Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17930 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 522/2025
Relatore –
CC – 11/02/2025
R.G.N. 41890/2024
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 04/02/1993 avverso l’ordinanza del 07/11/2024 della Corte di assise d’appello di Napoli Udito la relazione svolta dal Consigliere COGNOME Lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha prospettato la
declaratoria di inammissibilità del ricorso, con l’adozione delle statuizioni consequenziali;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 7 novembre 2024, la Corte di assise di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, giudicando in sede di rinvio, ha applicato la continuazione fra i reati accertati con la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli del 7 maggio 2019, confermata dalla Corte di assise di appello di Napoli con decisione del 16 settembre 2020, e i reati accertati dalla Corte di appello di Napoli, con sentenza del 16 aprile 1919, resa in parziale riforma della decisione emessa in data 26 aprile 2017 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale, e ha rideterminato la complessiva pena irrogata a COGNOME in quella di anni ventinove, mesi quattro di reclusione.
La suddetta istanza di applicazione della continuazione era stata rigettata, una prima volta, dal giudice dell’esecuzione con ordinanza del 25 novembre 2022, ordinanza annullata con rinvio dalla Corte di cassazione (con sentenza di Sez. 1, n. 36231 del 28/06/2023).
Il susseguente provvedimento, reso dal giudice dell’esecuzione il 14 novembre 2023, aveva egualmente rigettato l’istanza. Esso, tuttavia, era stato annullato con rinvio dalla Corte di cassazione (con sentenza di Sez. 5, n. 28119 del 02/04/2024).
Con l’ulteriore ordinanza, oggetto dell’attuale in verifica, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto non spendibili ulteriori argomenti per negare l’identità del medesimo disegno criminoso fra i reati accertati a carico di Cerasuolo con le due indicate sentenze, entrambe pronunciate all’esito di giudizio svoltosi con rito abbreviato, e ha, quindi, applicato ai reati suindicati la continuazione computando la pena complessiva di anni ventinove, mesi quattro di reclusione.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE PENALE Depositata in Cancelleria oggi Numero di raccolta generale 17930/2025 Roma, lì, 13/05/2025
Avverso questa ordinanza ha proposto ricorso il difensore di COGNOME articolando un unico motivo con cui denuncia la violazione degli artt. 442 cod. proc. pen. e 187 disp. att. cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, il giudice dell’esecuzione nel quantificare la pena all’esito della riconosciuta continuazione non ha tenuto conto del fatto che entrambi i processi in cui erano stati accertati i reati ritenuti avvinti dal medesimo disegno criminoso erano stati celebrati con il rito abbreviato: di conseguenza, nel pervenire alla pena complessiva di anni ventinove, mesi quattro di reclusione, ha mancato di applicare la riduzione prevista dall’art. 442 cod. proc. pen.
A ciò va aggiunto, ad avviso della difesa, che il giudice dell’esecuzione, per fissare la pena relativa al reato piø grave, avrebbe dovuto fare retta applicazione dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., norma con riguardo a cui vengono considerate due interpretazioni: una, attribuita all’elaborazione piø risalente delle Sezioni Unite, secondo la quale deve muoversi dalla pena inflitta prima della riduzione per il rito; un’altra per la quale, invece, occorre partire dalla pena irrogata in concreto, al netto della suddetta riduzione, tesi dedotta come fatta propria dalla piø recente interpretazione nomofilattica, che ha valorizzato la portata eminentemente sostanziale della riduzione premiale.
In tale quadro, il giudice dell’esecuzione – lamenta il ricorrente – nell’effettuare il computo della pena complessiva ha dimenticato di operare la riduzione ex art. 442, comma 2, cod. proc. pen. o meglio – ha errato computando tale riduzione sulle singole pene, anzichØ sul coacervo finale: se avesse evitato la suddetta modalità di calcolo, muovendo dalla pena lorda di anni trentaquattro di reclusione, anche a omettendo di applicare il criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto pervenire a una pena non superiore ad anni venticinque, mesi quattro di reclusione.
