Calcolo della pena: quando le attenuanti battono la recidiva
Il calcolo della pena è uno dei momenti più delicati e cruciali del processo penale. La sua corretta determinazione non è un mero esercizio matematico, ma il risultato di un’attenta ponderazione di numerosi fattori, tra cui la gravità del reato, la personalità dell’imputato e la presenza di circostanze attenuanti o aggravanti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire come questi elementi interagiscono, in particolare quando le circostanze attenuanti vengono ritenute prevalenti sulla recidiva.
I fatti del caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza del Tribunale di Piacenza. L’appellante contestava, tra i vari motivi, le modalità con cui era stata calcolata la pena detentiva finale, ritenendole errate. La questione centrale verteva sulla valutazione operata dal giudice di primo grado riguardo alle circostanze attenuanti riconosciute e alla loro relazione con la recidiva contestata all’imputato.
La decisione del Tribunale e il calcolo della pena
Il Tribunale aveva condannato l’imputato a una pena finale di dieci mesi e venti giorni di reclusione. Per giungere a tale risultato, il giudice aveva seguito un percorso logico e trasparente. Partendo dalla pena base, fissata nel minimo edittale previsto per il reato contestato (due anni di reclusione), aveva poi applicato una serie di riduzioni.
Nello specifico, erano state riconosciute due distinte circostanze attenuanti:
1. L’attenuante comune prevista dall’art. 62, primo comma, n. 1 del codice penale.
2. Le attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis del codice penale.
Il punto cruciale della decisione del Tribunale è stato il giudizio di prevalenza di queste attenuanti sulla contestata recidiva. Di conseguenza, il giudice ha applicato una riduzione di un terzo per ciascuna delle attenuanti, arrivando così alla pena finale. Tale pena è stata poi ulteriormente sostituita.
La pronuncia della Cassazione
La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile. Secondo i giudici di legittimità, la censura mossa dall’imputato riguardo al calcolo della pena era infondata. La motivazione del Tribunale è stata giudicata completa, precisa e logicamente coerente. Il giudice di merito aveva chiaramente esplicitato il proprio ragionamento, facendo riferimento ai criteri guida degli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono di tener conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole.
La Cassazione ha quindi confermato che il percorso argomentativo del Tribunale – partire dal minimo edittale e applicare progressivamente le riduzioni per le attenuanti ritenute prevalenti sulla recidiva – era immune da vizi logici o giuridici. L’appello, su questo punto, non presentava argomenti validi in grado di scalfire la correttezza della decisione impugnata.
Le motivazioni
La Corte Suprema ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente esercitato il proprio potere discrezionale nella quantificazione della pena. La motivazione fornita era pertinente e ben argomentata, avendo enunciato con precisione il percorso logico-giuridico seguito. Il giudice di primo grado aveva giustificato la partenza dal minimo edittale e la successiva applicazione delle riduzioni per le attenuanti, spiegando perché queste dovessero prevalere sulla recidiva. Di fronte a una motivazione così strutturata, il motivo di ricorso si rivelava generico e, pertanto, inammissibile, non potendo la Cassazione sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito se questa è immune da vizi.
Le conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il sindacato della Corte di Cassazione sul calcolo della pena è limitato al controllo della logicità e della legalità della motivazione del giudice di merito. Se il giudice fornisce una spiegazione chiara e coerente delle sue scelte, la decisione è insindacabile in sede di legittimità. Il caso evidenzia inoltre l’importanza del giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti (come la recidiva) e attenuanti, un’operazione discrezionale che, se ben motivata, determina l’esito della quantificazione della pena. La condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende funge da monito contro la proposizione di ricorsi palesemente infondati.
Come viene calcolata la pena quando concorrono attenuanti e recidiva?
Il giudice deve effettuare un giudizio di bilanciamento. Se, come nel caso di specie, le attenuanti sono ritenute prevalenti sulla recidiva, si applicano solo le riduzioni di pena previste per le attenuanti, mentre l’aumento per la recidiva non viene applicato.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché la critica al calcolo della pena era generica e non individuava vizi logici o giuridici specifici nella decisione del Tribunale. Quest’ultimo, al contrario, aveva fornito una motivazione dettagliata e coerente per le sue scelte.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, oltre alla conferma della decisione impugnata, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un ricorso infondato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14322 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14322 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 06/02/1969
avverso la sentenza del 18/07/2024 del TRIBUNALE di PIACENZA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata;
visto il ricorso di NOME COGNOME
OSSERVA
Ritenuto che il primo ed il secondo motivo di ricorso con cui si deducono vizi di motivazione
e travisamento della prova in ordine alla ritenuta responsabilità per il delitto di cui all’ar cod. pen. è teso ad accreditare una lettura riduttiva ed alternativa delle risultanze processu
che il Tribunale ha dimostrato di aver adeguatamente apprezzato, con pertinenti riferimenti ai dati probatori ed a giurisprudenza di legittimità (pagg. da 3 a 9 della sentenza impugnata);
ritenuto che il terzo motivo di ricorso con cui si censura l’omesso riconoscimento della
attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen. è riproduttivo di censura adeguatamente confutata dal Tribunale che ha osservato come (anche sulla base della testimonianza della assistente
sociale) le banconote, non esattamente quantificate, fossero plurime e pertanto il valore non esiguo e, nel suo complesso, il fatto non di particolare tenuità;
rilevato che il quarto motivo con cui si censura la sussistenza dell’elemento oggettivo del
delitto è generico in quanto privo di effettiva censura e senza confronto con la motivazione dell sentenza sul punto;
ritenuto che analogo limite incontra il quinto motivo con cui si censura la motivazione in ordine alla modalità del calcolo della pena effettuato dal Tribunale che ha, con pertinent riferimento ai criteri di cui all’art. 132 e 133 cod. pen., con precisione enunciato, partendo minimo edittale (minimo della pena dell’art. 318 cod. pen. ridotta di un terzo) di due anni reclusione, a cui ha, progressivamente applicato la riduzione di un terzo per ognuna delle due attenuanti riconosciute (62, primo comma, n. 1 e 62-bis cod. pen.), ritenute prevalenti rispetto alla contestata recidiva, pervenendo, in tal modo, alla pena di mesi dieci e giorni venti reclusione, pena poi sostituita;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 31/03/2025.