Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4005 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 4005  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE
avverso il decreto del 30/11/2022 emesso dal Tribunale di Napoli visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato decreto, il Tribunale di Napoli, Sezione per le misure di prevenzione, rigettava l’istanza avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE di ammissione al passivo dei crediti, riconosciuti con decreti ingiuntivi nn.277 e 278 del 1985, con ipoteca iscritta sui beni oggetto di confisca di prevenzione nel procedimento a carico di NOME COGNOME.
Avverso il decreto di rigetto, la ricorrente ha formulato due motivi di
impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione dell’art. 52. d.lgs. n. 159 del 2011 nella parte in cui il Tribunale ha escluso la buona fede dell’originario creditore. A tale conclusione il Tribunale è giunto omettendo di valorizzare il fatto che i crediti per i quali si procede risalgono ad epoca anteriore agli anni 1984-85 e che fin dal 1985 l’originario creditore si era munito di titolo (decreti ingiuntiv per l’iscrizione di ipoteca, rinnovata nel 2005.
Precisa il ricorrente di non aver contestato che i crediti potessero esser stati strumentali all’attività illecita del debitore, tuttavia sussisteva’ il requisito d buona fede del creditore, non fosse altro per il notevolissimo lasso temporale intercorso tra la concessione dei crediti e le prime emergenze idonee a far conoscere l’attività illecita cui il debitore era dedito (la prima sentenza di condanna risale al 2003 e la richiesta di misura di prevenzione è datata 2004, con decreto di applicazione divenuto definitivo solo nel 2016).
Aggiunge il ricorrente che il Tribunale aveva erroneamente posto a fondamento della decisione l’omessa dimostrazione della buona fede conseguente alla mancata produzione di documentazione attestante le verifiche effettuate all’epoca di concessione del credito.
Ove si consideri, infatti, l’ampio lasso temporale intercorso tra l’apertura del credito, le prime condanne e richieste di misura di prevenzione, risulta assolutamente inesigibile l’onere di conservazione della documentazione.
2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011 sottolineando come i crediti in questione erano stati oggetto di cosiddetta “cessione in blocco” in epoca precedente (2001) non solo all’adozione della misura di prevenzione (2016), ma financo della sua richiesta (2004), il che comporta che, essendo il momento del trasferimento della garanzia precedente alla confisca, il cessionario doveva dimostrare unicamente la buona fede dell’originario creditore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
 La questione oggetto del primo motivo di ricorso è essenzialmente incentrata sulla legittimità o meno del criterio di valutazione della buona fede del creditore.
Il Tribunale, applicando principi giurisprudenziali consolidati, ha ribadito che in tema di misure di prevenzione patrimoniali, qualora venga presentata domanda di ammissione allo stato passivo da parte del terzo creditore, si deve procedere a
verificare in primis il nesso di strumentalità del credito rispetto all’attività illecita del proposto e, solo all’esito, gli elementi dimostrativi di buona fede addotti dal creditore (da ultimo, Sez.6, n. 30153 del 28/5/2023, Banca IFIS spa, Rv. 285079).
Sulla base di tale premessa, il Tribunale ha escluso la possibilità stessa di verificare la buona fede del creditore, stante l’omesso deposito della documentazione attestante le verifiche svolte sulle condizioni reddituali e sulle disponibilità economiche del soggetto cui venne concesso il credito.
La difesa della società ricorrente, tuttavia, ha eccepito che non sia esigibile la richiesta produzione documentale a fronte di un credito che, fin dal 1985, era definitivamente cristallizzato per effetto dell’emissione di due decreti ingiuntivi.
Al contempo, la ricorrente ha fornito una pluralità di elementi indiziari idonei a dimostrare l’esistenza della buona fede, evidenziando come il credito era sorto in epoca notevolmente antecedente l’emersione del coinvolgimento in attività illecite da parte del debitore, che le prime condanne erano intervenute solo a distanza di anni dall’emissione del decreto ingiuntivo e che la stessa misura di prevenzione era stata richiesta solo nel 2004.
2.1. Orbene, a fronte della peculiarità della vicenda in esame, ritiene la Corte che sia errata in diritto la tesi secondo cui la buona fede possa essere dimostrata unicamente mediante la dimostrazione dell’iter che ha condotto alla concessione del finanziamento.
Invero, l’art. 52, d.lgs. 6 settembre 2011, n. d Igs. 6 settembre 2011, n. 159 non pone limiti probatori specifici al terzo che intenda dimostrare la propria buona fede, tant’è che lo stesso comma 3 indica, in maniera non tassativa, una pluralità di elementi di valutazione.
