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Caccia illegale: la Cassazione e l’ignoranza della legge

Due cacciatori, condannati per caccia illegale di conigli selvatici durante un periodo di divieto, hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo di non essere a conoscenza della norma. La Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La sentenza sottolinea che l’ignoranza della legge non è una scusa valida, specialmente per soggetti esperti come i cacciatori, i quali hanno un preciso dovere di informarsi sulle normative vigenti attraverso le fonti ufficiali. La condanna e il risarcimento dei danni a favore di un’associazione ambientalista sono stati confermati.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Caccia illegale e Ignoranza della Legge: Il Dovere di Diligenza del Cacciatore

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28551 del 2025, ha affrontato un caso di caccia illegale, ribadendo un principio fondamentale del nostro ordinamento: l’ignoranza della legge non scusa, soprattutto per chi esercita un’attività regolamentata. La vicenda, che vede protagonisti due cacciatori condannati per aver abbattuto esemplari di una specie protetta in un periodo di divieto, offre spunti cruciali sul dovere di informazione e sulla responsabilità penale che ne deriva.

La Vicenda: Caccia al Coniglio Selvatico in Periodo di Divieto

Due cacciatori, padre e figlio, venivano condannati dal Tribunale di Caltanissetta al pagamento di un’ammenda e al risarcimento dei danni in favore di un’associazione ambientalista costituitasi parte civile. L’accusa era di aver abbattuto due esemplari di coniglio selvatico in un giorno in cui la caccia a tale specie era espressamente vietata da un decreto assessoriale. I due, muniti di fucili e attrezzatura da caccia, venivano fermati con la selvaggina appena abbattuta.

I Motivi del Ricorso: Tra Vizi di Motivazione e Ignoranza Incolpevole

Avverso la sentenza, i due imputati proponevano ricorso per cassazione, basandolo su diversi motivi. In sintesi, sostenevano:

1. Carenza di motivazione: La condanna si basava unicamente sulla testimonianza di una guardia venatoria, senza considerare le argomentazioni difensive.
2. Violazione della legge penale: Una successiva pronuncia di un organo di giustizia amministrativa aveva ripristinato la legittimità del calendario venatorio, rendendo, a loro dire, lecita la caccia. Invocavano quindi l’applicazione retroattiva della norma più favorevole.
3. Ignoranza incolpevole: A causa del rapido susseguirsi di provvedimenti amministrativi contrastanti (un’ordinanza di un tribunale amministrativo che sospendeva il calendario, un decreto assessoriale che imponeva il divieto), non erano nelle condizioni di conoscere tempestivamente il divieto.
4. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e pena eccessiva.
5. Erronea ammissione della costituzione di parte civile dell’associazione ambientalista.

La Decisione della Cassazione sulla Caccia Illegale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili tutti i motivi del ricorso, confermando integralmente la condanna. La decisione si fonda su argomentazioni nette e rigorose, che chiariscono i limiti della discrezionalità e i doveri di chi pratica attività regolamentate come la caccia.

Le Motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le tesi difensive. In primo luogo, ha ribadito che il giudizio di cassazione non può riesaminare le prove e i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge. La ricostruzione del Tribunale, basata su una pluralità di elementi (colpi di fucile uditi, il ritrovamento degli imputati con i conigli insanguinati, l’assenza di altri cacciatori), è stata ritenuta logica e coerente.

Il punto centrale della sentenza riguarda però l’ignoranza della legge. La Corte ha stabilito che, per le contravvenzioni come la caccia illegale, è sufficiente la colpa, ossia la negligenza. I ricorrenti, essendo cacciatori da anni, avevano un preciso onere di diligenza: dovevano attivarsi per conoscere la disciplina di settore e il contenuto dei provvedimenti regionali. Tali atti sono pubblicati su fonti ufficiali come la Gazzetta Ufficiale della Regione e i siti istituzionali.

La Corte ha sottolineato che il susseguirsi di atti amministrativi e il clamore mediatico avrebbero dovuto, al contrario, indurre i cacciatori a un maggiore scrupolo informativo, non a giustificare un’ignoranza che la Corte ha ritenuto non inevitabile. La successiva pronuncia amministrativa, inoltre, è stata giudicata irrilevante perché intervenuta dopo la commissione del reato, che deve essere valutato secondo la legge in vigore in quel preciso momento (tempus regit actum).

Infine, è stata confermata la piena legittimità dell’associazione ambientalista a costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento del danno ambientale derivante dall’attività venatoria illecita.

Le Conclusioni

Questa sentenza è un monito importante. Chiunque svolga un’attività soggetta a normative specifiche, come la caccia, ha il dovere di mantenersi costantemente aggiornato attraverso le fonti ufficiali. L’idea di potersi giustificare adducendo la confusione normativa o la difficoltà di reperire informazioni è stata respinta con fermezza. La responsabilità penale deriva non solo dal compiere un’azione vietata, ma anche dal non aver adottato la necessaria diligenza per sapere che era vietata. La decisione rafforza la tutela dell’ambiente e della fauna selvatica, ponendo l’accento sulla responsabilità individuale e sulla necessità di un approccio informato e consapevole alle attività che hanno un impatto sull’ecosistema.

Un cacciatore può essere scusato se non conosce un divieto di caccia temporaneo?
No, la Corte ha stabilito che l’ignoranza non è scusabile, specialmente per cacciatori esperti. Essi hanno un dovere di diligenza che impone di informarsi attivamente sulle norme in vigore tramite fonti ufficiali, come la Gazzetta Ufficiale regionale o i siti istituzionali.

Una decisione amministrativa successiva che rende lecita un’attività può “sanare” un reato commesso in precedenza?
No. Per i reati si applica il principio tempus regit actum, ovvero la legge in vigore al momento del fatto. Una successiva modifica favorevole non ha effetto retroattivo se il divieto era pienamente efficace quando il reato è stato commesso.

Un’associazione ambientalista può chiedere il risarcimento dei danni per caccia illegale?
Sì, la Cassazione ha confermato che un ente riconosciuto per la tutela ambientale e della fauna è pienamente legittimato a costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento per i danni derivanti da attività venatoria illecita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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