Il Procuratore generale ha prospettato l’inammissibilità del ricorso, in quanto il calcolo della pena per il reato continuato, alfine riconosciuto, Ł stato effettuato considerando già tutte le pene al netto della riduzione per il rito: operazione rispetto alla quale Ł matematicamente indifferente operare la diminuzione frazionaria sui singoli aumenti oppure sulla pena complessiva, nØ avendo compiuto senso il riferimento a una recente pronuncia delle Sezioni Unite, i principi affermati nella quale afferiscono alla disciplina di diritto intertemporale inerente ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo, a cui – prima della modifica dell’art. 442 cod. proc. pen. introdotta nell’aprile 2019 sia stata irrogata la pena, ridotta per il rito, di anni trenta di reclusione, ai fini dell’individuazione del reato piø grave per l’applicazione della continuazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł inammissibile.
Nei limiti di quanto ancora interessa (per lo scrutinio relativo alla questione della pena complessiva da applicare all’esito della riconosciuta continuazione fra i reati considerati), Ł utile ripercorrere i tratti salienti del ragionamento esposto dal giudice dell’esecuzione.
La Corte di assise di appello ha premesso che, con la sentenza del 16 settembre 2020, era stata inflitta a Cerasuolo, al netto della diminuente per il rito, la pena di anni venti di reclusione, di cui anni diciotto, mesi otto di reclusione per il piø grave reato di omicidio volontario e mesi quattro di reclusione per i reati satellite di porto e detenzione illegali di arma, e, con la sentenza del 16 aprile 2019, era stata irrogata al condannato la pena, ancora una volta al netto della diminuente per il rito, di anni dodici, mesi otto di reclusione, di cui anni otto di reclusione per il piø grave reato di
partecipazione ad associazione mafiosa, anni due di reclusione per il tentato omicidio e complessivi anni due, mesi otto di reclusione per i sette reati satellite, concernenti detenzione, porto e ricettazione di armi clandestine.
Operata questa basilare premessa e – punto da evidenziare – operando ogni computo sulla scorta delle entità sanzionatorie stabilite nelle indicate decisioni già al netto della riduzione per il rito, il giudice dell’esecuzione ha individuato la pena relativa al reato piø grave in quella irrogata per l’omicidio e, poi, ha ritenuto congruo, confermandolo, l’aumento di anni uno, mesi quattro di reclusione per la detenzione e il porto illegali di arma, avvinti in continuazione con l’omicidio; indi, ha confermato, quanto ai reati oggetto della seconda sentenza già inquadrati quali reati satellite, l’aumento di anni due di reclusione computato per il tentato omicidio, reputando che esso fosse insuscettibile di ulteriore riduzione, data la sua entità minima rispetto alla gravità del corrispondente reato, concretatosi nella tentata uccisione di un appartenente a un diverso gruppo delinquenziale; poi, anche il complessivo aumento di anni due, mesi otto di reclusione per i suddetti, sette reati commessi in materia di armi, non Ł stato considerato suscettibile di riduzione; infine, per quanto concerne il delitto di associazione per delinquere, divenuto reato satellite all’esito dell’accoglimento della domanda di applicazione della (piø ampia) continuazione, dopo aver sviluppato una serie di riflessioni inerenti alla concreta portata del suddetto reato, ha stimato che, a fronte della pena netta di anni otto di reclusione inflitta in sede cognitoria, fosse da determinarsi l’aumento – sempre computata la riduzione per il rito – di anni quattro, mesi otto di reclusione.
Sulla scorta degli indicati addendi, il giudice dell’esecuzione Ł pervenuto alla pena complessiva di anni ventinove, mesi quattro di reclusione.
Stante tale base argomentativa a sostegno del provvedimento impugnato, risulta evidente che, nell’unica doglianza espressa, il ricorrente non ha inquadrato in modo corretto la motivazione e le articolazioni logico-giuridiche esposte dal giudice dell’esecuzione: Ł certo, infatti, come non ha mancato di segnalare l’Autorità requirente, che la Corte di assise di appello ha operato i computi finalizzati alla determinazione della pena complessiva derivante dall’applicazione della continuazione muovendo da tutte le entità delle pene irrogate in cognizione considerate già al netto della diminuente per il rito, ossia dopo il corrispondente scomputo della frazione di un terzo dalla pena lorda.
