Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 14845 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 14845 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
del PG NOME COGNOME, il quale ha chiesto, 1’11 novembre 2023, uda la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; icUc le conclusioni NOME(n ararsi l’inammissibilità del ricorso t “MA :’1121 e.’biri. GLYPH t:;’11-,r(-4);’
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13 luglio 2023, il Tribunale del riesame di Bologna, quale giudice del rinvio, in parziale accoglimento dell’appello presentato locale Procuratore della Repubblica avverso il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di applicazione di mis cautelare nei confronti, tra gli altri, di COGNOME NOME, ha dispost sottoposizione dell’indagato agli arresti domiciliari, assistiti da strument controllo elettronico a distanza.
NOME COGNOME NOME propone, con il ministero dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il qual deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale d riesame stimato la sussistenza di esigenze cautelari sub specie di pericolo di reiterazione della condotta criminosa e di fuga – di pregnanza tale da imporre l’adozione di misura detentiva, per di più presidiata dall’apposizione del c «braccialetto elettronico», a dispetto delle positive e rilevanti informazi acquisite in ordine alla disponibilità, in capo all’indagato, che convive co madre, di stabile abitazione ed alla sua dedizione a lecita attività lavorativa.
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’ad. 23, comma 8, d. ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, 1’11 novembre 2023, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vedente su censure manifestamente infondate.
La Corte di cassazione, pronunciandosi, con sentenza n. 15224 del 21/02/2023, sulla legittimità dell’ordinanza con cui il Tribunale del riesame Bologna, 1’11 ottobre 2022, aveva, in accoglimento dell’appello del pubblic ministero, applicato a COGNOME NOME, raggiunto da gravi indizi d colpevolezza in ordine a due ipotesi di furto pluriaggravato in concorso, la misur cautelare della custodia in carcere, la ha annullata sul rilievo dell’inidoneità motivazione a sorreggere la scelta di applicare la misura di massimo rigore anziché quella degli arresti domiciliari.
A tal fine, ha stimato insufficiente il mero riferimento all’omessa indicazio da parte dell’indagato, di un’abitazione nella quale egli potesse essere ristre
detenzione domestica, ed affermato che «Il Tribunale avrebbe dovuto, invece, dare congrua motivazione, con argomentazione immune da cedimenti logici, da carenze argomentative o da contraddittorietà, della propria decisione enucleando gli indici fattuali dai quali ha tratto il giudizio sull’inadeguatezza in assoluto degli arresti domiciliari a contenere i pericula individuati, sulla base di elementi assorbenti e pregiudiziali rispetto alla stessa possibilità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275-bis cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 43728 del 08/09/2016, Rv. 267933)».
Ha, ulteriormente, stigmatizzato la carenza, nella decisione annullata, di spiegazioni in ordine alle ragioni preclusive all’applicazione degli arresti domiciliari presidiati da strumenti elettronici di controllo, nonché l’attribuzione di valenza decisiva all’indicazione del domicilio nel quale eseguire la misura, adempimento riservato alla fase esecutiva del titolo cautelare.
Il Tribunale del riesame, in sede di rinvio, ha, in primo luogo, preso atto della sopravvenuta improcedibilità, consegue al mutamento del quadro normativo, di una delle due fattispecie di reato oggetto di addebito, relativa a condotta che ha reputato comunque sintomatica di propensione predatoria.
Ha, quindi, ritenuto che le persistenti esigenze di pericolo di fuga e di reiterazione della condotta criminosa debbano essere preservate mediante l’adozione della misura degli arresti domiciliari, accompagnata dall’apposizione del cd. «braccialetto elettronico».
A tal fine, ha considerato:
che la spregiudicatezza e la professionalità palesata da NOME nel compimento dell’attività illecita inducono la convinzione che egli, se sottoposto a misure coercitive più blande, non esiterebbe ad approfittare dell’ampia libertà di movimento sul territorio per rendersi protagonista di nuove, analoghe imprese criminose;
che la precedente conclusione non trova smentita nella documentazione prodotta dall’indagato, attestante l’avvenuto reperimento di un alloggio e lo svolgimento, invero per un periodo determinato e prossimo alla scadenza, di attività di lavoro dipendente;
che l’apposizione di strumenti elettronici di controllo, che ordinariamente connota l’esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, si rivela concretamente imprescindibile, nel caso di specie, stante l’esigenza di fronteggiare il pericolo di fuga di NOME, privo di stabili riferimenti in Italia e solito fare la spola tra il nostro paese e quello di origine.
4. A fronte di un provvedimento pienamente ossequioso della precedente statuizione del giudice di legittimità, aderente alle emergenze istruttorie e scevro da tangibili fratture razionali, il ricorrente formula obiezioni imperniate, in punto di fatto, sulle circostanze, afferenti alla disponibilità di alloggio e lavoro, già dedotte davanti al Tribunale del riesame, che le ha ritenute non idonee a smentire le conclusioni raggiunge in ordine alla necessità di salvaguardare le esigenze cautelari mediante l’applicazione di una misura detentiva, dovendosi formulare una prognosi di recidiva e di allontanamento nel caso di sottoposizione a misura meno afflittiva.
NOME, nel dedurre, inoltre, che la decisione impugnata si porrebbe in contraddizione con quella annullata, che aveva tratto argomento da elementi -l’essere egli, al pari dei correi, privo di fissa dimora e di stabile occupazione -che trovano nella documentazione da lui esibita almeno parziale smentita, trascura di considerare che il giudice del rinvio ha tenuto in debita considerazione la sua prospettazione e le evidenze che la sorreggono e, anche per questa ragione, ha stimato la conformità ai canoni di adeguatezza e proporzionalità che governano la materia cautelare della misura degli arresti domiciliari anziché di quella della custodia in carcere, in tal modo adeguando la decisione in funzione del corretto e completo apprezzamento della cornice fattuale.
Allo stesso modo, il ricorrente si duole delle modalità esecutive prescelte dal Tribunale del riesame sulla base di una diversa valutazione del quadro cautelare – e, specificamente, dell’incidenza che il livello di suo radicamento in Italia ha sulla concretezza e l’attualità del pericolo di fuga, oltre che sul rischio di recidiva -che non vale in alcun modo ad eccitare i poteri censori del giudice di legittimità.
A quest’ultimo proposito va conclusivamente ricordato che, in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica di sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari deve riscontrare, nei limiti della devoluzione, la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato.
In particolare, il controllo di legittimità non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, onde, non possono ritenersi ammissibili le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono in realtà nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (in questo senso, cfr., tra le tante: Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 1, n. 50466 del
15/06/2017, NOME, n. m.; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, R 255460).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve esse pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non suss elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versa colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declarat dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pe l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. proc. pen..
Così deciso il 15/12/2023.