Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1527 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1527 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE
avverso il decreto del 11/05/2023 del TRIBUNALE di REGGIO EMILIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME la quale ha chiesto il rigetto del ricorso
Ritenuto in fatto
Con decreto datato 11 maggio 2023 e depositato in data 18 maggio 2023 il Tribunale di Reggio Emilia ha rigettato il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE società unipersonale, a mezzo della procuratrice RAGIONE_SOCIALE avverso il provvedimento di formazione e approvazione dello stato passivo relativo al procedimento seguito all’adozione di misura di prevenzione patrimoniale nei confronti di NOME COGNOME
Il Tribunale ha ritenuto che l’istante, cessionaria del credito sorto, in favore della Banca Popolare Commercio e Industria s.p.a., per effetto della concessione di mutuo ipotecario di originari euro 74.000,00, con atto notarile del 17 ottobre 2007, in favore di NOME COGNOME, moglie del COGNOME, non avesse titolo ad essere ammessa allo stato passivo, in relazione al residuo importo, per difetto del requisito della buona fede richiesta dall’art. 52, comma 1, lett. b), d. Igs. n. 159 del 2011.
Nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE rappresentata come sopra detto, è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico, articolato motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con il quale si denunciano violazione di legge e contraddittorietà intrinseca della motivazione, per avere il Tribunale posto a fondamento della decisione la considerazione per la quale «al momento della conclusione del contratto di mutuo del 17/10/2007, la Banca non abbia svolto un adeguato accertamento sulla capacità reddituale della NOMECOGNOME. Osserva la società ricorrente che tale rilievo non era stato accompagnato dalla verifica, richiesta dalla più recente giurisprudenza di legittimità, del necessario nesso di causalità tra il mancato rispetto degli obblighi gravanti sull’operatore del settore e la mancata conoscenza del nesso di strumentalità dell’erogazione del credito rispetto all’attività illecita del proposto.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, dl. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. ssa NOME COGNOME la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 52, comma 1, lettera b) del d.lgs. n. 159 del 2011, la confisca non pregiudica la garanzia patrimoniale assicurata, ex art 2740 cod. civ., dai beni ablati avuto riguardo ai crediti dei terzi che non siano risultati “strumentali all’attività illecita svolta dal proposto”, sintomatica della relativa pericolosità sociale, o a quella attività “che ne costituisce il frutto o il reimpiego”. Laddove emerga la strumentalità del credito rispetto all’attività del proposto, il creditore è onerato della dimostrazione della buona fede e del proprio inconsapevole affidamento.
La strumentalità, infatti, rappresenta una indefettibile precondizione del successivo scrutinio relativo alla buona fede del creditore: il nesso che corre tra le ragioni dell’applicazione della misura definitiva di prevenzione e la finalizzazione del credito oggetto di insinua non va ritenuto aprioristicamente; esso costituisce, piuttosto, oggetto di un preciso e pregiudiziale accertamento da parte del Tribunale, che è dunque tenuto a motivare attraverso una puntuale ricostruzione della relativa vicenda negoziale, rimarcandone gli indicatori in fatto che consentono di pervenire alla ritenuta strumentalità tra i due citati momenti del relativo giudizio.
Una volta accertato che il credito è strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, il creditore ha l’onere di provare di avere ignorato in buona fede tale nesso di strumentalità, prestando un affidamento incolpevole nella relativa operazione negoziale; e la legge (art. 52, comma 3, del citato d.lgs. n. 159 del 2011) indica i criteri in base ai quali valutare la buona fede, precisando che il giudice deve tenere conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi»
La ricorrente assume l’esistenza di un contrasto, ai fini che qui rilevano, tra Sez. 1, n. 44714 del 13/07/2016, RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, Rv. 268507 – 0, richiamata dal provvedimento impugnato, e le decisioni che si esamineranno subito infra, ravvisando un superamento, da parte di queste ultime, delle posizioni assunte dalla prima. Tale contrasto, per quanto rileva in questa sede (ossia, in disparte il tema della successione nel lato passivo del rapporto che, nel presente procedimento, non risulta essersi verificato), non sussiste.