Si considera, invero, che – prima dell’applicazione della continuazione – il cumulo materiale delle pene complessive irrogate con le due sentenze indicate in parte narrativa era pari ad anni quarantanove di reclusione, mentre esso era diminuito a trentadue anni, mesi otto di reclusione dopo l’applicazione della riduzione per il rito a prova contratta.
¨ del pari chiaro che – come anche sul punto ha sottolineato il Procuratore generale – operare i computi sulle pene lorde e poi applicare la riduzione della frazione del terzo, oppure operare i computi sulle pene esaminate già al netto del terzo (ovviamente senza applicare un’ulteriore riduzione alla fine) conduce – per l’applicazione della stessa formula matematica, sia pure con diversa successione di fattori – al medesimo risultato conclusivo.
Ciò, con l’avvertenza che il rilievo di tale indifferenza di metodo non deve infirmare in nessun modo la valenza del precetto dettato dall’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., al lume del quale, quando il giudice dell’esecuzione procede all’applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato, si considera violazione piø grave quella per la quale Ł stata inflitta la pena piø grave, anche quando per alcuni reati si Ł proceduto con giudizio abbreviato.
3.1. In questa prospettiva, non contrasta l’approdo raggiunto dal giudice dell’esecuzione il principio di diritto affermato nella sentenza delle Sezioni Unite a cui la difesa si Ł richiamata.
Invero, dall’insegnamento in esame (Sez. U, n. 7029 del 28/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv.
285865 01/02) si evincono, da un lato, la riaffermazione del principio di diritto secondo il quale, ai fini dell’individuazione della violazione piø grave nel reato continuato in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., deve essere considerata come pena piø grave inflitta, che identifica la violazione piø grave, quella irrogata in concreto dal giudice della cognizione, siccome indicata nel dispositivo di sentenza, e, dall’altro, la rilevante specificazione che, in tema di continuazione in sede esecutiva, nel caso di riconoscimento del vincolo tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo, per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, cod. proc. pen. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019, prima della riforma introdotta dalla legge 12 aprile 2019, n. 33), il giudice deve considerare come “pena piø grave inflitta” che identifica la “violazione piø grave” quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato.
Tale importante precisazione chiarisce che l’indifferenza del metodo di calcolo della pena complessiva in ipotesi di applicazione della continuazione in sede esecutiva non sussiste quando la riduzione della pena apportata in sede cognitoria, ex art. 442 cod. proc. pen., abbia determinato il mutamento di natura della pena stessa (come poteva accadere per i reati puniti con la pena dell’ergastolo nel regime antecedente alla citata legge n. 33 del 2019).
3.2. Si tratta, peraltro, di tematica che risulta – all’evidenza – estranea al computo della pena complessiva operato dal giudice dell’esecuzione con riferimento alla posizione di Cerasuolo, computo, come si Ł già rilevato, effettuato considerando già al netto della riduzione per il rito tutte le pene: sia la pena per il reato piø grave, sia gli aumenti per i reati satellite, ivi incluso il reato di associazione per delinquere, accertato con la seconda delle indicate sentenze (considerato reato piø grave in quella pronuncia cognitoria e divenuto satellite all’esito dell’applicazione della piø ampia continuazione in sede esecutiva).
Di conseguenza, la censura sviluppata dal ricorrente ha richiamato in modo incongruo l’indicato indirizzo e ha sostenuto l’applicazione di un metodo di calcolo della pena scaturente dalla continuazione che, se avallato, finirebbe per duplicare, in via eccentrica prima che illegittima, la riduzione degli aumenti di pena per i reati accertati nei giudizi svoltisi con rito a prova contratta.
Il complesso delle deduzioni svolte dal ricorrente si rivela, quindi, infondato in modo manifesto, oltre che generico: e ciò determina l’inammissibilità del mezzo.
Alla relativa pronuncia segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di Cerasuolo al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) – di una somma alla Cassa delle ammende nella misura che, in ragione del contenuto dei motivi dedotti, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11/02/2025.
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME