Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20160 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20160 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato l’01/07/2000
avverso l’ordinanza emessa 1’11/09/2024 dalla Corte di appello di Trieste visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 5 dicembre 2023 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trieste, procedendo con rito abbreviato, per quanto di interesse ai presenti fini, giudicava NOME colpevole dei reati ascritti ai capi A (artt. 61, primo comma, n. 2, 110 cod. pen., 4, commi 1 e 2, lett. a), legge 2 ottobre 1967, n. 895), B (artt. 110, 424, primo comma, cod. pen.) e F (artt. 61, primo comma, n. 2, 110, 582, 583, primo comma, n. 1, cod. pen.), unificati dal vincolo della continuazione, condannando l’imputato, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di due anni, quattro mesi e 3.000,00 euro di multa.
Con sentenza emessa 1’11 settembre 2024 la Corte di appello di Trieste, pronunciandosi sull’appello proposto da NOME COGNOME confermava la decisione impugnata e condannava l’appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali.
I fatti di reato ascritti a COGNOME ai capi A, B e F, nella consistenza materiale, sono incontroversi, limitandosi in questa sede l’imputato a censurare il diniego della proposta di concordato processuale formulata ex art. 599-bis cod. proc. pen. e la qualificazione del delitto di cui al capo A, contestata per l’inquadramento, quale bottiglia molotov, del contenitore pieno di liquido esplodente, utilizzato per porre in essere la condotta illecita ascritta all’imputato al capo B, allo scopo di danneggiare l’ingresso del locale “RAGIONE_SOCIALE” di Trieste.
Questi comportamenti criminosi si concretizzavano a Trieste, nelle prime ore del 6 novembre 2022, quando NOME COGNOME, agendo in concorso con altri soggetti – NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME -, lanciava una bottiglia molotov all’indirizzo dell’ingresso del locale “RAGIONE_SOCIALE“, ubicato in INDIRIZZO e gestito da NOME COGNOME, provocando una fiammata che si infrangeva contro la porta di accesso e si propagava all’interno dell’esercizio commerciale, attraverso la rete antizanzare.
Occorre precisare ulteriormente che la bottiglia molotov veniva scagliata materialmente da NOME COGNOME e che le fiamme propagatesi all’interno del locale, nel quale al momento del fatto erano presenti venti avventori, venivano spente con un estintore da NOME COGNOME che, in tal modo, impediva il verificarsi di conseguenze lesive per i suoi clienti.
Sulla scorta di questa ricostruzione dei fatti di reato contestati ai capi A, B e F, l’imputato NOME COGNOME veniva condannato alle pene di cui in premessa.
Avverso la sentenza di appello COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, articolando tre censure difensive.
Con il primo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 34, 127, 599-bis e 602 cod. proc. pen., conseguente alla mancata astensione dei componenti del collegio della Corte di appello di Trieste che aveva respinto il concordato presentato nel giudizio di secondo grado, all’udienza del 18 gennaio 2023, dalla partecipazione al processo celebratosi a seguito del diniego della proposta. In via subordinata al mancato accoglimento della doglianza, si sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., in relazione all’art. 599-bis cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni che giustificavano il rigetto della proposta di concordato presentata nel giudizio di appello, ex art. 599-bis cod. proc. pen., a fronte dell’accordo intervenuto tra le parti processuali, la cui congruità dosimetrica era dimostrata dal fatto che il Pubblico ministero di udienza presentava nei confronti di NOME le stesse richieste di pena oggetto del concordato rigettato.
Con il terzo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 4, commi 1 e 2, legge n. 895 del 1967, per non avere la Corte territoriale dato adeguato conto delle ragioni che imponevano di ritenere il contenitore pieno di liquido esplodente di cui al capo A una bottiglia molotov, inquadrabile come ordigno esplosivo; inquadramento che, al contrario, doveva essere escluso dalla natura rudimentale dell’oggetto scagliato contro l’ingresso dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” nelle prime ore del 6 novembre 2022.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, conseguente alla mancata astensione dei componenti del collegio della Corte di appello di Trieste che, il 18 gennaio 2023, aveva rigettato il concordato presentato nel giudizio di secondo
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grado, dalla partecipazione al processo celebratosi a seguito del diniego della proposta.
Osserva il Collegio che, al contrario di quanto dedotto dalla difesa del ricorrente, non è configurabile alcuna violazione di legge in conseguenza della mancata astensione dei componenti del collegio della Corte di merito dalla partecipazione al giudizio di appello, dopo il rigetto della proposta di concordato formulata ex art. 599-bis cod. proc. pen., così come introdotto dall’art. 1, commi 56 e 57, legge 23 giugno 2017, n. 103, non essendo tale obbligo previsto da specifiche norme.
