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Calcolo della pena: la rideterminazione in appello

Un imputato, condannato per ricettazione, ha presentato ricorso in Cassazione contestando il calcolo della pena effettuato dalla Corte d’Appello dopo l’assoluzione da un capo d’imputazione e la prescrizione di un altro. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, giudicandolo inammissibile e confermando la correttezza del calcolo sanzionatorio operato dai giudici di secondo grado, che avevano correttamente eliminato solo gli aumenti di pena relativi ai reati venuti meno.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Calcolo della Pena: La Cassazione Spiega la Rideterminazione in Appello

Il corretto calcolo della pena è un momento cruciale del processo penale, specialmente quando la posizione dell’imputato cambia tra un grado di giudizio e l’altro. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento su come la pena debba essere rideterminata in appello a seguito di un’assoluzione parziale. Il caso riguardava un imputato condannato in primo grado per più reati e la cui pena era stata successivamente modificata dalla Corte d’Appello, scatenando un ricorso basato proprio su un presunto errore di calcolo.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato in primo grado per due episodi di ricettazione (capi A e B), oltre ad altri due reati (capi C e D). In appello, la sua posizione migliorava notevolmente: la Corte territoriale lo assolveva dal reato al capo C) e dichiarava la prescrizione per il reato al capo D). Di conseguenza, i giudici di secondo grado procedevano a un nuovo calcolo della pena, condannandolo a 8 mesi e 20 giorni di reclusione e 267,00 euro di multa per i soli reati di ricettazione residui.

La Questione Giuridica: Errore nel Calcolo della Pena?

La difesa dell’imputato presentava ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e un’illogicità proprio riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello, nell’eliminare le pene relative ai reati C) e D), avrebbe dovuto ricalcolare la pena finale in una misura inferiore rispetto a quella effettivamente inflitta. La difesa sosteneva che la pena corretta avrebbe dovuto essere di 6 mesi e 20 giorni di reclusione e 200,00 euro di multa. Si contestava, in sostanza, il metodo matematico usato dalla Corte d’Appello per ‘sottrarre’ le pene dei reati per i quali era intervenuta l’assoluzione e la prescrizione.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile, confermando la piena correttezza dell’operato della Corte d’Appello. I giudici supremi hanno ricostruito minuziosamente il percorso logico-giuridico seguito per il calcolo della pena, dimostrandone la coerenza.

Il procedimento è stato il seguente:

1. Pena Base: È stata individuata la pena per il reato più grave (ricettazione, capo A), fissata in 15 mesi di reclusione e 450,00 euro di multa.
2. Attenuanti Generiche: Su questa base, sono state applicate le circostanze attenuanti generiche, riducendo la pena a 10 mesi di reclusione e 300,00 euro di multa.
3. Aumento per la Continuazione: La pena è stata poi aumentata per la continuazione con il secondo reato di ricettazione (capo B), aggiungendo 3 mesi di reclusione e 100,00 euro di multa.
4. Riduzione per il Rito: Infine, sull’importo totale così ottenuto, è stata applicata la riduzione prevista per la scelta del rito abbreviato, arrivando alla pena finale di 8 mesi e 20 giorni di reclusione e 267,00 euro di multa.

La Cassazione ha chiarito che la Corte d’Appello ha agito correttamente, limitandosi a elidere gli aumenti di pena che in primo grado erano stati disposti per i reati ai capi C) e D), senza intaccare la struttura del calcolo relativo ai reati per cui la condanna era stata confermata. L’argomentazione della difesa è stata quindi ritenuta errata e il suo ricorso privo di fondamento.

le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: in caso di riforma parziale della condanna in appello, la rideterminazione della pena deve seguire un percorso logico e trasparente, eliminando unicamente le componenti sanzionatorie relative ai reati per i quali non vi è più condanna. Non si procede a un ricalcolo ex novo dell’intera pena, ma a una ‘sottrazione’ degli aumenti precedentemente applicati. La decisione della Cassazione, dichiarando l’inammissibilità del ricorso, ha inoltre comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, sottolineando come i ricorsi palesemente infondati abbiano conseguenze economiche negative per chi li propone.

Per quale motivo l’imputato ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione?
L’imputato ha presentato ricorso perché riteneva che la Corte d’Appello avesse commesso un errore nel ricalcolare la pena finale, dopo averlo assolto da un reato e dichiarato prescritto un altro, sostenendo che la sanzione corretta avrebbe dovuto essere inferiore.

Come ha giustificato la Cassazione la correttezza del calcolo della pena effettuato dalla Corte d’Appello?
La Cassazione ha spiegato che la Corte d’Appello ha seguito correttamente tutti i passaggi: ha preso la pena base per il reato più grave, l’ha ridotta per le attenuanti, l’ha aumentata per la continuazione con l’altro reato residuo e infine ha applicato la riduzione per il rito. Ha semplicemente eliminato gli aumenti relativi ai reati per cui non c’era più condanna.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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