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Bonus Cultura: frode aggravata e non indebita percezione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13573/2024, ha stabilito che la conversione fraudolenta del Bonus Cultura in buoni spesa, attraverso un sistema complesso di società e fatture false, integra il reato di frode aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.) e non la fattispecie meno grave di indebita percezione (art. 316 ter c.p.). La Corte ha sottolineato che la creazione di un’articolata ‘architettura della frode’, finalizzata a eludere i controlli preventivi dell’ente erogatore, costituisce l’elemento decettivo (artifizi e raggiri) che qualifica il reato come truffa aggravata, a prescindere dalla presunta debolezza dei meccanismi di controllo.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bonus Cultura: Quando la Truffa Diventa Frode Aggravata

La gestione delle erogazioni pubbliche, come il Bonus Cultura, pone complesse questioni legali quando si verificano abusi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 13573/2024) ha fatto luce sulla linea di demarcazione tra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316 ter c.p.) e quello, più grave, di frode aggravata (art. 640 bis c.p.). La Corte ha stabilito che la creazione di un sistema fraudolento complesso, finalizzato a monetizzare illecitamente i buoni, integra la fattispecie più grave, anche in presenza di controlli pubblici considerati non particolarmente penetranti.

I fatti del caso: la truffa del Bonus Cultura

Il caso esaminato riguardava un imprenditore accusato di aver orchestrato un’articolata frode ai danni dello Stato. Attraverso una serie di società a lui riconducibili, alcune delle quali create ad hoc e con operatività molto breve, simulava la vendita di e-book ai beneficiari del Bonus Cultura. In realtà, al posto dei libri digitali, ai giovani venivano consegnati buoni spesa, decurtati di una percentuale del 15% sul valore nominale.

Sulla piattaforma informatica dedicata, l’operazione veniva documentata con fatture false che attestavano la vendita di libri, inducendo così l’ente pagatore (CONSAP) a liquidare le somme non dovute. Questo meccanismo, protrattosi dal 2017 al 2020, ha portato al conseguimento illecito di rimborsi per oltre 2,2 milioni di euro.

La difesa: semplice indebita percezione, non frode aggravata

La difesa dell’imprenditore sosteneva che la condotta dovesse essere qualificata come indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316 ter c.p.), in una forma non penalmente rilevante. L’argomento principale si basava sul fatto che, prima delle modifiche normative del 2019, il sistema di controllo del Bonus Cultura non prevedeva una verifica effettiva della corrispondenza tra il bene venduto e quanto dichiarato in fattura. Secondo la difesa, mancava quindi un’effettiva induzione in errore dell’ente pubblico, elemento costitutivo della truffa. Si sarebbe trattato, in sostanza, di un mero approfittamento di una falla nel sistema, senza un’attività decettiva idonea a ingannare.

La decisione della Cassazione sul Bonus Cultura

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, confermando la qualificazione del fatto come frode aggravata ai sensi dell’art. 640 bis c.p. I giudici hanno chiarito che la distinzione tra le due fattispecie non risiede nella maggiore o minore efficacia dei controlli pubblici, ma nella natura della condotta dell’agente. La Corte ha inoltre confermato la piena utilizzabilità, contro l’imputato, delle dichiarazioni raccolte dai giovani fruitori del bonus.

Le motivazioni: perché la truffa sul Bonus Cultura è frode aggravata

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su alcuni principi cardine, delineando con precisione i confini tra le due figure di reato.

La distinzione tra art. 640 bis e 316 ter c.p.

Il reato di indebita percezione previsto dall’art. 316 ter c.p. ha una “vocazione sussidiaria”, cioè si applica solo ai casi che non rientrano nella più grave fattispecie di truffa. Esso copre situazioni marginali, come il mero silenzio antidoveroso o la presentazione di una dichiarazione non veritiera senza ulteriori artifizi.

Il reato di frode aggravata (art. 640 bis c.p.), invece, scatta quando l’agente pone in essere “artifizi o raggiri”, ovvero un’attività ingannatoria complessa, specificamente diretta a indurre in errore l’ente erogatore. Nel caso di specie, “l’architettura della frode” – che includeva l’uso di società schermo, prestanomi e la sistematica emissione di fatture false – non era una mera omissione, ma un comportamento attivo e preordinato, finalizzato a eludere i controlli preventivi. La presentazione di documentazione falsa su una piattaforma ufficiale è un’attività che si presta a costituire un concreto indice di fraudolenza, idonea a trarre in inganno chi deve effettuare la liquidazione.

L’utilizzabilità delle dichiarazioni dei terzi

La Corte ha anche respinto la censura relativa all’inutilizzabilità dei questionari compilati dai ragazzi che avevano utilizzato il Bonus Cultura. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: le dichiarazioni rese da una persona non sottoposta a indagini, anche se auto-indizianti, non sono utilizzabili contro chi le ha rese, ma sono pienamente utilizzabili contro terzi. La garanzia prevista dall’art. 63 del codice di procedura penale è posta a tutela esclusiva del dichiarante, non di altri soggetti coinvolti nel procedimento.

Conclusioni: le implicazioni della sentenza

Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale nella lotta alle frodi in materia di erogazioni pubbliche. Non è la debolezza del sistema di controllo a determinare la qualificazione del reato, ma la natura della condotta posta in essere dal soggetto agente. Chiunque metta in piedi un sistema strutturato e preordinato per ottenere indebitamente fondi pubblici, utilizzando documentazione falsa e società di comodo, commette il reato di frode aggravata, punito molto più severamente della semplice indebita percezione. La sentenza serve da monito: l’ingegnosità nel creare meccanismi fraudolenti, anche se volti a sfruttare presunte lacune normative o procedurali, qualifica la condotta come una vera e propria truffa ai danni della collettività.

Quando la gestione illecita del Bonus Cultura integra il reato di frode aggravata (art. 640 bis c.p.) e non quello di indebita percezione (art. 316 ter c.p.)?
Secondo la sentenza, si configura la frode aggravata quando viene posto in essere un sistema fraudolento complesso e preordinato (come l’uso di società di comodo e fatture false) volto a ingannare i sistemi di controllo dell’ente pubblico. L’indebita percezione è invece un reato residuale, che si applica a condotte più semplici come la mera dichiarazione non veritiera senza ulteriori artifizi.

Un sistema di controllo pubblico considerato debole o solo documentale esclude la possibilità di una frode aggravata?
No. La Corte ha chiarito che anche un sistema di controllo basato sulla verifica documentale può essere oggetto di inganno. La creazione e presentazione di documenti falsi per superare tali verifiche costituisce l’elemento degli “artifizi o raggiri” necessario per integrare il reato di truffa aggravata.

Le dichiarazioni auto-incriminanti rese da persone non indagate (come i fruitori del bonus) possono essere usate contro l’imputato principale?
Sì. La sentenza conferma che tali dichiarazioni, pur non essendo utilizzabili contro chi le ha rese, sono pienamente ammissibili come prova nei confronti di terzi, come l’organizzatore della frode. La garanzia processuale protegge solo il dichiarante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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