3.1. La specie decisa da Sez. 6, n. 27692 del 19/05/2021, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 281821 – 0, è assolutamente peculiare, perché la ricorrente, società cessionaria dei crediti vantati dalla Banca Monte dei Paschi di Siena, acquistati in
blocco ai sensi dell’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, si rappresentava creditrice ipotecaria di una società le cui quote erano state ritenute nella disponibilità sostanziale del proposto e sottoposte a confisca di prevenzione. Sennonché, il mutuo dal quale traeva origine il credito oggetto di richiesta di insinuazione era in origine stato erogato da Banca Monte dei Paschi ad una prima società, pacificamente estranea ad ogni coinvolgimento nella misura. In esito al relativo frazionamento, alcuni dei beni immobili oggetto della garanzia ipotecaria accesa a sostegno del citato mutuo erano stati dapprima acquistati da altra società e a loro volta rivenduti alla citata società nella disponibilità del proposto, con accollo, da parte di quest’ultima, delle quote del mutuo originario, stipulato, cinque anni prima, dalla originaria mutuataria, nelle frazioni di debito corrispondenti ai singoli beni acquistati.
In tale contesto, ben s’intende come Sez. 6, n. 27692 del 19/05/2021 cit., occupandosi, per quanto qui rileva, del tema dell’affidamento incolpevole del terzo, abbia chiarito come la relativa indagine sul punto deve compiersi caso per caso con riferimento alla ragionevolezza dell’affidamento, che non potrà essere invocato da chi versi in una situazione di negligenza, ad esempio per avere notevolmente trascurato l’osservanza di obblighi derivanti dalla stessa legge (si vedano gli artt. 1175, 1176, 1189, 1337, 1341, 1366, 1375, 1393, 1396 e 1429 cod. civ.) ovvero per non avere osservato comuni norme di prudenza attraverso cui accertarsi della realtà delle cose, anziché affidarsi alla mera apparenza dei fatti (e si noti che la sentenza in esame richiama Sez. 6, n. 50018 del 17/09/ 2015, Intesa Sanpaolo s.p.a., Rv. 265930; Sez. 2, n. 10770 del 29/01/2015, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 263297; Sez. 6, n. 2334 del 15/10/2014, Italfondiario s.p.a., Rv. 263281; Sez. 1, n. 2501 del 14/01/2009, San Paolo Imi s.p.a, Rv. 242817). Ma vi è di più: sempre Sez. 6 n. 27692 del 19/05/2021 cit. ricorda come “gli operatori bancari esperti nelle norme e negli usi bancari nonché nella normativa in materia di reimpiego o riciclaggio di attività illecite, nella concessione del credito si attengono normalmente ad un livello di diligenza piuttosto elevato, essendo tenuti a verificare l’affidabilità di coloro che richiedono il finanziamento attraverso la richiesta e l’esame di tutta la documentazione necessaria per garantire opportunamente la banca, oneri che si sono rafforzati dopo l’entrata in vigore della legge n. 346/1986, cd. COGNOME RAGIONE_SOCIALE” (Sez. 6, n. 50018 del 17/09/2015, Intesa Sanpaolo cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In realtà, ferma la centralità del rispetto delle regole di corretta gestione bancaria, Sez. 6 n. 27692 del 19/05/2021 cit. sottolinea condivisibilmente, proprio alla luce delle peculiarità del caso concreto – caratterizzate da una modifica del lato passivo del rapporto obbligatorio -, che il mancato rispetto degli obblighi di diligenza, assume rilievo in quanto sia espressamente sintomatico
della mancanza di buona fede. In altre parole, l’inosservanza degli obblighi gravanti sull’operatore del settore non rileva in quanto tale, poiché deve sussistere un nesso di causalità tra il mancato rispetto di detti obblighi e la mancata conoscenza del nesso di strumentalità prima dell’erogazione del credito (nel senso che il mancato rispetto dei primi sia indicativo della colpevole negligenza nell’affrontare questioni dalle quali sarebbe emersa siffatta strumentalità: v. chiaramente la sentenza citata infra sub 3.2): «per questa ragione, in caso di pretesa azionata dall’erogante nei confronti del terzo accollante, occorre guardare non solo alle verifiche operate al momento di erogazione del credito (aspetto nel caso indifferente, non essendo controversa l’estraneità della originaria debitrice contraente oltre che della originaria debitrice accollante ad ogni vicenda illecita riguardante il proposto), ma anche a quelle sottese alla modifica ex latere debitoris dell’originario rapporto, atteso che tutte le vicende destinate a connotare sensibilmente il rapporto nei suoi estremi soggettivi e oggettivi possono rilevare nell’ottica dello scrutinio che occupa».
Ma siffatta modifica del rapporto obbligatorio non si è evidentemente registrata nel caso di specie.
