Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 206 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 206 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DEL NOME COGNOME nato a Napoli il 10/10/1978
avverso l’ordinanza del 22/06/2023 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME la quale ha concluso chiedendo c:he il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME COGNOME COGNOME il quale ha ulteriormente argomentato con riguardo al motivo di ricorso, replicando anche alle conclusioni del Pubblico Ministero, e ha concluso chiedendo l’annullamento, con o senza rinvio, dell’ordinanza impugnata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22/06/2023, il Tribunale di Napoli rigettava l’appello che era stato proposto, ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 17/05/2023 del G.i.p. del Tribunale di Napoli che aveva respinto l’istanza di revoca del sequestro preventivo che era stato disposto con decreto del 29/09/2022 del del Tribunale di Napoli, e, per l’effetto, confermava la suddetta ordinanza del 17/05/2023.
Con il menzionato decreto del 29/09/2022, il G.i.p. del Tribunale di Napoli aveva, in particolare, disposto: a) il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta della somma di C 919.477,76 e, in via subordinata, il sequestro preventivo di tutti i beni di cui il COGNOME aveva la disponibilità per un valore equivalent al suddetto importo; b) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, nei limiti della q di Arcangelo NOME COGNOME, per un ammontare di C 4.785.411,64.
In tale decreto, il G.i.p. del Tribunale di Napoli aveva ravvisato, nei confronti del COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante di SantRAGIONE_SOCIALE, il fumus dei reati di cui agli artt. 416 e 640, primo e secondo comma, cod. pen., e di cui agli artt. 8, comma 1 (emissione o rilascio di fatture per operazioni inesistenti), e 10-quater, comma 2 (mancato versamento di somme dovute utilizzando in compensazione crediti inesistenti), del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Avverso l’indicata ordinanza del 22/06/2023 del Tribunale di Napoli, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a un unico, articolato, motivo.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Napoli avrebbe violato l’art. 1, comma 219, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, nel testo vigente ratione temporis (secondo cui: «Per le spese documentate, sostenute negli anni 2020 e 2021, relative agli interventi, ivi inclusi quelli di sola pulitura o tinteggiatura este finalizzati al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici esistenti ubicat in zona A o B ai sensi del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, spetta una detrazione dall’imposta lorda pari al 90 per cento») (cosiddetto “bonus facciate”).
Il ricorrente asserisce specificamente l’erroneità della valorizzazione, nel senso della conferma della sussistenza del fumus commissi delicti, da parte Tribunale di Napoli, del fatto che «le fatture ricevute dalla “RAGIONE_SOCIALE” per complessivi 11.590.000,00 oltre IVA, sono state emesse nel mese di marzo 2021 e, dunque, in data successiva alle prime cessioni di credito avvenute in data 8/1/2021 per l’importo di Euro 10.431.000,00», in quanto «la procedura disegnata dal legislatore, tuttavia, andava proprio in tal senso». Il ricorrente rappresenta in proposito che: a) RAGIONE_SOCIALE, nella veste di generai contractor, sottoscriveva un contratto di appalto con i committenti (cioè con coloro che avevano la disponibilità degli immobili destinatari dell’intervento edilizio), in virt del quale costoro erano tenuti a versare i costi rimasti a proprio carico (cioè il 10% del valore dell’intervento) e il generai contractor che, con la sottoscrizione del contratto di appalto, acquisiva, come primo cessionario, il credito d’imposta – era
tenuto a consegnare, nei tempi pattuiti, le opere; b) la stessa RAGIONE_SOCIALE, primo cessionario del credito, poteva quindi inserire telematica mente, come aveva effettivamente fatto, i dati del contratto con il committente nel portale dedicato dell’Agenzia delle entrate e, maturato il silenzio-assenso di questa, poteva quindi utilizzare per la cessione a terzi (che erano prevalentemente i subappaltatori) il controvalore del credito d’imposta che aveva acquisito con la sottoscrizione del contratto di appalto; c) le fatture «ricevute» da RAGIONE_SOCIALE – cioè, come è stato precisato dal ricorrente nelle proprie conclusioni, quelle emesse dai subappaltatori (cioè dai soggetti che, in virtù di contratto sottoscritto con il primo cessionari RAGIONE_SOCIALE si erano impegnati a realizzare l’intervento edilizio) – non potevano che «necessariamente avere data successiva alla prima cessione di credito». Da ciò discenderebbe, secondo il ricorrente, la «liceità del credito d’imposta generatosi con le prime cessioni a RAGIONE_SOCIALE» e l’erroneità della valorizzazione, in chiave accusatoria, della citata affermazione del Tribunale di Napoli. Tale liceità sarebbe confermata dal fatto che, in occasione della perquisizione domiciliare che era stata effettuata nella propria abitazione, erano stati rinvenuti i contratti appalto tra RAGIONE_SOCIALE e i committenti, le ricevute dei bonifici del 10% del valore degli interventi che restava a carico degli stessi committenti e le CILA depositate presso i Comuni interessati.
