Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21093 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21093 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Ercolano DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Ercolano il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/11/2023 emessa dal Tribunale di Napoli visti gli atti, l’ordinanza e i ricorsi; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO NOME
Spagnuolo, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Napoli, pronunciando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento della precedente ordinanza disposta con sentenza emessa da Sez.2, n. 30270 dell’8/6/2023, confermava l’ordinanza genetica con la quale
NOME era sottoposto agli arresti domiciliari, applicando analoga misura anche a NOME COGNOME, nei cui confronti era stata inizialmente disposta la custodia in carcere.
Nei confronti di entrambi gli imputati veniva ritenuta la sussistenza della gravità indiziaria in relazione ai reati di truffa aggravata ai danni dello Stato e associazione per delinquere, essendosi affermato che i predetti avevano organizzato un articolato sistema volto a conseguire indebitamente il versamento del cosiddetto “bonus cultura”, individuando i soggetti che ne erano fruitori e realizzato una condotta artificiosa finalizzata a fargli conseguire l’erogazione del bonus pur in assenza di uno degli acquisti cui lo stesso era finalizzato. I titolari del bonus, a fronte dell’indebita monetizzazione dello stesso, versavano agli indagati una somma in denaro, costituente il profitto del reato.
A tale pronuncia si giungeva dopo che la citata sentenza rescindente aveva annullato la precedente ordinanza con la quale il Tribunale del riesame aveva escluso la sussistenza sia del reato di cui all’art. 640-bis cod. gen., che di quello di indebita percezione di erogazioni a danno delle Stato, con la conseguente impossibilità di configurare il reato associativo, essendo venuti meno i reati fine oggetto dell’accordo criminoso.
La Corte di Cassazione ricostruiva il quadro normativo – legato all’erogazione e all’utilizzo del cosiddetto “bonus cultura” – ritenendo nel caso di specie configurabile il reato di truffa e, per l’effetto, disponeva l’annullamento con rinvio.
Avverso tale pronuncia, i ricorrenti formulano sei motivi di impugnazione.
2.1. I primi tre motivi, concernenti tutti la sussistenza della gravità indiziari e la configurabilità giuridica del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., possono essere sintetizzati congiuntamente.
Si assume che il Tribunale del riesame si sarebbe sottratto alla verifica demandatagli dalla sentenza rescindente, omettendo di verificare se, a fronte della richiesta di rimborso del bonus cultura, erano o meno previsti controlli e se questi dovevano essere necessariamente elusi per poter ottenere il versamento del denaro. Tale verifica, ove fosse stata eseguita, avrebbe necessariamente condotto ad affermare che la normativa in materia non contempla affatto l’espletamento di controlli preventivi, bensì solo controlli eventuali e a campione.
L’erogazione del bonus i , nfatti, avveniva a fronte della mera dichiarazione di utilizzo dello stesso per l’acquisto di libri, senza che occorresse la predisposizione di artifici o raggiri.
A supporto di tale impostazione, si adduce anche il fatto che, fin dal 24 ottobre 2019, la Guardia RAGIONE_SOCIALE aveva comunicato al Ministero competente l’esito
2 GLYPH
de
indagini svolte, descrivendo il metodo utilizzato per convertire indebitamente il 4 bonus cultura in denaro, sostanzialmente mediante la simulata vendita di libri usati che, contestualmente, venivano riacquistati a metà del loro valore. Ciononostante, il Ministero non aveva assunto alcuna iniziativa, a riprova dell’assenza di procedure di controllo e, quindi, della nec:essità di un loro aggiramento mediante condotte qualificabili in termini di truffa.
Quanto detto avrebbe dovuto indurre il Tribunale del riesame a qualificare la condotta in termini di indebita erogazione di contributi pubblici, anche in considerazione della giurisprudenza formatasi in materia e favorevole a recepire tale qualificazione (Sez.6, n. 30770 del 12/7/2023, Reda, Rv. 284968), con la conseguente necessità di accertare il superamento della soglia di punibilità prevista dall’art. 316-ter cod. pen.
Infine, si eccepiva che non tutti i fatti, dai quali era stata desunta la natura truffaldina della condotta, erano stati individuati nella richiesta di misura cautelare, il che avrebbe comportato un’indebita violazione della funzione di mero controllo rimessa al Tribunale del riesame, cui sarebbe inibita la formulazione di ipotesi accusatorie autonome.
2.2. Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono violazione di legge in relazione agli artt. 407, comma 3 e 505 cod. proc. pen., sostenendo l’inutilizzabilità di parte degli atti di indagini, compiuti dopo la scadenza dei termini.
2.3. Con il quinto motivo, deducono la violazione dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen. sul presupposto che i fruitori nel bonus cultura erano stati inizialmente escussi come testimoni e, solo dopo l’emersione dell’indebita percezione del denaro, erano stati escussi con le garanzie difensive. Si assume che i predetti dovevano essere sentiti ab origine quale coimputati, in quanto concorrenti nel reato di truffa, con la conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni rese.
2.4. Con il sesto motivo, contestano la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, sottolineando come non vi sia alcuna prova che gli imputati abbiano proseguito nell’attività illecita mediante la creazione di una nuova società, la RAGIONE_SOCIALE, subentrata alla precedente a seguito dell’interruzione dell’attività svolta dalla RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
La questione centrale è costituita dall’esatta individuazione del devolutum, dovendosi stabilire se, per effetto della sentenza rescindente, il Tribunale del
riesame dovesse o meno qualificare la condotta, ovvero se questa fosse stata già compiutamente accertata dalla sentenza rescindente.