Si aggiunga che, nel caso di specie, la Corte territoriale non aveva formulato alcun giudizio sulla responsabilità dell’imputato per i fatti di reato ascrittigli capi A, E ed F, limitandosi a esprimere un giudizio di incongruità dosimetrica sulla pena concordata dalle parti processuali, quantificata in un anno, dieci mesi di reclusione e 2.000,00 euro di multa.
Né, per altro verso, sussistono precedenti giurisprudenziali che possano orientare la decisione di questo Collegio nella direzione prefigurata dalla difesa del ricorrente, che postula un’inammissibile assimilazione degli istituti del concordato in appello di cui all’art. 599-bis cod. proc. pen. e dell’applicazione della pena su richiesta delle parti di cui all’art. 444 cod. proc. pen.
Non può, invero, non rilevarsi che, al contrario di quanto dedotto, la giurisprudenza consolidatasi nel vigore della previgente disciplina del concordato in appello, riconducibile agli artt. 599, comma 4, e 602, comma 2, cod. proc. pen., si muoveva in una direzione ermeneutica incompatibile con la prospettazione difensiva. Sul punto, appare opportuno richiamare il principio di diritto affermato da Sez. 1, n. 1760 del 25/03/1998, Boreale, Rv. 210346 – 01, secondo cui: «L’istituto del cd. “patteggiannento in appello” disciplinato dagli artt. 599, comma quarto, e 602, comma secondo, cod. proc. pen. che consente previa rinunzia contestuale dell’imputato a tutti gli altri motivi di appello sul questioni di merito, ad eccezione di quello relativo alla pena, “patteggiata” fra le parti e conformemente applicata dal giudice di appello – la definizione concordata del procedimento soltanto nei casi elencati nel primo comma dell’art. 599, è cosa ben diversa dal patteggiamento regolato dagli artt. 444-448 cod. proc. pen., non comportando il primo, in contropartita dell’economia processuale, diminuzioni di pena o vantaggi premiali di alcun genere. In particolare, l’accordo tra le parti previsto dall’art. 599 citato no svolge alcuna efficacia sulle statuizioni concernenti il pagamento delle spese del procedimento, l’applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, conseguenti all’affermazione di responsabilità e alla condanna dell’imputato, disposte dal giudice di primo grado».
Queste ragioni impongono di ritenere destituita di fondamento anche la correlata e subordinata censura difensiva, relativa all’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., in relazione all’art. 599-bis cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
Deve, in proposito, evidenziarsi che, pur essendo stato l’art. 599-bis cod. proc. pen. modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, tali modifiche non hanno inciso sulla struttura dell’istituto concordatario e impongono di ritenere infondata la questione di costituzionalità prospettata nell’interesse del ricorrente, in linea con quanto, tra l’altro, affermato da Sez. 2, n. 8745 del 22/11/2019, dep. 2020, Avolese, Rv. 278527 – 01, secondo cui: «È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 599-bis, comma 3, e 602, comma 1-bis, cod. proc. pen. in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevedono che il rigetto della richiesta di concordato in appello debba essere motivato e determini un obbligo di astensione del giudice di secondo grado, sia perché, trattandosi di una valutazione anticipata rispetto all’analisi dei motivi di gravame, tale rigetto non esime il giudice di appello, all’esito del giudizio di secondo grado, dal fornire motivazione specifica in relazione a ciascuno dei motivi proposti con l’impugnazione, sia perché, in mancanza di accesso ad atti del fascicolo il cui esame è normalmente precluso, non vi è alcuna anticipazione di giudizio».
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni che giustificavano il rigetto della proposta di concordato presentata nel giudizio di appello, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., a fronte dell’accordo intervenuto tra le parti processuali, la cui legittimità era dimostrata dal fatto che il Pubblico ministero di udienza presentava nei confronti di RAGIONE_SOCIALE le stesse richieste di pena oggetto del concordato rigettato.
Osserva il Collegio che, con la doglianza in esame, non si individuano singoli profili del provvedimento di rigetto del concordato, pronunciato il 18 gennaio 2023, da sottoporre a censura, ma si mira a provocare una rivalutazione dei presupposti per l’accoglimento della proposta presentata dalle parti, ex art. 599bis cod. proc. pen., che risultano vagliati dal Giudice di appello in conformità delle risultanze processuali e dei fatti di reato contestati a Miftaraj ai capi A, B e F.
