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Bonus Cultura: frode o indebita percezione? La Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7163/2024, ha stabilito che l’utilizzo di un articolato schema per monetizzare il Bonus Cultura, attraverso false fatture e simulazione di acquisti, integra il reato di frode aggravata (art. 640-bis c.p.) e non la meno grave fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.). La Corte ha chiarito che la complessità degli artifizi e raggiri, volti a indurre in errore l’ente erogatore, è l’elemento decisivo che qualifica il reato come frode, annullando la precedente decisione di un tribunale che aveva derubricato il fatto a illecito amministrativo.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bonus Cultura: Quando la Furbizia Diventa Frode Aggravata

L’introduzione di incentivi statali come il Bonus Cultura mira a promuovere l’accesso dei giovani al patrimonio culturale. Tuttavia, queste iniziative possono diventare bersaglio di condotte illecite. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7163/2024) ha tracciato una linea netta tra una semplice dichiarazione falsa e un’articolata truffa, chiarendo quando l’abuso di tali fondi configuri il grave reato di frode aggravata ai danni dello Stato.

I Fatti: Un Articolato Schema per Monetizzare il Bonus

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un’indagine su un’attività commerciale. Secondo l’accusa, il legale rappresentante della società aveva messo in piedi un complesso sistema per ottenere indebitamente i rimborsi del Bonus Cultura. L’operazione non si limitava a una semplice attestazione mendace, ma includeva una serie di azioni fraudolente:

* Emissione di fatture false: venivano create fatture per acquisti di beni ammessi al bonus (come i libri) che in realtà non avvenivano.
* Simulazione delle vendite: si attestava falsamente la cessione di libri ai titolari del bonus.
* Manipolazione della piattaforma informatica: venivano inserite diciture false nel sistema di gestione per far apparire lecite le transazioni.
* Rilascio di scontrini irrisori: in alcuni casi, a fronte della monetizzazione del bonus, venivano rilasciati scontrini di importo minimo (es. 1 euro) per simulare una vendita effettiva di prodotti diversi da quelli consentiti.

Questo schema coinvolgeva un vasto numero di beneficiari, anche residenti in altre regioni, dimostrando la natura organizzata e non occasionale della condotta.

La Decisione del Tribunale del Riesame

In un primo momento, il Tribunale del riesame, investito della questione a seguito di un sequestro preventivo, aveva riqualificato i fatti. I giudici avevano ritenuto che la condotta non integrasse la frode aggravata (art. 640-bis c.p.), bensì la fattispecie meno grave di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.). Poiché, secondo il Tribunale, l’ente erogatore (CONSAP) svolgeva un controllo puramente formale, senza un’effettiva attività di accertamento, non si poteva parlare di ‘induzione in errore’. Di conseguenza, valutando le singole transazioni, spesso al di sotto della soglia di punibilità penale prevista dall’art. 316-ter, il Tribunale aveva annullato il sequestro.

Il Ricorso in Cassazione: La Tesi della Frode Aggravata

Il Procuratore della Repubblica ha impugnato questa decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che la condotta fosse molto più complessa di una mera falsa dichiarazione. La Procura ha evidenziato come l’insieme delle azioni – la simulazione, le false fatture, l’uso della piattaforma – costituisse un vero e proprio apparato di ‘artifizi e raggiri’ finalizzato a ingannare l’ente pubblico, elemento tipico della truffa.

Le Motivazioni della Suprema Corte: La Differenza tra Truffa e Indebita Percezione del Bonus Cultura

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore, annullando l’ordinanza del Tribunale. I giudici supremi hanno ribadito la distinzione fondamentale tra i due reati, basandosi sui principi consolidati dalla giurisprudenza (in particolare le sentenze ‘Carchivi’ e ‘Pizzuto’ delle Sezioni Unite).

L’art. 316-ter c.p. (indebita percezione) ha un carattere residuale. Si applica solo a situazioni ‘marginali’, in cui l’agente si limita a presentare una dichiarazione falsa o a omettere informazioni dovute, e la Pubblica Amministrazione eroga il fondo basandosi passivamente su tale dichiarazione, senza essere stata attivamente ingannata.

Al contrario, l’art. 640-bis c.p. (frode aggravata) si configura quando l’agente non si limita a mentire, ma costruisce una messa in scena (‘artifizi e raggiri’) che induce attivamente in errore il funzionario o l’ente pubblico. Nel caso del Bonus Cultura, la Corte ha ritenuto che la complessa operazione fraudolenta – che includeva la simulazione di acquisti, l’emissione di fatture false e l’inserimento di dati non veritieri su più piattaforme – andasse ben oltre la semplice dichiarazione mendace. Era un’attività strutturata per trarre in inganno l’ente pagatore sulla reale natura delle operazioni.

L’Irrilevanza della Negligenza dell’Ente Erogatore

Un punto cruciale sottolineato dalla Cassazione è che l’eventuale mancanza di diligenza o di controlli approfonditi da parte dell’ente pubblico non esclude il reato di truffa. La responsabilità penale è legata alla condotta dell’agente. Se quest’ultimo pone in essere un meccanismo idoneo a ingannare, il fatto che la vittima avrebbe potuto essere più attenta non fa venir meno il reato. L’effetto raggiunto, cioè l’erogazione indebita, dimostra di per sé l’efficacia dell’inganno.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche per chiunque gestisca fondi pubblici erogati tramite piattaforme digitali. La Corte di Cassazione ha chiarito che:

1. Non basta una semplice dichiarazione falsa per evitare la frode: quando si costruisce un sistema articolato per ottenere fondi pubblici, come nel caso del Bonus Cultura, si rischia la più grave accusa di frode aggravata.
2. La complessità della condotta è decisiva: la linea di demarcazione tra i due reati risiede nella presenza o meno di una macchinazione fraudolenta che va oltre la mera menzogna.
3. L’onere del controllo non salva il truffatore: la responsabilità penale non viene meno se l’ente pubblico è stato negligente nei controlli. L’idoneità dell’inganno è provata dal risultato ottenuto.

Qual è la differenza principale tra frode aggravata (art. 640-bis c.p.) e indebita percezione di fondi pubblici (art. 316-ter c.p.)?
La differenza risiede nella condotta: l’indebita percezione si configura con una semplice dichiarazione falsa o omissiva, sulla quale l’ente erogatore si basa passivamente. La frode aggravata, invece, richiede una condotta più complessa, fatta di ‘artifizi e raggiri’ (una vera e propria messa in scena), che induce attivamente in errore l’ente pubblico.

Perché nel caso del Bonus Cultura analizzato si è parlato di frode e non di indebita percezione?
Perché la condotta non si è limitata a una falsa dichiarazione, ma ha compreso un’articolata attività truffaldina: simulazione di acquisti di libri, emissione di fatture false, inserimento di dati non veritieri nella piattaforma e, a volte, rilascio di scontrini di importo irrisorio. Questo complesso insieme di azioni è stato qualificato come ‘artifizi e raggiri’ idonei a ingannare l’ente erogatore.

La scarsa diligenza nei controlli da parte dell’ente pubblico può escludere il reato di truffa?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la mancanza di diligenza da parte della persona offesa (in questo caso, l’ente pubblico) non esclude l’idoneità del mezzo truffaldino. Se la condotta ingannatoria ha successo e induce all’erogazione del fondo, il reato è consumato, indipendentemente da un’eventuale negligenza nei controlli.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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