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Buona fede del creditore: negata se c’è negligenza

Una società di cartolarizzazione ha visto respinto il proprio ricorso per l’ammissione di un credito allo stato passivo di beni sequestrati in via di prevenzione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, stabilendo che la mancata verifica da parte della banca originaria sulla palese insolvibilità della mutuataria, moglie del soggetto proposto, integra una negligenza colpevole che esclude la sussistenza della buona fede del creditore, requisito indispensabile per la tutela del credito in questo contesto.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La buona fede del creditore nelle misure di prevenzione: la Cassazione fa chiarezza

Quando un credito può essere tutelato sui beni sequestrati a un soggetto per prevenzione? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1527 del 2024, torna su un tema cruciale: la buona fede del creditore. La decisione sottolinea come la negligenza di un istituto di credito nel valutare la solvibilità di un cliente possa costare caro, escludendo la possibilità di recuperare il finanziamento concesso. Questo principio si rivela fondamentale per gli operatori finanziari e per chiunque vanti un credito verso soggetti coinvolti in misure di prevenzione patrimoniale.

I Fatti del Caso

Una società veicolo, cessionaria di un credito derivante da un mutuo ipotecario, presentava ricorso per essere ammessa allo stato passivo dei beni sequestrati a un soggetto sottoposto a misura di prevenzione patrimoniale. Il mutuo era stato originariamente concesso da un istituto bancario alla moglie del soggetto. Il Tribunale aveva rigettato la richiesta, sostenendo che la banca non avesse agito in buona fede al momento della concessione del finanziamento. In particolare, non aveva svolto un adeguato accertamento sulla capacità reddituale della mutuataria. La società cessionaria del credito ha impugnato tale decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando che il Tribunale non avesse dimostrato il nesso di causalità tra la mancata verifica e la conoscenza della strumentalità del credito rispetto alle attività illecite del proposto.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando integralmente la decisione del Tribunale. I giudici di legittimità hanno chiarito che, quando emerge la strumentalità del credito rispetto all’attività illecita, l’onere di dimostrare la propria buona fede e il proprio incolpevole affidamento ricade sul creditore. La Corte ha ritenuto che il provvedimento impugnato fosse ben motivato e non si fosse limitato a un generico rimprovero sulla gestione bancaria.

Le Motivazioni: la Valutazione della Buona Fede del Creditore

Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione dell’art. 52 del D.Lgs. n. 159/2011. La norma richiede, per la tutela del terzo creditore, non solo che il credito non sia strumentale all’attività illecita, ma anche che il creditore dimostri di aver agito in buona fede. La Cassazione ha spiegato che la valutazione della buona fede del creditore non può prescindere da un’analisi concreta delle circostanze. Nel caso di specie, il Tribunale aveva evidenziato elementi specifici che avrebbero dovuto allertare l’operatore bancario. La mutuataria, infatti, già prima della concessione del mutuo, versava in una condizione di palese difficoltà finanziaria, con una posizione ‘incagliata’ e uno sconfinamento di conto corrente di quasi 40.000 euro. Questi erano veri e propri ‘indici di allarme’ che, se approfonditi con l’ordinaria diligenza richiesta a un operatore professionale, avrebbero reso palese l’assoluta assenza di meritevolezza creditizia della donna. L’inosservanza di tali obblighi di diligenza non è una mera formalità, ma assume un ruolo causale: una verifica adeguata avrebbe portato a negare il finanziamento o, quantomeno, a far emergere che il denaro era in realtà destinato a convergere nelle attività illecite del marito. La negligenza della banca è stata quindi considerata colpevole, escludendo la possibilità di invocare la buona fede.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: gli istituti di credito e gli operatori finanziari hanno un preciso dovere di diligenza nella fase precontrattuale, che non si esaurisce in una verifica formale. Devono analizzare concretamente la situazione economica e patrimoniale del richiedente, prestando attenzione a ogni segnale anomalo. Ignorare evidenti ‘campanelli d’allarme’ sulla solvibilità di un cliente può essere interpretato non come una semplice svista, ma come una negligenza colpevole che preclude la tutela del credito in caso di misure di prevenzione. Per i creditori, questa decisione rappresenta un monito a rafforzare le procedure di valutazione del merito creditizio, documentando scrupolosamente ogni passaggio dell’istruttoria. La prova della buona fede, infatti, non è presunta ma deve essere attivamente dimostrata, e l’assenza di un’adeguata due diligence può comprometterla irrimediabilmente.

Quando un creditore è considerato in ‘buona fede’ nel contesto delle misure di prevenzione patrimoniale?
Un creditore è considerato in ‘buona fede’ quando riesce a provare di aver ignorato senza colpa il nesso di strumentalità tra il credito erogato e l’attività illecita del soggetto proposto. Ciò richiede di aver prestato un affidamento incolpevole, basato sull’osservanza di specifici obblighi di diligenza e prudenza.

La semplice mancata verifica della capacità reddituale del debitore è sufficiente per escludere la buona fede?
No, non è sufficiente il mero dato formale. Tuttavia, come chiarisce la sentenza, se la mancata verifica si inserisce in un contesto con specifici e gravi ‘indici di allarme’ (come una pregressa e significativa insolvenza del debitore), tale omissione diventa sintomatica di una negligenza colpevole che impedisce il riconoscimento della buona fede.

Qual è la conseguenza pratica per un creditore a cui non viene riconosciuta la buona fede?
La conseguenza è che il suo credito non viene ammesso allo stato passivo dei beni sequestrati. In pratica, il creditore perde la garanzia patrimoniale su quei beni e non può soddisfarsi su di essi, con la probabile perdita totale del capitale finanziato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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