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Bonus cultura: quando è truffa aggravata e non 316-ter

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che aveva riqualificato una frode sul bonus cultura da truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) a indebita percezione (art. 316-ter c.p.). Secondo la Corte, un sistema complesso che include transazioni simulate, fatture false e il reclutamento di beneficiari costituisce un’attività fraudolenta che induce in errore lo Stato, integrando così il reato più grave di truffa, e non la fattispecie residuale applicabile alle sole dichiarazioni mendaci.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bonus Cultura: Truffa Aggravata se c’è un Sistema Fraudolento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7162/2024) fa luce sulla linea di demarcazione tra truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis c.p.) e indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) in relazione al bonus cultura. La Corte ha stabilito che la creazione di un articolato sistema fraudolento per monetizzare il bonus integra il reato più grave di truffa, annullando la decisione di un tribunale che aveva derubricato il fatto a indebita percezione. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati.

I Fatti del Caso: Una Frode sul Bonus Cultura

Il caso nasce da un’indagine su un’articolata frode legata al cosiddetto “bonus cultura”. L’indagato principale era accusato di aver messo in piedi un meccanismo per percepire indebitamente il rimborso del bonus per un valore complessivo di oltre 387.000 euro.

Secondo l’accusa, la frode non si limitava a una semplice dichiarazione falsa, ma si basava su una serie di “artifici e raggiri” ben orchestrati:
* Simulazione di acquisti: Venivano simulati acquisti di libri mai avvenuti.
* Emissione di fatture false: Per giustificare le transazioni fittizie, venivano emesse fatture false.
* Reclutamento di beneficiari: L’organizzazione reclutava attivamente giovani titolari del bonus, non solo in Sicilia ma anche in altre regioni del Nord Italia, per monetizzare le loro carte.
* Utilizzo di una piattaforma dedicata: Le false transazioni venivano inserite in una piattaforma online deputata alla gestione e al rimborso dei buoni spesa.

Sulla base di questi elementi, la Procura aveva ottenuto un sequestro preventivo su un immobile. Tuttavia, il Tribunale del Riesame aveva annullato il sequestro, riqualificando il reato da truffa aggravata a indebita percezione, ritenendo che mancasse l’induzione in errore dell’ente pubblico.

Analisi della Cassazione: Quando il Bonus Cultura diventa Truffa Aggravata

La Procura ha impugnato la decisione del riesame dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse erroneamente sottovalutato la complessità dell’attività truffaldina. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali.

La Distinzione Chiave tra Truffa (640-bis) e Indebita Percezione (316-ter)

La Corte ha ribadito l’insegnamento consolidato, anche delle Sezioni Unite, secondo cui l’art. 316-ter c.p. rappresenta una norma a carattere residuale. Si applica solo a condotte che non integrano gli “artifici e raggiri” capaci di indurre in errore l’ente erogatore, tipici della truffa (art. 640-bis c.p.).

La truffa si configura quando la condotta dell’agente, attraverso un’ingannevole messa in scena, provoca una falsa rappresentazione della realtà nell’ente pubblico, inducendolo a erogare fondi che altrimenti non avrebbe concesso. L’indebita percezione, invece, punisce la mera presentazione di dichiarazioni false o l’omissione di informazioni dovute, in contesti in cui l’ente si limita a prendere atto della dichiarazione senza che vi sia un’effettiva induzione in errore.

La Complessità della Procedura del Bonus Cultura

Un punto cruciale dell’analisi della Corte riguarda la natura del procedimento di erogazione del bonus cultura. Non si tratta di una semplice richiesta basata su un’autodichiarazione. La normativa di riferimento (DPCM n. 187/2016 e successive modifiche) delinea una procedura complessa che coinvolge diverse fasi:
1. Registrazione degli esercenti: Le imprese devono registrarsi su una piattaforma informatica dedicata.
2. Validazione delle transazioni: I buoni spesa vengono accettati e validati tramite la piattaforma.
3. Fatturazione e liquidazione: L’esercente emette fattura elettronica e ottiene il rimborso da un ente gestore (CONSAP), che opera per conto del Ministero.
4. Controlli: Sono previsti controlli, anche successivi, sulla correttezza delle operazioni.

Questa complessità procedurale apre lo spazio a condotte ingannevoli che vanno ben oltre la semplice dichiarazione mendace.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha concluso che il Tribunale del Riesame ha commesso un errore di diritto nel non considerare l’intero complesso delle condotte poste in essere. L’attività descritta non era una mera comunicazione formale, ma una vera e propria attività truffaldina, ricca di artifici e raggiri. L’utilizzo dell’esercizio commerciale come schermo, la ricerca dei titolari delle carte, l’accordo per la monetizzazione, le false operazioni sulla piattaforma e l’invio di fatture fittizie sono tutti elementi che, nel loro insieme, sono idonei a indurre in errore l’Erario sulla sussistenza dei presupposti per il rimborso. La falsa dichiarazione all’ente è solo uno dei tanti segmenti di un’azione delittuosa molto più ampia e complessa. Per questi motivi, il fatto doveva essere qualificato come truffa aggravata ai sensi dell’art. 640-bis c.p.

Le Conclusioni

La sentenza annulla l’ordinanza impugnata e rinvia il caso al Tribunale di Catania per un nuovo giudizio, che dovrà tenere conto del corretto inquadramento giuridico del fatto come truffa aggravata. Questa decisione rafforza la tutela delle erogazioni pubbliche, specificando che, quando la frode è supportata da un apparato organizzato e da una serie di atti ingannevoli, si deve applicare la più severa fattispecie della truffa e non quella, più lieve e residuale, dell’indebita percezione.

Qual è la differenza fondamentale tra il reato di truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) e quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) nel contesto del bonus cultura?
La truffa aggravata si configura quando viene messa in atto un’articolata attività ingannevole (artifici e raggiri), come la simulazione di acquisti e l’emissione di false fatture, che induce in errore l’ente pubblico erogatore. L’indebita percezione, invece, è un reato residuale che si applica in assenza di tali raggiri, ad esempio in caso di semplice dichiarazione mendace o omissione di informazioni, senza un complesso schema fraudolento.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto che in questo caso si trattasse di truffa e non di indebita percezione?
La Corte ha ritenuto che le condotte non si limitassero a una mera dichiarazione falsa, ma costituissero un vero e proprio schema fraudolento. Questo includeva l’uso di un’attività commerciale come schermo, la ricerca di giovani titolari del bonus, la monetizzazione dei buoni tramite false operazioni sulla piattaforma e la richiesta di rimborso con fatture fittizie. Questo insieme di azioni è stato considerato idoneo a indurre in errore lo Stato.

La negligenza dell’ente pubblico nel controllare la veridicità delle dichiarazioni esclude il reato di truffa?
No. Secondo la giurisprudenza citata nella sentenza, la mancanza di diligenza da parte dell’ente erogatore nell’eseguire controlli adeguati non esclude l’idoneità del mezzo truffaldino e quindi la sussistenza del reato di truffa. La responsabilità penale dell’agente è indipendente dall’eventuale negligenza della vittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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