L’infondatezza di questa doglianza, incentrata sull’omessa valutazione delle condizioni legittimanti l’accoglimento del concordato proposto dalle parti processuali, discende dal principio di diritto affermato da Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME Rv. 276102 – 01, secondo cui: «In tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ed, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero divers da quella prevista dalla legge».
Tale opzione ermeneutica, in tempi recenti, è stata ulteriormente precisata dalle Sezioni Unite, che hanno circoscritto l’ambito delle impugnazioni relative alle proposte di concordato, nelle ipotesi di mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. pen., affermando: «Nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza» (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284481 – 01).
Occorre, pertanto, ribadire che, nel giudizio di legittimità, è possibile censurare il concordato di appello, ex art. 599-bis cod. proc. pen., limitatamente ai vizi relativi alla formazione della volontà delle parti di accedere al concordato; al consenso rilasciato dal Pubblico ministero sulla richiesta dell’imputato; al contenuto difforme della pronuncia emessa dal giudice di appello; all’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata prima della pronuncia della sentenza di appello.
Tuttavia, nessuna di queste ipotesi è riscontrabile nel caso in esame, atteso che la proposta presentata dalle parti processuali veniva respinta dalla Corte di appello di Trieste per l’incongruità dosimetrica della pena concordata, quantificata in un anno, dieci mesi di reclusione e 2.000,00 euro di multa.
Queste considerazioni impongono di ribadire l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso.
Deve, infine, ritenersi infondato il terzo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale dato adeguato conto delle ragioni che imponevano di ritenere il contenitore pieno di liquido esplodente di cui al
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capo A una bottiglia molotov, inquadrabile come ordigno esplosivo, senza considerare la natura rudimentale dell’oggetto scagliato contro l’ingresso dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE“.
Osserva il Collegio che la Corte di appello di Trieste formulava un giudizio di colpevolezza nei confronti di NOME COGNOME relativamente al delitto di cui al capo A, in linea con le conclusioni alle quali era pervenuto il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trieste, sulla base di un percorso argomentativo congruo e rispettoso delle risultanze processuali. Le emergenze probatorie, infatti, imponevano di ritenere la bottiglia molotov scagliata contro l’ingresso del locale “RAGIONE_SOCIALE” di Trieste, nella notte del 6 novembre 2022, un ordigno esplosivo, costituendo il contenitore in questione un congegno micidiale, come opportunamente evidenziato nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 5 della sentenza impugnata, in cui se ne richiamava la «spiccata capacità di cagionare un incendio e di provocare una deflagrazione ».
Non può, del resto, non rilevarsi che le fiamme propagatesi all’interno del locale, attraverso la rete antizanzare, venivano spente con un estintore da NOME COGNOME che, intervenendo prontamente, impediva il verificarsi di conseguenze lesive per i clienti del suo locale, nel quale, in quel momento, si trovavano venti avventori.
Né può attribuirsi alcun rilievo alle censure difensive relative all’erroneo inquadramento delle condotte illecite contestate a COGNOME al capo A, ai sensi dell’art. 4, comma 1 e 2, legge n. 895 del 1967, dovendosi, in proposito, richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, correttamente applicata nel caso di specie, secondo cui: «È da considerarsi arma da guerra, per il potenziale offensivo che assume, una bottiglia incendiaria piena di benzina e munita di uno stoppino da accendere al momento del lancio» (Sez. 1, n. 17218 del 22/02/2001, COGNOME, Rv. 218763 – 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 6132 del 22/01/2009, Rv. 243376 – 01).
Tale opzione interpretativa, del resto, trae il suo fondamento dall’arresto ermeneutico, risalente e tuttora insuperato, affermato da Sez. 1, n. 6534 del 05/04/1991, COGNOME, Rv. 187633 – 01, secondo cui: «La bottiglia incendiaria, in quanto ha capacità di cagionare un incendio e una deflagrazione con possibilità di offesa a causa della vampata, della proiezione di schegge e dello sprigionarsi di gas, deve essere annoverata tra le armi da guerra, come prescritto dall’art. 1 legge 18 aprile 1975 n. 110 che equipara a tale armi, tra l’altro, “le bottiglie e gli involucri esplosivi o incendiari”».
Ne discende che il giudizio di colpevolezza espresso nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui al capo A, discendeva da una valutazione ineccepibile dei fatti di reato da parte della Corte di merito, che teneva adeguatamente conto
delle connotazioni, oggettive e soggettive, delle condotte illecite oggetto di contestazione.
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del terzo motivo di ricorso.
5. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente di rigettare il ricorso proposto da COGNOME con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 3 aprile 2025.