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Buona fede creditore: esclusa nelle confische?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società di gestione del credito, confermando l’esclusione di un credito ipotecario dal passivo di una società confiscata. La decisione si fonda sulla mancanza di buona fede del creditore originario, un istituto bancario, che aveva omesso di eseguire adeguati controlli e verifiche di diligenza sull’imprenditore di fatto dominante la società finanziata, nonostante la presenza di evidenti indicatori di anomalia. La Corte ha ribadito che per gli operatori bancari la buona fede creditore richiede un’ignoranza incolpevole, da escludersi in caso di negligenza nell’adempimento degli obblighi di verifica.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Buona fede creditore: la Cassazione delinea i confini della diligenza bancaria nelle confische

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 39208 del 2024, torna a occuparsi di un tema cruciale nei rapporti tra diritto bancario e misure di prevenzione patrimoniali: la tutela della buona fede creditore. La decisione offre importanti chiarimenti sugli oneri di diligenza che gli istituti di credito devono rispettare per vedere protetti i propri diritti in caso di confisca dei beni del debitore, specialmente quando il credito erogato risulta strumentale ad attività illecite.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da una società di gestione del credito, in qualità di procuratrice di una società veicolo cessionaria di un credito ipotecario. Tale credito era stato originariamente concesso da un istituto bancario a un’azienda vinicola, successivamente sottoposta a confisca di prevenzione nell’ambito di un procedimento a carico di un imprenditore ritenuto socialmente pericoloso. Il Tribunale territoriale aveva rigettato l’opposizione volta a far ammettere il credito al passivo della società confiscata, escludendo la buona fede della banca erogante. La società cessionaria del credito ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando un’errata valutazione dei concetti di strumentalità del credito e, soprattutto, di buona fede.

La Decisione della Corte di Cassazione e la valutazione della buona fede creditore

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale e fornendo una dettagliata analisi dei requisiti necessari per il riconoscimento della buona fede creditore. I giudici hanno stabilito che, una volta accertata la strumentalità del credito rispetto alle attività illecite del proposto, è onere del creditore dimostrare la propria buona fede. Questa non consiste in una mera assenza di collusione, ma in un errore scusabile sulla situazione apparente del debitore, che deve essere valutato con particolare rigore quando il creditore è un operatore professionale come una banca.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente escluso la buona fede dell’istituto di credito originario sulla base di una serie di elementi convergenti. L’istruttoria condotta dalla banca prima di erogare l’ingente mutuo è stata giudicata “del tutto carente”.

In primo luogo, l’imprenditore sottoposto alla misura di prevenzione era il palese dominus delle società coinvolte nel finanziamento, nonostante la società vinicola fosse formalmente amministrata dal suo anziano padre. Questa circostanza sostanziale avrebbe dovuto indurre la banca a svolgere approfondimenti mirati.

In secondo luogo, e in modo determinante, la Corte ha valorizzato la circostanza che l’imprenditore disponesse di ingenti somme di denaro (23 milioni di euro) presso un istituto bancario di San Marino, interamente partecipato dalla stessa banca creditrice. Tali somme, sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati, erano state in parte rimpatriate tramite scudo fiscale utilizzando proprio la banca erogante come intermediario. Secondo la Cassazione, questa informazione era “attendibilmente fruibile” per la banca, la quale, attivando i necessari accertamenti, avrebbe potuto e dovuto rilevare l’opacità della posizione del suo cliente.

L’omessa attivazione di questi controlli, unita alla superficialità nella valutazione delle garanzie immobiliari, ha integrato una violazione degli obblighi di diligenza imposti non solo dalle norme civilistiche sulla correttezza contrattuale (artt. 1175, 1176 c.c.), ma anche dalla normativa antiriciclaggio. La banca, in sostanza, ha trascurato evidenti indicatori di anomalia che avrebbero dovuto far sorgere un ragionevole convincimento sull’inerenza dell’operazione ad attività illecite.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per gli operatori bancari, la buona fede non è presunta ma deve essere provata attraverso la dimostrazione di aver agito con un elevato standard di diligenza professionale. L’ignoranza della reale situazione del debitore è scusabile solo se incolpevole. Nel caso di specie, la negligenza della banca nell’adempiere ai propri doveri di verifica ha reso la sua ignoranza colpevole, impedendo il riconoscimento del suo diritto di credito sul patrimonio confiscato. Questa pronuncia rappresenta un monito per il settore creditizio, sottolineando come un’adeguata e approfondita due diligence sul cliente non sia solo una buona prassi, ma un requisito indispensabile per tutelare i propri crediti di fronte all’azione delle misure di prevenzione patrimoniale.

Quando un creditore bancario non è considerato in buona fede in un procedimento di confisca?
Un creditore bancario non è considerato in buona fede quando ha trascurato negligentemente gli obblighi di verifica imposti dalle normative, omettendo di approfondire elementi che avrebbero potuto far sorgere il sospetto di un’attinenza dell’operazione a attività illecite, come la sproporzione patrimoniale del debitore o la sua cointeressenza in società formalmente amministrate da altri.

Quali obblighi di diligenza ha una banca per dimostrare la sua buona fede?
La banca deve dimostrare di aver condotto un’istruttoria completa e non carente, approfondendo l’affidabilità delle persone fisiche e delle società coinvolte nell’operazione finanziaria, la consistenza effettiva delle garanzie patrimoniali e l’assenza di indicatori di anomalia. Ciò include l’obbligo di tenere conto di tutte le informazioni ragionevolmente accessibili, anche quelle derivanti da rapporti con istituti collegati.

La cessione di un credito tutela il nuovo creditore se l’originario era in mala fede?
No. La sentenza chiarisce che la verifica sulla buona fede deve essere condotta con riferimento alla posizione del creditore originario al momento della stipula del contratto che ha dato luogo al credito. L’eventuale buona fede del cessionario che acquista il credito successivamente è irrilevante ai fini dell’ammissione al passivo dei beni confiscati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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