Il Tribunale ha optato per questa seconda ipotesi tant’è che, dopo aver richiamato i passaggi salienti della motivazione resa dalla Seconda sezione, ha dato atto che l’oggetto dell’annullamento cori rinvio concerneva essenzialmente l’individuazione delle conseguenze in ordine all’altro reato contestato e, cioè, all’associazione per delinquere.
Si tratta di una conclusione pienamente coerente con il principio affermato dalla sentenza rescindente, nella quale si ricostruisce la condotta in punto di fatto, così come accertato dai giudici di merito, per poi trarne le dovute conseguenze in ordine alla qualificazione giuridica.
La Cassazione ha ritenuto che fosse incontestata la commissione di una rilevante attività truffaldina ricca di artifici e raggiri, posta in essere dagli au del reato e idonea ad indurre in errore il soggetto passivo attraverso la falsa dichiarazione all’ente, censurando la decisione impugnata nella parte in cui non aveva tenuto conto delle plurime condotte ingannatorie e qualificando espressamente le stesse ai sensi dell’art. 640-bis cod. pen.
L’annullamento con rinvio, pertanto, è stato effettuato sulla base di una qualificazione giuridica accertata dalla Cassazione e non suscettibile di revisione nel giudizio rescissorio, al quale è stato unicamente demandata la verifica dell’incidenza della qualificazione del fatto in termini di truffa aggravata rispetto a «successivi provvedimenti che adotterà sulla domanda cautelare».
Ne consegue che, nel giudizio di rinvio, correttamente il Tribunale del riesame ha ritenuto di non dover rivalutare la qualificazione giuridica della condotta, già definitivamente indicata (quantunque ai soli fini cautelari) dalla sentenza rescindente, il che comporta l’inammissibilità dei motivi volti a contestare la qualificazione giuridica e a invocare la derubricazione del fati:o nel reato di cui all’art. 316-ter cod. pen.
Parimenti inammissibili sono il quarto e quinto motivo, con i quali si deduce l’inutilizzabilità della prova, non dedotta nel primo giudizio celebrato dinanzi a questa Corte.
Su tale aspetti, il Tribunale ha posto in evidenza come in materia di riesame delle misure cautelari, il giudice del rinvio ex art. 627 cod. proc. pen. è vincolato al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione ed è limitato, nell’indagine di merito devoluta, all’esame dei “punti” della prima decisione attinti da annullamento, con divieto di estendere l’indagine a vizi di nullità o inammissibilità non riscontrati dalla Corte, salva, nella specifica materia, la sopravvenienza di
nuovi elementi di fatto, sempre valutabili nel giudizio allo stato degli atti (Sez.6 n. 34127 del 6/7/2023, Lacatus, Rv. 285159).
Invero, tale principio non è applicabile al caso di specie, posto che nel giudizio rescindente le questioni afferenti alla inutilizzabilità delle prove non potevAssere dedottt, difettando qualsivoglia interesse in capo agli odierni ricorrenti che, in quella sede, non avevano proposto impugnazione avendo il Trilbunale del riesame disposto l’annullamento dell’ordinanza cautelare.
Le questioni in tema di inutilizzabilità della prova non sono state, pertanto, portate all’esame della Corte di cassazione e, conseguentemente, alcuna preclusione può essersi formata in relazione alle stesse.
In tal senso deve richiamarsi il principio — affermato con riguardo al giudizio di merito, ma valevole anche per quello cautelare – secondo cui in caso di ricorso per cassazione avverso la decisione di condanna del giudice del rinvio possono essere dedotte questioni di nullità e inutilizzabilità già tempestivamente eccepite con l’atto di appello e non decise per il prevalere di una statuizione più favorevole nel merito, non suscettibile di essere impugnata dalla parte totalmente vincitrice, atteso che, nonostante l’art. 627, comma 4, cod. proc. pen. vieti la proponibilità nel giudizio di rinvio di nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi ne precedenti gradi di giudizio, su di esse, in assenza di una decisione esplicita o implicita, non può formarsi alcuna preclusione (Sez.5, n. 2932 del 5/11/2018, dep. 2019, Zorzi, Rv. 274597).
3.1. Nel merito, i motivi concernenti la presunta inutilizzabilità di parte delle acquisizioni probatorie non è fondata, posto che, in relazione al presunto compimento di atti di indagine in assenza di proroga, la doglianza è del tutto generica, non essendo specificato quali atti sarebbero inutilizzabili, il che impedisce anche di valutarne la rilevanza ai fini della prova di resistenza.
3.2. Per quanto concerne, invece, la ritenuta necessità di escutere coloro che avevano monetizzato ebonus cultura Inella veste di indagati, si ritiene l’assoluta correttezza di quanto affermato sul punto dal Tribunale del riesame, secondo cui i titolari del bonus sono stati legittimamente escussi in qualità di sommari informatori, essendosi provveduto alla interruzione della loro deposizione solo lì dove sono emersi indizi di reità.
Il sesto motivo di ricorso è generico, risolvendosi nella contestazione della sussistenza delle esigenze cautelari senza argomentare la questione, indicando k quale parte la motivazione dell’ordinanza impugnata risulterebbe manifestamente illogica o contraddittoria.
Alla luce di tali considerazioni, i ricorsi devono essere rigettati, con l conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg.esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 14 marzo 2024
Il Consigliere estensore
La Presidente