Il ricorrente rappresenta che, in tale contesto di riferimento, sarebbero del tutto prive di rilievo le osservazioni svolte dal Tribunale di Napoli in ordine alle sue «condizioni patrimoniali» (così il ricorso), atteso che «COGNOME, nella qualità di I.r. della società appaltante/genera/ contractor assumeva l’alea della realizzazione tempestiva e a regola d’arte degli interventi edilizi contrattualizzati, ma non necessitava di risorse economiche e strumentali, i cui oneri erano a carico delle società subappaltanti. L’utile di SantRAGIONE_SOCIALE era nella capacità di commercializzare, mediante cessioni utili, il credito d’imposta acquisito all’atto della sottoscrizione del contratto di appalto (prime cessioni)».
Il ricorrente deduce pertanto di avere seguito l’iter che era previsto dalla legislazione applicabile ratione temporis, prima dell’entrata in vigore del d.l. 11 novembre 2021, n. 157 (recante misure «per il contrasto alle frodi nel settore delle agevolazioni fiscali ed economiche»), non applicabile, ratione temporis, ai fatti per cui è causa; iter in virtù del quale, «non sussistendo l’obbligo per la monetizzazione del credito d’imposta acquisito della previa acquisizione dei SAL , era possibile monetizzare la detrazione spettante in anticipo, salvo la perdita del diritto e l’obbligo della ripetizione nel caso in cui
fosse accertato che gli interventi programmati non fossero poi stati effettivamente realizzati».
Da tutto ciò conseguirebbe, ad avviso del ricorrente, il difetto del fumus del delitto di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, che costituirebbe l’«architra dell’intero impianto accusatorio», atteso che le fatture in contestazione non potrebbero essere considerate «mere» fatture per operazioni inesistenti, in quanto le disposizioni che disciplinavano il cosiddetto bonus facciate, prima della vigenza del menzionato d.l. “antifrode” n. 157 del 2021, «discernevano tra la possibilità di monetizzare la detrazione nell’ipotesi di accesso all’opzione del credito d’imposta e l’effettiva realizzazione degli interventi, per i quali era prescritto solo che fosser iniziati entro il 31-12-2021; che il committente avesse entro la stessa data sostenuto i costi di propria spettanza (10°/0 dell’importo dell’appalto); che le opere, anche successivamente alla circolazione del credito d’imposta, fossero portate a completamento».
Venuto meno il fumus del delitto di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, cadrebbe anche la contestazione di indebita compensazione.
Infine, non sussisterebbe neppure il fumus della truffa ai danni di Poste Italiane s.p.a., «sempre ammesso che sia compatibile la contestuale rappresentazione di artifizi dell’agente e colposo difetto di controllo da parte del presunto soggetto passivo».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, non può essere accolta l’istanza di rinvio per il proprio legittimo impedimento che è stata trasmessa dall’avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, per essere egli impegnato, il 31/10/2023, davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere quale difensore, nel processo davanti a tale Tribunale, della parte civile NOME COGNOME
Ciò per due concorrenti e autonome ragioni.
La prima di esse è che il presente processo segue il cosiddetto “rito emergenziale” disciplinato dall’art. 23, comma 8, del dl. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con modif. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e che, nella specie, non è stata formulata richiesta di discussione orale – sicché la Corte di cassazione procede in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti – con la conseguenza che il suddetto impedimento del difensore è del tutto privo di effetti, atteso che non è prevista la trattazione del processo in un’udienza alla quale lo stesso difensore abbia il diritto di partecipare (Sez. 3, n. 32864 del 15/07/2022, C., Rv. 283415-01).
La seconda ragione è che, come è stato chiarito dalla Corte di cassazione, in tema di legittimo impedimento a comparire, il concomitante impegno del difensore
dell’imputato per la rappresentanza e l’assistenza di una parte civile non costituisce situazione idonea a determinare l’obbligo per il giudice di differire la trattazione dell’udienza (Sez. 2, n. 36097 del .14/05/2014, COGNOME, Rv. 26035301. Successivamente, in senso analogo: Sez. 5, n. 9511 del 10/02/2022, COGNOME, Rv. 282937-01).
Il ricorso è inammissibile perché è stato proposto per un motivo manifestamente infondato.
È opportuno rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di sequestro preventivo, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del tribunale del riesame o della Corte di cassazione non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta a indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza e alla gravità degli stessi (Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, COGNOME, Rv. 215840-01).
In sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, COGNOME, Rv. 266896-01; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, COGNOME, Rv. 240521-01).
