Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14969 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14969 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME, nato a San Severo DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Bari del 20.1.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente con rideterminazione della pena finale.
Con sentenza del 20.6.2019 la Corte d’appello di Bari, in riforma di quella resa dal GUP in esito a giudizio abbreviato, aveva confermato la responsabilità di NOME COGNOME per i fatti di tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 416bis.1 cod. pen., aveva riconosciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva ed aveva di conseguenza rideterminato la pena finale in quella di anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 900,00 di multa;
avverso la predetta sentenza il COGNOME, tramite il difensore, aveva proposto ricorso per cassazione e la Corte, con sentenza del 25 novembre 2020, n. 36248, aveva annullato la decisione impugnata quanto alla omessa motivazione circa la ritenuta recidiva, rinviando per nuovo giudizio sul punto alla Corte territoriale;
la Corte d’appello di Bari, giudicando in sede rescissoria, aveva pertanto escluso la recidiva contestata all’imputato, lasciando tuttavia immodificato il trattamento sanzionatorio stabilito con la sentenza oggetto della pregressa decisione rescindente;
per questa ragione, il ricorrente aveva proposto nuovamente ricorso per cassazione lamentando violazione di legge in relazione agli artt. 59, comma 3, cod. pen. e 629 cpv. cod. pen.: aveva osservato che l’espletato giudizio di equivalenza avrebbe imposto alla Corte di merito di considerare quale pena base non quella di cui all’art. 629, comma secondo, cod. pen. bensì quella stabilita dal comma primo e che il venir meno della recidiva avrebbe escluso l’obbligo di rispettare la regola imposta dall’ultimo comma dell’art 81 cod. pen. consentendo così un minor rigore sanzionatorio quanto all’aumento apportato per la continuazione, comunque non adeguatamente motivato;
la Corte territoriale ha accolto il ricorso limitatamente alla censura relativa agli aumenti per la continuazione rinviando per nuovo giudizio su questo punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bari;
la Corte distrettuale, investita del relativo giudizio di rinvio, ha rideterminato la pena inflitta al COGNOME individuando quelle per il più grave episodio di tentata estorsione aggravata, operando l’aumento per l’aggravante non bilanciabile e, poi, quello ulteriore di mesi tre di reclusione ed euro 75,00 di multa per ciascuno degli ulteriori episodi di tentata estorsione, con la fi nale riduzione per la scelta del rito premiale;
ricorre nuovamente per cassazione il COGNOME a mezzo del difensore deducendo inosservanza di norma processuale in relazione agli artt. 522 e 597 cod. proc. pen.: richiamate le due sentenze di annullamento, rileva che, con quella
qui impugnata, la Corte d’appello, pur avendo rivisto il trattamento sanzionatorio e, in particolare, l’entità degli aumenti per la continuazione, non più vincolati alla contestata recidiva, ha tuttavia operato aumenti relativi a fatti non contestati in quanto riferiti a quattro episodi comprendenti quelli in danno di COGNOME e COGNOME, non contestati; sottolinea che la posizione di costoro era rimasta ambigua tanto da indurre il PM a non contestare la tentata estorsione anche in loro danno e che, in tal modo, risulta violato anche il principio sancito dall’art. 597 cod. proc. pen.;
8. la Procura AVV_NOTAIO ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per la fondatezza del rilievo difensivo ed il conseguente annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata con rideterminazione della pena finale, sulla base delle statuizioni della Corte di Appello di Bari, in anni 2 mesi dieci di reclusione ed euro 700 di multa.
CONSIDERATO IN IDIRITTO
Il ricorso è fondato.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei gradi di merito, di vari episodi di tentata estorsione in concorso con altri: in particolare, l’imputazione elevata nei suoi confronti è stata quella di tentata estorsione continuata (e pluriaggravata) “… poiché … compiva(no) atti idonei, diretti in modo non equivoco, a costringere COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti titolari e comunque gestori di società operanti nel settore della distribuzione, installazione e gestione di apparecchiature elettroniche comunemente denominate slot machine … a versare una somma mensile pari ad euro 50 al mese per ogni apparecchiatura installata nel territorio di San Severo … non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla propria volontà …”.
Il capo di imputazione, dopo aver descritto la condotta delittuosa ed i relativi destinatari, ha poi specificato le modalità attraverso le quali gli imputat avrebbero tentato di ottenere da costoro il pagamento di una somma mensile: ed è (soltanto) in questo contesto e sotto questo profilo che compaiono NOME COGNOME e NOME COGNOME, imprenditori operanti nel campo delle slot nnachine che, tuttavia, non sono indicati come vittime del tentativo di estorsione ma come interlocutori in una fase iniziale della vicenda che avrebbe visto come finali destinatari della richiesta estorsiva il COGNOME, il COGNOME, il COGNOME.
Di qui l’errore in cui è incorsa la Corte d’appello in sede di rinvio dal secondo annullamento quando, nel calcolare separatamente gli aumenti di pena inflitti a titolo di continuazione, ha operato tali aumenti anche con riguardo a (mai contestati) tentativi di estorsione in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La Corte d’appello ha infatti finalmente distinto gli aumenti per la continuazione: ha considerato più grave l’episodio in danno del COGNOME individuando quale pena congrua per questo fatto quella di anni 2 e mesi 6 di reclusione ed euro 600 di multa; ha aumentato la pena sino ad anni 3 e mesi 9 di reclusione per l’aggravante mafiosa (non bilanciabile) ed operato ulteriori aumenti di mesi 3 di reclusione ed euro 75 di multa per ciascuno dei “quattro episodi di tentata estorsione in danno, rispettivamente, di COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME” (cfr., pag. 4).
Poiché, come si è visto, l’imputazione non aveva contemplato condotte di tentata estorsione in danno del COGNOME e del COGNOME, gli aumenti stabiliti con riguardo ai (mai contestati) reati in danno di costoro vanno eliminati, operazione cui ben può provvedere direttamente la Corte ai sensi dell’art. 620, comma primo, lett. I), cod. proc. pen..
Va dunque eliminato l’aumento operato nella misura complessiva di mesi 6 di reclusione ed euro 150 di multa, ridotti a mesi 4 di reclusione ed euro 100 di multa per il rito; la pena finale va rideterminata in quella di anni 2 e mesi 10 di reclusione ed euro 700 di multa.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni due e mesi dieci di reclusione ed euro settecento di multa.
Così deciso in Roma, il 15.3.2024