3.2. La ricorrente menziona anche Sez. 2, n. 7879 del 30/01/2020, Do Value s.p.a., Rv. 278227 – 02 che ha ritenuto elemento di valutazione della mancanza di buona fede del creditore l’omesso deposito in giudizio delle delibere dell’istituto di credito con cui era stato concesso il prestito, ribadendo che l’insufficiente base di apprezzamento del merito creditizio del beneficiario può condurre ad escludere la buona fede solo se il giudice fornisca adeguata motivazione, fondata non su un generico canone di buona gestione bancaria, ma su quello specifico della buona fede richiesta per il finanziamento del destinatario. La sentenza in esame chiarisce che la buona fede deve escludersi non solo quando la banca sia stata a conoscenza del nesso di strumentalità all’atto della erogazione del credito, ma anche quando l’ignoranza sia dipesa da colpa, ossia quando la banca avrebbe potuto venire a conoscenza di tale nesso con l’ordinaria diligenza ed in particolare rispettando gli obblighi ai quali viene fatto riferimento nel citato comma. In altri termini – e si tratta del punto sul quale insiste il ricorrente – è vero – e il Collegio condivide siffatta premessa che l’inosservanza degli obblighi non rileva in quanto tale, ma in quanto riveli una correlazione con il tema della conoscenza del nesso di strumentalità prima dell’erogazione del credito, ma è altresì vero che la sentenza stessa chiarisce come «nel caso in esame dal tenore della motivazione non emerge alcun cenno ai bilanci – se non all’assenza di quello consolidato – e al contenuto delle delibere dell’istituto con cui sono state accolte le richieste di finanziamento, nelle quali devono essere palesati gli elementi posti a base del positivo giudizio di solvibilità
dell’impresa e del merito creditizio al fine di dimostrare la trasparenza delle operazioni, la loro rispondenza alla disciplina antiriciclaggio, nonché l’assenza di elementi tali da far insorgere il ragionevole convincimento relativo all’inerenza delle stesse ad attività illecite. Si tratta, invece, di atti fondamentali per la valutazione della buona fede del finanziatore, il cui mancato deposito in giudizio, potrebbe, in ipotesi, integrare un dato rilevante ai fini della verifica di buona fede, ben più significativo rispetto alla constatazione che l’istruttoria sia stata svolta sulla base di documentazione offerta dal soggetto finanziato».
3.3. Anche Sez. 5, n. 12772 del 05/02/2020, Mps Capital Services Banca per le imprese s.p.a., Rv. 279024 – 01, si colloca nella medesima linea di pensiero, in un caso nel quale l’ordinanza impugnata non aveva chiarito, anche alla luce delle puntuali deduzioni della creditrice, sotto quale profilo la istruttoria effettuata dalla banca prima di concedere il credito sarebbe stata lacunosa, né perché la banca avrebbe potuto conoscere la strumentalità del credito laddove la istruttoria finalizzata all’erogazione del mutuo fosse stata più penetrante.
4. Ora, nel caso di specie, diversamente da quanto assume il ricorrente, il provvedimento impugnato non si è concentrato sul mero dato del mancato accertamento della capacità reddituale della mutuataria, moglie del proposto (questo aspetto rappresentando la mera premessa di un più articolato apparato argomentativo), ma ha evidenziato gli specifici profili indicativi della assoluta assenza di meritevolezza creditizia della donna tali da rendere del tutto inverosimile la prospettiva della restituzione del denaro prestato, da parte della stessa, imprenditrice individuale che, da prima della concessione del mutuo, aveva una posizione incagliata e uno sconfinamento di conto corrente di oltre 39.000 euro. Si tratta di indici di allarme che razionalmente il giudice del merito ha ritenuto idonei, nella sostanza, a rendere palese all’operatore bancario, gravato dei doveri informativi sopra ricordati proprio dalle sentenze richiamate dalla ricorrente, una situazione che, ove approfondita, avrebbe condotto ad apprendere, a meno di non ipotizzare una inescusabile negligenza, che «il finanziamento concesso alla NOME fosse destinato a convergere con altri capitali e risorse patrimoniali di provenienza illecita negli investimenti e nelle attività (illecite) del marito».
Anche nella prospettiva del sindacato motivazionale, certamente consentito in relazione alle censure del terzo interessato (v., ad es., Sez. 6 n. 27692 del 19/05/2021 cit.), siffatto apparato argomentativo, non limitato al mero rilievo della non corretta gestione bancaria, non palesa alcuna illogicità ricostruttiva.
5. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.