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Busta paga prova del credito: la Cassazione decide

Un lavoratore si è visto escludere il proprio credito per il trattamento di fine rapporto (TFR) dallo stato passivo di una procedura di sequestro. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che la busta paga prova del credito in modo sufficiente. Secondo la Corte, la presentazione della busta paga e del CUD sposta sull’amministratore giudiziario l’onere di dimostrare l’eventuale inesattezza dei documenti, ribaltando così il precedente verdetto.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Busta Paga Prova del Credito: la Cassazione fa Chiarezza sul TFR

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale per la tutela dei lavoratori: la busta paga prova del credito vantato dal dipendente, anche nell’ambito di complesse procedure di sequestro. Questa decisione chiarisce che la documentazione lavoristica, come buste paga e CUD, possiede una forte efficacia probatoria, invertendo l’onere della prova a carico di chi ne contesta la veridicità.

I Fatti del Caso: Un Lavoratore e il Suo Credito Escluso

Il caso ha origine dall’opposizione di un lavoratore contro la decisione di escludere il suo credito, relativo al Trattamento di Fine Rapporto (TFR), dallo stato passivo di una procedura di sequestro avviata nei confronti del suo ex datore di lavoro. Il credito era maturato durante il periodo di impiego presso una società di packaging.

Il Tribunale, in prima istanza, aveva rigettato l’opposizione del lavoratore, sostenendo che non fosse stata fornita una prova adeguata dell’esistenza e, soprattutto, della continuità del rapporto di lavoro nel periodo immediatamente precedente al sequestro. Di fronte a questa decisione, il lavoratore ha deciso di ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, annullando la precedente ordinanza e rinviando il caso al Tribunale per un nuovo esame. La Cassazione ha ritenuto che il lavoratore avesse, in realtà, fornito prove documentali sufficienti a sostenere la sua pretesa, in particolare una busta paga e i modelli CUD relativi a diversi anni.

Le Motivazioni: la busta paga prova del credito

Il cuore della sentenza risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha spiegato il valore legale di questi documenti. La Cassazione ha chiarito che, secondo un orientamento consolidato, la busta paga non è un semplice pezzo di carta, ma rappresenta un documento con piena efficacia probatoria.

Il Valore Probatorio della Documentazione Lavoristica

La Corte ha specificato che il valore della busta paga discende direttamente dalle leggi sul lavoro. Il suo contenuto è obbligatorio e la sua mancata o irregolare compilazione è sanzionata. Questo la rende una prova sufficiente per dimostrare il credito del lavoratore che intende insinuarsi al passivo di una procedura concorsuale o di sequestro. Lo stesso principio si applica ai modelli CUD (oggi Certificazione Unica), che costituiscono una prova documentale dell’esistenza di un rapporto di lavoro.

L’Onere della Prova si Inverte

La conseguenza più importante di questo principio è l’inversione dell’onere della prova. Una volta che il lavoratore ha prodotto buste paga e CUD, non è più lui a dover dimostrare ulteriormente il suo diritto. Al contrario, spetta all’amministratore giudiziario (o al curatore fallimentare) contestare specificamente il contenuto di tali documenti e fornire le prove della loro eventuale inesattezza. L’amministratore può farlo, ad esempio, dimostrando che il libro unico del lavoro è stato tenuto in modo irregolare o fornendo prove contrarie. Tuttavia, in assenza di tali contestazioni circostanziate, la prova fornita dal lavoratore deve essere considerata valida.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza rafforza significativamente la posizione dei lavoratori nelle procedure di insolvenza o sequestro che coinvolgono i loro datori di lavoro. Stabilisce un punto fermo: la documentazione ufficiale del rapporto di lavoro, come la busta paga, è di per sé sufficiente a provare il credito per TFR e altre retribuzioni. I lavoratori possono quindi fare affidamento su questi documenti per far valere i propri diritti, sapendo che il peso di un’eventuale contestazione ricade sulla controparte. Per gli amministratori giudiziari e i curatori, la sentenza sottolinea la necessità di non rigettare aprioristicamente le richieste basate su tali documenti, ma di condurre un’analisi approfondita e, se del caso, di motivare specificamente le ragioni di una contestazione.

Una busta paga è sufficiente per provare un credito di lavoro in una procedura di sequestro?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la busta paga, se munita dei requisiti di legge, ha piena efficacia probatoria ed è di per sé sufficiente a provare il credito maturato dal lavoratore, come il TFR.

A chi spetta dimostrare che i dati in una busta paga non sono corretti?
Una volta che il lavoratore ha presentato la busta paga a sostegno della sua richiesta, l’onere di provare che il contenuto del documento è inesatto spetta all’amministratore giudiziario (o al curatore), il quale deve contestarlo con specifiche deduzioni e prove contrarie.

Perché il valore probatorio della busta paga non si basa sulle norme contabili generali?
La sua efficacia probatoria non deriva dalle norme del codice civile sulle scritture contabili tra imprenditori, ma da specifiche leggi sul lavoro (come la L. n. 4/1953 e il D.L. n. 112/2008) che rendono il suo contenuto obbligatorio e sanzionato, conferendole così un valore probatorio autonomo e sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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