Quanto detto consente di affermare che, a fronte di un credito accertato in via definitiva nel 1985, non è consentito valutare la buona fede basandosi esclusivamente sulla mancata conservazione della documentazione concernente la fase genetica del rapporto.
A tal riguardo, infatti, il Tribunale avrebbe dovuto valutare il fatto che, una volta chiuso il rapporto ed ottenuto il decreto ingiuntivo, difettava in capo al creditore un reale interesse a conservare la documentazione relativa al momento genetico del rapporto, essendo questo definitivamente concluso.
Del resto, diversamente opinando, dovrebbe ipotizzarsi un onere temporalmente illimitato di conservazione di documentazione rispetto alla quale, stante l’intervenuta cessazione del rapporto fin dal 1985, il creditore non poteva ragionevolmente ipotizzare alcuna futura utilità.
Stante la specificità della fattispecie, pertanto, il Tribunale avrebbe dovuto analiticamente valutare l’epoca in cui il creditore aveva ottenuto i decreti ingiuntivi
e l’effettiva sussistenza di elementi, sia pur indiziari, concretamente idonei afar ritenere sussistenza la buona fede.
Deve ritenersi, infatti, che ai fini della ammissione allo stato passivo di un credito derivante da un contratto di finanziamento bancario, costituisce elemento di valutazione della mancanza di buona fede del creditore l’omesso deposito in giudizio delle delibere dell’istituto di credito con cui è stato concesso il prestit (Sez.2, n. 7879 del 30/1/2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv.278227-02), ma tale elemento deve essere complessivamente valutato tenendo conto delle ulteriori deduzioni indicate dal creditore.
Nel caso di specie, la ricorrente ha indicato specifici elementi – sia pur indiziari – astrattamente idonei a fondare la propria buona fede, segnalando che solo a distanza di diversi anni dalla chiusura del rapporto erano intervenuti i primi concreti elementi per sospettare della natura illecita delle attività svolte dal debitore.
2.3. La buona fede del creditore presuppone una verifica che tenga conto di tutti gli elementi potenzialmente rilevanti, dovendosi valorizzare il profilo concernente la distanza temporale tra la manifestazione della pericolosità del debitore e l’epoca di concessione del finanziamento, che costituisce uno dei profili che la giurisprudenza valorizza autonomamente ai fini della verifica in ordine alla buona fede del creditore (Sez.6, n. 55715 del 22/11/2017, Banca Popolare di Sondrio spa, Rv. 272232).
Per quanto concerne, invece, lo specifico profilo relativo alla verifica degli obblighi di diligenza nella concessione del credito, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che ai fini dell’ammissione allo stato passivo del terzo creditore, nel caso in cui questi abbia allegato elementi idonei a comprovare, all’atto della erogazione del credito, la propria buona fede, non è sufficiente, ai fini di escludere la stessa, il mancato rispetto degli obblighi di diligenza per l’incompletezza dell’istruttoria o la non corretta valutazione del merito creditizio, ma è necessario che detta negligenza abbia determinato la mancata verifica del nesso di strumentalità del credito concesso rispetto all’attività illecita del prevenuto (Sez.5, n. 12772 del 5/2/2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 279024).
La giurisprudenza, pertanto, non pone limiti specifici all’accertamento della buona fede, evidenziando come – di norma – le verifiche preliminari al riconoscimento del finanziamento abbiano natura dirimente senza, tuttavia, introdurre alcun automatismo tra l’omessa o carente istruttoria e l’esclusione della buona fede.
In conclusione, quindi, deve affermarsi il principio secondo cui in tema di ammissione allo stato passivo di un credito sorto anteriormente alla confisca di
prevenzione non vi sono limiti probatori in ordine alla dimostrazione della buona fede del creditore che, pertanto, potrà essere riconosciuta anche sulla base di elementi indiziari ed in assenza della documentazione relativa alle verifiche concernenti le condizioni reddituali e patrimoniali del debitore al momento del finanziamento, ove la mancata conservazione di tali documenti sia giustificata dal notevole lasso temporale intercorso tra la chiusura del rapporto e la confisca di prevenzione.
Quanto detto comporta l’annullamento del provvedimento impugnato, cui consegue l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento del decreto impugnato e rinvio al Tribunale di Napoli in diversa composizione (Sez.5, n. 19426 del 20/4/2021, Rv. 281253).
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli. Così deciso il 30 novembre 2023
Il Consigliere estensore