fini del calcolo della prescrizione, secondo quanto chiaramente disposto dal secondo comma dell’art. 157 cod. pen.
Come osservato dalla Corte territoriale, l’annullamento con rinvio disposto, nel caso in esame, dalla Prima sezione di questa Corte non ha riguardato né la penale responsabilità della ricorrente, né una questione inerente alla valutazione delle circostanze destinata ad incidere, ex art. 157, comma secondo, cod. pen., sulla determinazione del tempo necessario a prescrivere (nel qual caso, v., invece, Sez. 3, n. 4334 dei 22/10/2021, dep. 2022, Ferretti, Rv. 282801 – 01), bensì unicamente il trattamento sanzionatorio. Risultano, pertanto, correttamente applicati al caso in scrutinio i principi di diritto, elaborati da questa Corte, a mente dei quali «l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione per motivi che non riguardano l’affermazione di responsabilità dell’imputato determina il
passaggio in giudicato della sentenza sul punto e, conseguentemente, comporta che nel successivo giudizio di rinvio non decorrono ulteriormente i termini di prescrizione. (Sez. 5, n. 51098 del 19/09/2019, M., Rv. 278050 – 01).
Infine, l’eccezione difensiva, di cui al motivo quarto, relativa al ritenuto giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti su quelle aggravanti (e quindi anche sull’aggravante di cui alla lett d), comma 3, dell’art. 12) – che comporterebbe, in tesi difensiva, che in ossequio alla riconosciuta applicazione dell’articolo 69 cod. pen., tutti i reati in contestazione nell’ambito dei capi di imputazione residui dovrebbero ritenersi prescritti – è, del pari, infondata, non considerando il chiaro disposto dell’art. 157 cod. pen.
Come già precisato da questa Corte (Sez. 5, n. 25962 del 03/03/2022, Magliano, Rv. 283815 – 01, in motivazione, par. 1.1), «il legislatore del 2005 (cfr. legge 5 dicembre 2005, n. 251), nel modificare l’art. 157 cod. pen. – nell’ambito della rimodulazione (e della tendenziale riduzione) del termine di prescrizione dei reati (con talune eccezioni) – ne ha riscritto (anche) il terzo comma, prevedendo (contrariamente a quanto disposto in precedenza) che, per determinare il tempo necessario a prescrivere, non si applichino le disposizioni dell’art. 69 cod. pen. ma la previsione del secondo comma dello stesso art. 157 (secondo cui «per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante»). La Corte costituzionale, in relazione alla detta riformulazione dell’art. 157 cit., ha espressamente affermato che «la scelta di considerare, ai fini del calcolo del termine di prescrizione dei reati, solo l’aumento di pena derivante dall’applicazione delle circostanze aggravanti con previsione speciale di pena o ad effetto speciale e non la corrispondente diminuzione derivante dall’applicazione delle circostanze attenuanti della stessa natura è espressione del legittimo esercizio della discrezionalità legislativa e non trasmoda in una violazione del principio di ragionevolezza»; difatti, «la legge n. 251 del 2005, nel riformare la disciplina della prescrizione, ha confermato la tendenziale correlazione, già accolta nel codice del 1930, tra il tempo necessario a prescrivere e la gravità del reato, ancorando il criterio per la determinazione del termine di prescrizione del reato alla sanzione per esso prevista, indice del suo maggiore o minore disvalore» (cfr. l’art. 157, comma 1, cod. pen. che collega, infatti, il termine di prescrizione alla misura della pena massima edittale); e, «nel dettare tali regole, il legislatore può, peraltro, nell’esercizio della propria discrezionalità, ponderare i vari interessi coinvolti dalla Corte di Cassazione – copia non ufficiale
complessa disciplina della prescrizione e, ciò facendo, può anche escludere la considerazione di alcuni fattori, pure suscettibili di incidere sull’entità della pena, con il solo limite costituito dalla non irragionevolezza di tale scelta. In siffatta prospettiva, non può considerarsi irragionevole che il legislatore abbia ritenuto che la rinuncia a perseguire i fatti criminosi debba essere rapportata . alla gravità del reato nella sua massima ipotizzabile esplicazione sanzionatoria prevista per la fattispecie base e sul massimo aumento di pena previsto per quelle circostanze aggravanti – quelle a effetto speciale e quelle che comportano un mutamento qualitativo della pena – che, cogliendo elementi del fatto connotati da una maggiore idoneità a incidere sull’ordinaria fisionomia dell’illecito, comportano una eccezionale variazione del trattamento sanzionatorio. L’esclusione della considerazione delle attenuanti è conseguente alla scelta del legislatore in favore di un criterio di misurazione del tempo necessario a prescrivere in grado di evitare che solo successivamente all’accertamento del fatto, in sede di decisione di merito, si pervenga, per effetto del riconoscimento e dell’eventuale giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto, ad una pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, con conseguente inutilità dell’attività processuale svolta; nonché in grado di evitare che la determinazione del termine prescrizionale venga a dipendere da valutazioni giudiziali ad alto tasso di discrezionalità quale, in particolare, quella che presiede al bilanciamento tra circostanze eterogenee» (Corte cost. n. 324 del 01/04/2008)».
Tali principi impongono di ritenere infondata la prospettazione della ricorrente, la quale ha inteso ancorare il termine di prescrizione del reato alla valutazione del giudizio di prevalenza delle attenuanti, contrariamente a quanto rimarcato dal Giudice delle leggi, al disposto dell’art. 157 cod. pen., oltre che alla giurisprudenza di legittimità. Gioverà ricordare che Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275319 – 01, in motivazione, hanno precisato che «la disciplina della prescrizione offre un nitido punto di ancoraggio per la tesi della rilevanza della recidiva anche quando il giudizio di bilanciamento l’abbia vista subvalente; l’art. 157, terzo comma cod. pen. esclude espressamente che possa tenersi in considerazione il giudizio di cui all’art. 69 cod. pen. ai fini della determinazione della pena massima del reato di cui trattasi, fattore di riferimento per il computo del termine di prescrizione. E poiché l’art. 161 cod. pen. richiama talune ipotesi di recidiva coordinando la regola al tempo necessario a prescrivere, definito secondo quanto previsto dall’art. 157 cod. pen., resta confermato che anche ai fini del computo del termine di prescrizione in caso di sospensione e di interruzione del corso dello stesso la recidiva assume rilievo solo che sia stata riconosciuta» (v. anche, sempre in motivazione, Sez. U, n. 30046 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283328 – 01, punto 5.5. del Considerato in diritto).
Da quanto finora illustrato, deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente ai reati di cui ai capi a), b), c), d), e), f), g), h), i), I), m), n), o), p), in quanto già dichiarati estinti per prescrizione; la relati pena, inflitta a titolo di aumento per la continuazione, pari a complessivi anni uno e mesi due di reclusione, deve essere annullata. Gli altri motivi di ricorso devono rigettarsi in quanto infondati.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi a), b), c), d), e), f), g), h), i), I), m), n), o), p), in quanto già dichiarati e per prescrizione, ed elimina la relativa pena inflitta a titolo di aumento per la continuazione, pari a complessivi anni uno e mesi due di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 06/06/2025
Il conigliere estensore
Il presidente