Giova altresì ricordare che le Sezioni Unite hanno anche chiarito che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di «violazione di legge» per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) del comma 1 dell’ari:. 606 dello stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-01; successivamente: Sez. 5, n. 8434 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236255-01; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, COGNOME, Rv. 242916-01; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119-01).
Ciò rammentato, si deve ritenere che il ricorrente non abbia in realtà individuato né una precisa violazione di legge né un decisivo difetto motivazionale.
4.1. Quanto al primo aspetto, l’unica disposizione di legge invocata dal Del Vecchio nel ricorso (a parte il non applicabile e non applicato – d.l. n. 157 del 2021), cioè l’art. 1, comma 219, della legge n. 160 del 2019, si limita a prevedere, per «le spese documentate» relative agli interventi finalizzati al recupero o al
restauro della facciata esterna degli edifici indicati, la spettanza di una detrazione dall’imposta lorda del 90%.
Tale norma non è stata né disapplicata né erroneamente applicata dal Tribunale di Napoli, il quale non risulta avere in alcun modo dubitato – avendolo, invece, presupposto – che per le spese, appunto, «documentate», relative ai suddetti interventi edilizi, spettasse (quanto a quelle sostenute negli anni 2020 e 2021) una detrazione dall’imposta lorda del 90%.
4.2. Quanto al secondo aspetto, relativo al profilo motivazionale, si deve osservare che le asseritamente erronee valorizzazioni, in chiave di ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, della ricezione delle fatture, da parte di RAGIONE_SOCIALE, in data successiva alle prime cessioni di credito, e dell’«incapacità reddituale» (così l’ordinanza impugnata) dell’indagato (elemento, questo, che, secondo il ricorrente, sarebbe privo di rilievo), oltre a muoversi nell’orbita non tanto della violazione di legge quanto della manifesta illogicità o dell’erroneità della motivazione – cioè di un profilo che non è deducibile con il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell’art. 322-bis cod. proc. pen. -, appaiono, comunque, assolutamente non decisive.
Ciò emerge in modo evidente dalla valorizzazione, da parte del Tribunale di Napoli, dell’ulteriore elemento – esso sì, decisivo, e in ordine al quale il ricorrente nulla ha dedotto nel ricorso – della mancata effettuazione dei lavori («lavori mai effettuati (la PG ha constatato lo stato di degrado e di abbandono di molti stabili interessati; vd. pag. 23 dell’originario decreto di sequestro)»), e, quindi, ovviamente, della mancata reale documentazione delle relative spese.
Da ciò, l’adeguatamente ritenuta: a) simulazione della sussistenza dei presupposti del beneficio fiscale costituito dalla detrazione dall’imposta lorda del 90% delle spese sostenute per gli interventi edilizi di cui al comma 219 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019 e, quindi, inesistenza delle fatturate operazioni costituite da tali, solo simulati, interventi; b) strumentalità di tale simulazione all creazione di crediti d’imposta non spettanti e conseguente fittizietà delle collegate cessioni di tali crediti d’imposta dai beneficiari dell’agevolazione alle società che facevano capo al COGNOME; c) conseguimento – rispetto al quale detta creazione era, appunto, strumentale -, per il tramite delle predette società, del duplice obiettivo illecito: c.1) dell’ottenimento di ingenti liquidità, conseguite grazie al cessione di parte dei crediti d’imposta (per C 16.000.000,00), in particolare, a Poste Italiane s.p.a., indotta in errore in ordine all’effettiva spettanza dei crediti essa ceduti (e il cui asserito «colposo difetto di controllo», contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, non esclude l’idoneità dei mezzi utilizzati dal cedente dei crediti d’imposta per ingannare i dipendenti di Poste Italiane s.p.a. e,
quindi, la sussistenza del fumus della contestata truffa); c.2) dell’elusione fiscale attuata mediante l’indebita compensazione di altra parte (poco meno di C 1.000.000,00) dei non spettanti crediti d’imposta, fraudolentemente generati.
4.3. In definitiva, fermo restando che i temi sollevati dalla difesa del ricorrente potranno essere sviluppati, anche a livello probatorio, durante l’evoluzione del procedimento penale in corso, si deve ribadire che, allo stato, l’apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata riguardo al fumus dei contestati reati e l’ascrivibilità degli stessi all’indagato, in quanto è sorretto da considerazioni razionali e coerenti con le risultanze investigative, non presta il rianco alle censure difensive, le quali, come si è già detto, appaiono in realtà muoversi nell’orbita non tanto della violazione di legge quanto della manifesta illogicità o dell’erroneità della motivazione, cioè di un profilo che non è deducibile con il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell’art. 322-bis cod. proc. pen.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 31/10/2023.