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Braccialetto elettronico: alert è prova sufficiente

Un soggetto agli arresti domiciliari subisce un aggravamento della misura cautelare a seguito di ripetute violazioni segnalate dal braccialetto elettronico. La difesa contesta un presunto malfunzionamento del dispositivo, ma la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile. Viene stabilito che l’alert generato da un dispositivo di cui è stato accertato il corretto funzionamento costituisce prova sufficiente della violazione, senza necessità di un accertamento diretto da parte delle forze dell’ordine.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Braccialetto elettronico: l’alert è prova sufficiente della violazione

L’affidabilità del braccialetto elettronico come strumento di controllo nelle misure cautelari è un tema di crescente importanza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 12005/2024, ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che la segnalazione (alert) generata dal dispositivo è di per sé una prova sufficiente della violazione degli arresti domiciliari, a condizione che il suo corretto funzionamento sia stato preventivamente accertato.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, la cui posizione si è aggravata a seguito di ripetute violazioni. Tali violazioni non sono state constatate di persona dalle forze dell’ordine, ma segnalate automaticamente dal sistema di telesorveglianza, ovvero il braccialetto elettronico che l’imputato era tenuto a indossare. Il Giudice per le indagini preliminari (G.i.p.), sulla base di questi alert, ha disposto l’aggravamento della misura cautelare. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso al Tribunale del Riesame, che ha però confermato il provvedimento del G.i.p., spingendo l’imputato a rivolgersi alla Corte di Cassazione.

La Tesi Difensiva e il presunto malfunzionamento del braccialetto elettronico

Il fulcro dell’argomentazione difensiva si basava sull’ipotesi di un malfunzionamento del dispositivo. Secondo la difesa, il Tribunale avrebbe commesso un errore nel dare per scontato che gli alert fossero la prova di una reale evasione. Si sosteneva, infatti, che le segnalazioni potessero essere dei semplici “falsi positivi” generati da un difetto tecnico del braccialetto elettronico. Di conseguenza, solo un accertamento diretto da parte delle forze dell’ordine avrebbe potuto costituire una prova valida per giustificare l’aggravamento della misura.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici di legittimità hanno ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse motivato in modo logico e giuridicamente corretto la propria decisione, senza cadere nell’equivoco denunciato dalla difesa.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su un punto chiave: l’accertamento preventivo del funzionamento del dispositivo. Il Tribunale del Riesame, infatti, aveva dato atto che, secondo un’informativa dei Carabinieri, il personale tecnico competente aveva verificato e certificato il regolare funzionamento del braccialetto elettronico e la corretta perimetrazione dell’area di osservanza della misura.

Di fronte a questa certificazione, l’ipotesi del “falso positivo” avanzata dalla difesa è rimasta una mera congettura, priva di qualsiasi riscontro probatorio. La Corte ha chiarito che la dizione “partito durante il periodo di inclusione del coprifuoco” utilizzata nelle segnalazioni corrispondeva inequivocabilmente a un’uscita dal perimetro autorizzato, e quindi a una violazione della misura.

Il principio giuridico che emerge è concettualmente cruciale: è un errore ritenere che per comprovare la violazione segnalata dal sistema sia necessaria una constatazione fisica da parte della polizia. È l’alert stesso a costituire l’accertamento della violazione, invertendo di fatto l’onere della prova. Spetta alla difesa, a questo punto, dimostrare concretamente il malfunzionamento tecnico del dispositivo, e non semplicemente ipotizzarlo.

Le Conclusioni

La sentenza n. 12005/2024 rafforza in modo significativo il valore probatorio dei sistemi di controllo elettronico. Stabilisce un principio di affidabilità del braccialetto elettronico, secondo cui, una volta certificato il suo corretto funzionamento, le sue segnalazioni sono sufficienti a provare la violazione della misura cautelare. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche: da un lato, rende più efficace il sistema di controllo degli arresti domiciliari; dall’altro, chiarisce che la contestazione di un malfunzionamento non può basarsi su mere supposizioni, ma deve essere supportata da prove concrete fornite dalla difesa.

L’alert di un braccialetto elettronico è una prova sufficiente per aggravare una misura cautelare?
Sì. La sentenza stabilisce che se il corretto funzionamento del dispositivo è stato preventivamente accertato e certificato, la segnalazione di allarme (alert) costituisce di per sé l’accertamento della violazione e può giustificare un aggravamento della misura.

Chi deve dimostrare il malfunzionamento del braccialetto elettronico?
La difesa dell’imputato. La Corte chiarisce che l’ipotesi di un malfunzionamento, se non supportata da elementi concreti, rimane una mera tesi difensiva indimostrata. L’onere di provare il difetto tecnico ricade quindi su chi lo eccepisce.

È necessaria la constatazione diretta delle forze dell’ordine per provare la violazione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico?
No. Secondo la Corte, è concettualmente errato pretendere una constatazione fisica da parte delle forze dell’ordine, poiché è proprio l’alert generato dal sistema di telesorveglianza a costituire l’accertamento della violazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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